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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 53
Maggio 2004

Editoriale: La strada ascetica

Etimologicamente la strada fa riferimento agli strati di cui si componeva. doveva essere un'opera duratura, in grado di sopportare il carico delle legioni, non qualcosa di ben più facilmente riassorbile dalla natura come una pista o un sentiero. La strada dunque porta da qualche parte e per un tempo non effimero. Oggi ci si accontenta a volte di strade virtuali, abbandonando percorsi antichi senza tracciarne di nuovi che abbiano una "durata" comparabile. È faticoso infatti investire in manufatti solidi e resistenti, specie se non si ha ben chiara la direzione e si tende a procedere per intinerari non eccessivamente impegnativi, che non implicano esercizio, allenamento (ciò che signifca la parola "ascesi"). Anche la scrittura ha bisogno di farsi strada a abbiamo pensato di dedicare questo Faranews ad alcune opere che testimoniano l'ascesi di chi le ha fissate in forma letteraria: La strada ascetica di Alessandra Carnaroli, Esercizi di Alessando Giovanardi, Pasqua di Luigina Bigon, Amnesia di Vanessa Sorrentino, Dove l'acqua fa rumore di Paola Turroni e un estratto dall'Annunciazione di Ardea Montebelli. Vi ricordiamo le ultime novità (Verso Occidente e Maledetta vita - Cinquanta) e i fantastici laboratori di scrittura tenuti da nostri autori a Riccione AgolantiLab. L'ultima recensione è apparsa sul Corriere Romagna del 28 aprile a firma di Isabella Pascucci ed è dedicata a E la luna partì. Segnaliamo infine alcuni siti interessanti. Buona lettura.

La strada ascetica

di Alessandra Carnaroli

comincia dalle punte
e non si siede
ma stira
la pelle e segna un percorso come un dito di lingua indica
l'umido
perchè è meglio scivolare
sulle cose del corpo
e fare tanti annunci di vittoria
quante sono le salite e usare un megafono quando
arrivi in cima
e fare l'eco
tra le ascelle
che mettono in rima i baci
le labbra schiuse di voci
che tornano
come budella indegne
a contorcersi sui fagioli che ho
dove sono i seni
e ci salgano i giganti
dei tuoi occhi
vogliono l'oro che mi cade di bocca
i denti
trattati
d'amore
risplendono
soli

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Esercizi

di Alessandro Giovanardi

I
Amo il Cristo dipinto
sull'impalpabilità dell'oro,
il Pantocratore liberato
da ogni onnipotenza contraddetta.
Amo il pittore
che nel rogo d'un'icona
canta il Soffio di Colui che viene.
(23 Febbraio 1995)

II
Riporterò i miei strumenti
poveri
alla Dimora della Vita
Primissima,
percorrendo un sonno
di nubi grigie,
senza rifugi,
ma ansioso di stupirsi
nel Risveglio.
(27 Febbraio 1995)

IV
Possibile è l'ascesa
nell'accrescersi dell'arte
in profondo,
scheggiando il sasso del dire
fino alla lama dell'essere
in silenzio,
assottigliando dei sensi
la diffusione
fino al flauto semplice
d'osso levigato e cavo.
Così s'addice allo Spirito
l'aspra e nobile maieutica
del Fiore nascosto.
(28 Febbraio 1995)

III
Quante volte ci uccide
la musica
nel rivelare a noi insonni
la Dimora senza accessi?
Quante l'autenticità
del canto ci mostra
e c'impedisce il ritorno
alla casa dimenticata
nei granai dell'anima.
Così è l'esilio
dal Custode dell'Appartenenza,
dall'Angelo reintegrato
nel Fuoco a spirale del Tramonto.
E solo scoprendo il taglio
con la spada della Bellezza
dal coagulo dell'usualità,
ancora ci stupisce
d'Amore il cammino.

(11 Marzo 1995)

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Pasqua

di Luigina Bigon

Pasqua 2004

Acqua fango
cristalli sul porfido,
lamine a percussione
tamburi metallici
acuti di vento, luogo.
Langue il lungo dominio
poi il coro, tutte le voci
basse, soprani, gole
e anime oltre un requiem
profondo. Forse Lui
a sconvolgere il sonno
dei morti, tombe scoperchiate
angelico boato, corona
di spiriti. Tamburi
ombre sui muri
nel viola sempre più acceso.

