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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 11
Novembre 2000


Editoriale: il mese del ricordo

L'autunno e' spesso la stagione del ricordo. Questo numero novembrino di Faranews e' allora una veloce rassegna di ricordi: da quelli poetici di Giovanni Pascoli, a quelli carducciani di Alfredo Panzini, dalla memoria storica di Elie Wiesel a quella spirituale di S. Ignazio di Loyola.
La segnalazione di aluni siti e i vostri messaggi concludono come al solito il bollettino. Buona lettura.


INDICE

Romagna: un "ricordo" pascoliano

Le lezioni di Carducci

La memoria e l'oblio

L'illuminazione

Siti interessanti e recensioni

Messaggi:
- Due poesie (Anna Lamberti-Bocconi)
- Una nuova universita' per stranieri (Roberto Pasanisi)
- Tutto in 6 minuti (Corrado Giamboni)

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«Romagna»: un "ricordo" pascoliano

Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l'azzurra vision di San Marino:

sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

La' nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l'altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l'anatra iridata,

oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarco l'urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell'aie;

mentre il villano pone dalle spalle
gobbe la ronca e afferra la scodella,
e 'l bue rimina nelle opache stalle
la sua laboriosa lupinella.

Da' borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d'occhi di bambini.

Gia' m'accoglieva in quelle ore bruciate
sotto l'ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai di' d'estate
co' suoi pennacchi di color di rosa;

e s'abbracciava per lo sgretoalto
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.

Era il mio nido: dove immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l'imperatore nell'eremitaggio.

E mentre aereo mi poneva in via
con l'ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;

udia tra i fieni allor falciati
de' grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.

E lunghi, e interminati, erano quelli
ch'io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettio d'uccelli,
riso di donne, strepito di mare.

Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or e' dove si vive;
gli altri son poco lungi; in cimitero.

Cosi' piu' non verro' per la calura
tra que' tuoi polverosi biancospini,
ch'io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini,

Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

(Giovanni Pascoli, Ricordi, pensieri ed altro ancora)

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Le lezioni di Carducci
Torna alla mente con gran tristezza di desiderio il tempo che io studiava a Bologna; e la rivedo ancora quella severa e lunga aula dell'universita' con i finestroni dai vetri verdognoli che prendono luce dal pian terreno del cortile interno: la rivedo tutta gremita di uditori; tutti col viso rivolto e teso ad un punto, in silenzio: seduti sui banchi, fitti in piedi e addossati agli angoli, presso la porta d'ingresso. E su quelle teste, le piu' giovanilmente vive, altre grige o canute, altre di donne diffondenti in quella austerita' non so quale femminile lietezza, mi pare ancora di udire la sua voce che si spandeva ora vibrata, staccata, nervosa; ora lenta, commossa e saliente come un nembo d'incenso. Su l'alta cattedra, in fondo, appariva quel capo poderoso, curvo fra i cubiti, con la fronte ferma, come diga a reggere l'onda irrompente del pensiero; la breve mano bianca agitata a ricercare il libro o l'appunto pur non ristando la voce. Qualche volta, sopravvenendo le tenebre, accennava gli recassero una candela e se la poneva da presso; e allora quella fiammella rossa che or s'allungava in sottile piramide e stava immota, ora ballava come un folletto, faceva in quella penombra strani effetti di luce su quel volto animato dall'idea creatrice. Era l'autunno o era l'inverno nevoso: eppure per quella tetra sala in alto passava la primavera al suono della sua voce, l'eterna primavera del pensiero che egli ogni volta evocava, viva, luminosa, presente, fuori dai secoli che furono.

Con cio' non intendo dire che il Carducci sia un oratore nel senso che comunemente si da' a questa voce: l'impeto, la profondita', la larghezza con cui egli concepisce e sospinge i suoi pensieri non hanno pari riscontro nella fluidita' delle parole, e percio' di quel torrente di idee e di immagini solo una parte trova l'uscita; l'altra percuote e rimbalza contro quell'impedimento, e percio' in chi l'ode per la prima volta si genera come un senso di pena; chi invece conosce l'uomo e in quelle parole uscenti a scatti e svincolantisi sente tutto il prodigioso lavoro interno, non puo' sottrarsi a un senso di ammirazione e di meraviglia. Egli inoltre che ci era cosi' austero maestro nell'insegnare ed imporre il puro metodo storico della ricerca paziente e analitica, aveva sovente degl'impeti luminosi di sintesi, con una cosi' sicura ed anelante concezione del vero quale gli eredi del genio greco latino sanno; forse soli, afferrare ed esprimere. E allora si vedeva quel suo volto acceso impallidire come sotto lo spasimo di un'idea gigante, l'occhio nero sconfinare oltre il recinto dell'aula, e le parole venir fuori ora a gruppi rapidissimamente battute e serrate, ora gravi, tarde; quasi ogni voce avesse con se' un misterioso seguito di ombre di luci e di fantasmi che doveano uscire con lei. Ed in quello impallidire, in quel commosso esprimere di parole, pareva che la sua fronte si cingesse come d'un profetico nembo; e gli angoli delle labbra in giu' volti gli davano un'attitudine cupa di vaticinante. Non era pero' raro il caso che tutto il getto dei pensieri trovasse libera uscita; e allora era un allegro irrompere di idee germinanti, salienti, scoppianti per raggrupparsi ancora e salire fin dove per la soverchia altezza oscillavano, e il periodo precipitava e finiva non con armoniche voci, ma con un gesto rapido e con uno scatto quasi feroce di accenti che sembravano come un'invettiva alla parola tarda ed inefficace a investire e rendere i suoi concetti. A spiegare questo suo modo di parlare s'aggiunge un'altra causa, ed e' che il Carducci che fu per tanti anni chiamato il poeta della democrazia, e' il piu' aristocratico oratore che si possa pensare. La frase fatta con lo stampino, il periodo d'effetto, i facili artifici del dire, che un autore fine evita di scrivere, ma pero' nel parlare largamente profonde giacche' sfuggono all'analisi e dilettano l'uditorio, il Carducci sdegna anche nel parlare. La sua frase e' originale e viva come il suo pensiero; e percio' si arresta finche' non ha trovato quella voce che gli pare propria, quell'architettura del periodo corrispondente al suo pensiero. Da cio' ne deriva che quel discorso che ad un uditore volgare riesce slegato e duro, ove si fermi con la stenografia appare perfetto. Finita la lezione, che durava circa due ore, indossava a fatica il pastrano o la pelliccia di cui mostrava avere assai cura, e passava fra il riverente aprirsi della studentesca. Era la dolce ora che le tavole delle trattorie suburbane attendono le chiassose brigate degli studenti, e il numeroso uditorio uscendo dall'universita' gia' deserta, si spandeva sotto gli alti e tetri portici di via Zamboni. (...)

Lo ricordate voi, compagni buoni, dispersi per le scuole d'Italia, lo ricordate voi? Si chiosavano i canti dell'Inferno, si leggevano le stanze della Canzone di Rolando, i sonetti del Guinizelli e del Petrarca, lo ricordate? L'ora era trascorsa; era venuta la notte e il silenzio: le sei lampade a gaz mandavano il loro ronzio e la loro viva fiamma. Egli saliva su per i banchi, si sedeva talvolta presso di noi, accennava ora all'uno ora all'altro con la sua nervosa breve e bianca mano di continuare; e spesso, vedendoci stanchi per l'ora tarda e per il prolungato lavoro, egli stesso leggeva e spiegava, e ci trascinava oltre, fuori del presente, per quelle grandi ondate degli antichi canti. Taluno, ricordo, che era in maggiore dimestichezza, levava fuori l'orologio come a dire: "Maestro, l'ora e' trascorsa, anche quella del desinare". Egli vedeva, sorrideva bonariamente e interrompeva dicendo: "Fra poco, sino a questo punto e poi basta". Si usciva: fuori frizzava la nebbia e sotto i lunghi portici batteva largo il vento; pure noi scolari non si cessava del conversare animato. Lo ricordate, buoni amici, se pure vi rimane animo e tempo di ricordare? E chiudo la parentesi perche' l'indugiarmi con memorie subbiettive ripugna a me e alla natura di questo scritto.

(Alfredo Panzini, in Carducci)