***

Il Dio della Pasqua

Salgono le voci al Dio piangente
lamento, anime e lance
sotto la gola inchiodano
corazze e morsi
nel violetto senza luna.
Calano le brume sui colli
les chansons
gocce d’acqua sulle pietre.
Si alza il velo della memoria,
un flusso trascende l’accento
posto a confine tra la materia
e lo spirito. Voce solitaria
la parola del mondo
mi grida dentro, quasi urla.
Altre genti popolano l’eco
di un profondo umano
che si nutre del tempo
e del luogo senza perdersi.
Vestiti di nero, i corpi allungati
quasi si perdono nei volti diafani
di una civiltà consumata nello sguardo
di chi implora il sangue
non più nell’ora della morte
ma del perdono.
Nel terribile silenzio la Sua voce
un attimo prima di morire
scoperchia la tomba.

Mossano (Vicenza) – 6.3.2004

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Amnesia

di Vanessa Sorrentino

Amava il suo intimo, il selvame suo intimo, quell’originaria foresta ch’era in lui, sulla cui muta rovina stava verde luminoso, il suo cuore. R. M. Rilke – Elegie duinesiCaterina aveva un male oscuro. Certi giorni non poteva alzarsi dal letto, le gambe non le reggevano il peso. Dormiva e sognava, faceva sogni maldestri e incombenti. Nei sogni si presentava la stessa situazione: lei che cercava di fare una cosa e non riusciva. Un sogno tra tutti ricorreva. Cercava di entrare in casa perché si era dimenticata il pettine che le aveva regalato sua sorella. Infilava le chiavi nella toppa, ma scivolavano senza fare attrito nella serratura. Allora veniva presa dal panico e si svegliava.
Puntualmente il telefono squillava, era Franco. Caterina aveva la bocca impastata, ma cercava di non mostrarlo. Gli diceva che non era in gran forma, aveva un fortissimo mal di testa, sarebbe tornata dal medico.
Franco faceva il bibliotecario in un piccolo paese di provincia, non molto distante dalla città F., dove abitava con Caterina. Ogni mattina prendeva l’autobus per raggiungere la biblioteca e lì catalogava i libri fino a sera.
Caterina accoglieva con calore le sue attenzioni, ma non era sufficiente. Nonostante tutto cercava di tenerlo lontano dai suoi buchi neri, sapeva che l’avrebbero turbato.
Caterina e il suo male oscuro convivevano da oltre tre anni o forse più. Non riusciva a risalire a un fatto preciso che l’aveva messa in quel buco. Il suo corpo le inviava strani segnali che non riusciva a decifrare. Lo sentiva così lontano, come se non le appartenesse. Quell’indecifrabile e continua emicrania che la opprimeva, le provocava un senso di vertigine. No non è niente, diceva il medico, ci vuole solo un po’ di riposo.
Caterina sapeva che il suo vero problema era che non riusciva a prendersi mai un impegno con il lavoro. Capitava sempre qualcosa che le impediva di continuare. Cercava di adattarsi a quello che trovava. Non desiderava qualcosa di preciso per sé, soltanto un’occupazione per potersi mantenere.
Adattamento: nella biologia dell’evoluzione, un processo fisiologico che rende un organismo più adatto a sopravvivere.
I lavori che trovava non le dispiacevano in fondo, ma saltava sempre fuori un sintomo che la bloccava improvvisamente.
Da quando si era trasferita con Franco nella città F dal suo paese natale B, aveva cambiato diverse occupazioni. Inizialmente era stata assunta in un ristorante. Ci lavorò per un pò. Il locale era piccolo, si trovava nella periferia della città F. Un giorno come tutti gli altri fu colta da un malore improvviso. Sentì un lieve capogiro e nello spazio di un secondo cadde per terra. Il vassoio che teneva in mano scivolò sulle gambe del cliente. Venne a prenderla l’ambulanza. Si risvegliò sotto una luce fredda e lunare. Comprese subito che si trovava in ospedale. Le fecero alcuni esami, ma risultò che tutto era a posto, niente di fisico dunque. Una forte sensazione di claustrofobia non la abbandonava.
Dopo l’università, Caterina aveva frequentato un corso per specializzarsi in didattica dell’italiano. L’idea di insegnare le piaceva. Era convinta di saperci fare. Qualche tempo dopo, fu chiamata per una supplenza nella scuola del paese B. in cui era nata. Era convinta che per insegnare fosse necessario partire dagli interessi di ogni ragazzo. Solo così avrebbe posto la prima pietra nella costruzione della loro felicità.
Felicità: accordo tra le esigenze interiori di un individuo e l’ambiente.
Usciva spesso con i ragazzi, chiedendo il permesso ai suoi colleghi. Non era facile, Caterina faceva paura a tutti, aveva un carattere forte e volitivo, il suo senso di libertà intimoriva.
Un giorno lì portò allo zoo per vedere come vivono gli animali in cattività. I ragazzi rimasero colpiti dalla visione di una scimmia. Si muoveva lentamente dentro la gabbia come fosse sotto l’effetto di un tranquillante.
Ne parlarono a lungo in classe, per tutti fu evidente che l’animale vivesse in preda alla malinconia perché non riconosceva più il suo ambiente. Si era come estraniato.
Come insegnante Caterina era molto diligente. Si documentava ed era preparata su ogni argomento che decideva di affrontare. La prontezza e l’interesse che aveva nel comprendere i ragazzi era fuori dal comune. Quello che non poteva sopportare erano le pratiche. La compilazione dei registri, il voto, i programmi, le riunioni. Si sentiva controllata, vivisezionata dalla burocrazia. Dopo un mese di lavoro, durante una riunione, dovette assentarsi. Una sua collega la accompagnò in bagno e lì vomitò tutto, anche l’anima. Quando la riportarono a casa, c’era Franco che l’aspettava. Caterina venne presa da una crisi di nervi, scaraventò a terra tutto quello che la circondava e poi scivolò per terra esausta. Continuava a ripetere che stava male e che non avrebbe più rimesso piede in quel lager. Aveva bisogno di respirare.
Rimase a letto per dieci giorni consecutivi. L’emicrania non le passava. Franco non sapeva come prenderla e cercava di darle tutte le attenzioni che erano in suo potere. Avrebbe voluto proteggerla dal mondo. Il corpo di Caterina si era improvvisamente coperto di piccole macchie rosse. Andarono insieme dal medico, ma quello, dopo una visita accurata, disse che non c’era niente di organico, probabilmente una forma di stress. Stress: risposta patologica agli stimoli negativi dell’ambiente.
Caterina attraversò una specie di quarantena. Non sapeva come risolvere il suo rapporto con ciò che la circondava, si mostrava così sicura con i ragazzi. Trovava così assurdo che allo stesso tempo non trovasse la forza di affrontare quello che del mondo non sapeva accettare: le regole. Ciò che in modo ferreo e irreversibile si contrapponeva al suo desiderio così irrefrenabile di possedersi. Le sembrava che il mondo fosse governato da regole divine e impersonali. Uno specchio impassibile che non riflette altro che se stesso. Un immenso teatro di ombre cinesi.
Caterina fece un sogno, uno di quei sogni che affioravano ogni tanto dal fondo. Come provenissero da un sottomarino immerso in fondo al mare che lei ancora non poteva raggiungere. Sognò di tornare nella sua casa d’infanzia, nel paese B. che aveva tanto amato, ma che da un certo punto in poi aveva sentito come un inguaribile peso. Entrava dalla porta di ingresso che era più pesante del solito. Un portone di legno verde. Al posto delle stanze era cresciuta una vegetazione selvaggia e inestricabile. Sulle prime si spaventò, dov’erano finiti i suoi ricordi? L’ordine che ogni memoria suggerisce era cancellato. Non c’era più la cucina dai muri bianchi, il tinello che emanava un odore acre di detersivo, la sua camera da letto.
La sua casa era diventata una foresta intricatissima, il pavimento si era coperto di rovi, dal soffitto pendevano stoloni d’edera. Gli alberi con le radici avevano frantumato le piastrelle e divelto in alcune parti il soffitto. Erano talmente fitti da nascondere l’orizzonte. Caterina aveva la sensazione di essere sotto l’influsso di un incantesimo. Era spaventata e allo stesso tempo provava un eccitante stupore. Non era mai stata in un luogo simile, quel disordine era meraviglioso e allo stesso tempo la atterriva.
Franco era la realtà più tangibile. Sentì il tepore del suo corpo vicino al suo e subito dopo solo l’impronta calda nel letto. Un rumore di piatti in cucina, ogni mattina il rito del caffè e poi di corsa a prendere l’autobus. Un moto d’orgoglio. Ci riprovò: trovò in un supermercato come cassiera, non ci sarebbe stato attività più neutra, meno coinvolgente di quella. Tutto il contrario che insegnare. Un lavoro asettico che non ti porti a casa. Di quei lavori che quando esci hai ancora la testa libera per pensare. E Caterina più di tutto voleva conservare quella insostituibile sensazione di libertà.
La mattina l’autobus la scaricava di fronte alle porte automatiche del supermercato e lei entrava infreddolita. Indossava la divisa e si sedeva alla cassa. Dal supermercato passavano di media duemila persone al giorno. Il rumore delle casse era ritmico e allo stesso tempo infernale. Dieci postazioni allineate come su un fronte di guerra e un flusso ininterrotto di gente. Sorrideva e incassava i soldi dei clienti. Continuava a sorridere e a incassare. Digitava numeri e scagliava la luce del laser sul codice a barre di scarpe, scatolette e montagne di giocattoli. Smistava carrelli e truppe di consumatori al ritmo incessante di bip elettronici e annunci promozionali. Provava a cercare una musica in tutto quel frastuono di campanelli, porte automatiche e rumori metallici e forse la trovava, ma la perdeva anche subito, perché non poteva distrarsi nemmeno un attimo. Il nastro che trasportava la merce verso di lei girava a ciclo continuo. Caterina all’improvviso si sentì soffocare, si alzò dalla cassa. Provava una nausea fortissima Raccontò alla sua collega che forse era incinta e così si licenziò. Tornando a casa, si sentì sollevata. La passeggiata sul corso la rinfrancò, anche se il senso di nausea non era passato.
I volti delle persone le apparivano piatti, senza profondità, improvvisamente si ricordò che la città F le aveva da subito comunicato un’impressione di estraneità.
Assuefazione: processo attraverso cui l’organismo diventa insensibile all’azione di un farmaco o di un veleno.
Era sola nell’appartamento abbagliato dal sole, le pareti imbiancate di fresco, luminose.
Lo sguardo assente come rivolto a un interno plastificato. Una terribile sensazione la possedeva. Sentiva che il mondo si era staccato da lei e come un atollo navigava in acque lontane e insondabili.
Sentiva che se non avesse amato ogni pezzetto di realtà che le si presentava casualmente alla porta, non avrebbe nemmeno amato se stessa fino in fondo. Fa un passo, è di fronte allo specchio. Chi le sta davanti ha l’impressione di non esistere dentro ai suoi occhi. Ma chi le sta di fronte non è altro che lei.
Caterina mette su il caffè, è un rito, aspetta che la moka fischi, mentre i pensieri stentano a decollare come fossero rallentati dall’effetto di un delay. E’ da molto tempo che non prende in mano il telefono per chiamare un’amica. Pochi sorrisi e solo la ricerca di ciò che è funzionale. La città F. l’aveva cambiata e lei non era riuscita ancora ad accorgersene. Non esiste niente intorno a lei che non sia perfetto e connotato da un alone di assenza. Lo nota solo adesso, la sua casa è ossificata: un tavolo di formica al centro della stanza, in un angolo una fila di mensole con pochi libri in ordine sparso, un divano appoggiato alla parete con un telo bianco sopra. Sul soffitto un neon che emana una luce abbagliante e irreale. Una casa che non è una casa, ma sembra la hall impersonale di una stazione.
Ci è caduta in pieno. Alla casualità dei gesti con cui la vita si esprime, aveva preferito il vuoto funzionale della città. Il suo corpo si era ribellato, inviando i segni di un ammutinamento e Caterina da troppo tempo non comprendeva più i messaggi che da esso provenivano. Si guardò le mani, si accarezzò le braccia fino alle spalle da cui sporgevano le ossa appuntite come spilli. Si toccò il ventre scavato, pensò che il cibo per lei non aveva nessuna importanza. Aprì il frigorifero: una confezione di uova e un litro di latte, l’essenziale. Caterina vede d’un colpo la sua gabbia, si ricorda la scimmia incontrata allo zoo. Si sente sola e distante, disincarnata come quelle sante che dicono si nutrissero solo di ortiche. All’improvviso un fischio, la moka sul fuoco, la visione vacilla, si sente un forte tonfo per terra.

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Dove l'acqua fa rumore
dalla raccolta "Della montagna"

di Paola Turroni

Quando tornavamo a casa di notte, le auto spente, la buonanotte era l’acqua del torrente nel silenzio, sotto il versante illuminato dalla luna. L’acqua del torrente segnava la fine della strada, restavamo lì, avvolti dalla salita della valle, a sfilare il fiato, ci sentivamo salvi per quel tornare dove l’acqua fa rumore. L’acqua del torrente parla, nei pomeriggi di scalata dal ponte alla sorgente, confida e marca il passo, curvando a sorpresa, dirigendo lo sguardo, è un fragore che apre le dita e la lingua. È un rumore che resta nella memoria, ogni volta che mi siedo sul muretto basso lo riconosco, buttavo un sasso dal ponte, in alto, poi correvo dall’altra parte per vederne l’uscita, è quella meraviglia che mi ha svelato il mondo, non ho cambiato il modo di insistere e di stupirmi. Il silenzio non è assenza di rumori, è assenza di rumori umani. Quando sciavo quel luogo era quasi tutto un fuoripista, c’erano solo due piste segnate da un vecchio spazzaneve che di notte guardavamo dalla finestra, lo chiamavamo il gatto delle nevi e lo immaginavo felice. Il resto erano conche e boschi. In un percorso allargato di un ritorno crepuscolare, dopo l’ultimo giro della seggiovia ormai ferma, sono arrivata con un’amica sulla cima di una valle. Abbiamo frenato, bloccate dall’immenso bianco silenzioso. Ho visto in faccia il silenzio, l’ho ascoltato, ha un suono pesante e fiero, che entra nel corpo dalla pelle e non dalle orecchie.

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Dall'Annuciazione

di Ardea Montebelli


Gli angeli hanno
un che d’inevitabile
assomigliano
a vecchie passioni.

ANGELO: Maria piena di grazia, il Signore è con te.
MARIA: Chi sei tu che mi parli di grazia con questa perfezione?
ANGELO: Sapere, grazia, saggezza mi precedono. La mia perfezione è armonia che
s’irradia dall’origine e dall’origine si dona in segno della vita.
MARIA: La vita è più grande di noi, il mio cuore non osa chiedersi come, perché, con quale
fine, con quale mistero. Sapere, grazia, saggezza non sono cose umane hanno
mete invisibili.
ANGELO: Celeste è il privilegio che accoglie il divino. La perfezione è simbolo d’umano.
MARIA: La tua perfezione offre tracce ancor prima della parola.
ANGELO: Sulla terra si posa l’essenza dello spirito. Un uomo si farà sostanza in altri uomini,
nell’alba, nelle stelle, nel sole, nella luna. Un uomo salverà con le sue membra.

MARIA: Un uomo? Sarà un uomo la salvezza?.
ANGELO: Concepirai un figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo.
MARIA: Com’è possibile? Ciò che di me vedi non può generare il Figlio dell’Altissimo.
ANGELO: A Dio nulla è impossibile. Esploderà la vita col soffio delle labbra.
MARIA: Dove appare il miracolo, si dileguano le tenebre. Tutto si fa lieve e si adorna di bellezza. Avvenga di me quello che hai detto.

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Siti interessanti

Creolo www.villafranceschi.it/creolo/index.html
Arcoris www.arcoiris.tv
Migranews http://81.113.226.203/migranews.org/default.asp
Italiafrica www.italiafrica.org
Paginazero www.paginazero.info

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