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La memoria e l'oblio

Ma chi e' lo scrittore, se non qualcuno che scrive? E questo qualcuno comprende che cio' che egli scrive, cio' che ha scritto non e' cosi'. E allora cos'e'? Io sono convinto che abbia ragione Manes Sperbeer, un grande scrittore e romanziere che parafrasa il Talmud. Nel Talmud c'e' un'immagine magnifica: un Maestro, parlando del suo Maestro, dice: Se tutti i cieli fossero pergamene, e tutti gli alberi fossero penne, e tutti gli oceani inchiostro, ancora non arriverei a scrivere tutto cio' che ho ricevuto dal mio Maestro. Ed io a mia volta direi: se tutti gli oceani fossero inchiostro, e tutti i cieli pergamene, e tutti gli alberi penne, e tutti gli ebrei scrittori, e se fino alla fine della nostra vita non facessimo altro che scrivere, io penso che ancora non riusciremmo a dire che cosa e' successo. E' forse una vittoria del nemico l'aver privato la sua vittima del suo modo di esprimersi, ma io non so come fare: so solo di averci sempre provato. La memoria e' il peggior castigo Io non credo alla vendetta: come si puo' ridurre la tragedia del popolo ebraico a un atto di vendetta? Sarebbe una vergogna. Certo, il colpevole deve essere processato, punito; io non penso che il colpevole debba vivere felice in Colombia, Paraguay o Brasile - ma vendicarsi no: penso che sarebbe un modo di diminuire l'onore della vittima. Bisogna che la memoria resti: la memoria e' il peggior castigo per l'assassino, perche' l'assassino non voleva uccidere solo l'ebreo, ma anche la memoria ebraica. Fino a quando noi ricorderemo, riporteremo una piccola vittoria sul nemico.

(Elie Wiesel, in Sguardi sulla memoria)

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L'illuminazione

Molte volte e per molto tempo, mentre pregava, vedeva con gli occhi interiori l'umanita' di Cristo, e la figura, che gli sembrava fosse come un corpo bianco, non molto grande ni' molto piccolo, ma non vedeva nessuna distinzione di membra. Cio' vide a Manresa molte volte: se dicesse venti o quaranta, non si arrischierebbe a giudicarla una menzogna. Un'altra volta l'ha visto entrando a Gerusalemme, e un'altra camminando vicino Padova. Ha visto anche Nostra Signora in forma simile, senza distinguerne le parti. Queste cose che ha visto gli confermarono allora e gli diedero sempre tanta confermazione della fede, che molte volte pensava tra se' e se': - Anche se non ci fosse la Scrittura che ci insegnasse queste cose di fede, potrebbe decidere di morire a causa loro, solamente per quello che ha visto. 30. Quinto. Una volta andava per sua devozione a una chiesa che stava a poco piu' di un miglio da Manresa, che io credo si chiami S. Paolo, e il sentiero costeggia un torrente; e andando cosi' nelle sue devozioni, si sedette un po' col volto verso il torrente, che scorreva in fondo. E stando li' seduto, cominciarono ad aprirglisi gli occhi dell'intelletto; non che vedesse qualche visione, bensi' capiva e conosceva molte cose, sia cose spirituali che cose di fede e di lettere; e cio' con una illuminazione tanto grande, che le cose gli sembravano tutte nuove. E non si puo' chiarire i particolari che comprese allora, benche' fossero molti, se non che ricevette una grande chiarezza nell'intelletto; di modo che in tutto il corso della sua vita, fin oltre i sessant'anni, se raccogliesse tutti quanti gli aiuti che ha ricevuto da Dio, e tutte quante le cose che ha capito, anche se le mettesse tutte insieme, non gli sembra di avere progredito tanto come in quella notte sola.

(di S. Ignazio di Loyola, e' in preparazione l'autobiografia a cura del biblista Guido Benzi)

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Siti interessanti e recensioni

Memorie di S. Ignazio
http://web.infinito.it/utenti/i/interface/ILoyola.html

Premio letterario del Centro Culturale Antonianum
www.centroculturaleantonianum.it

Galleria kirkegaardiana
http://home.pacbell.net/newcov/sk/gallery.htm

Indaco: progetto Kosovo
www.indaco.org

Esperanto
http://esperanto.nu/

Anello letterario
www.scritturafresca.org/anello/aderenti.php3

Ecumenismo
www.kaleidon.it/ecumenismo/pre_ita.html

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I vostri messaggi:

Due poesie

Ciao! Sono Anna Lamberti-Bocconi, forse qualcuno mi conosce, se no mi conoscera', se no ancora non mi conoscera' mai... Tanto qui va come va. Io uso Internet di notte, in modo piuttosto nevrotico, e mi capita di mandare o ricevere cose che poi mi dimentico di aver fatto. Cosi' e' il caso di Faranews. La verita' e' che non riesco a concentrarmi molto leggendo su video, figuratevi, a me piace leggere a letto. Allora tutto viene velocizzato, insomma, devo ancora imparare un nuovo tipo di attenzione. Pero' stamattina, in piena veglia, in piena coscienza, leggo l'appello di Alessandro e con piacere mando due poesie. Il tema (piu' o meno) della prima e' ricordo e perdita, (piu' o meno) della seconda ricordo e ineffabilita' e passato e origine, presunta inadeguatezza del ricordo stesso per avvicinarsi all'origine. Caro Alessandro, sappimi dire. Siete forti,


Anna L.B.

*****
Arrivederci bacio di un solo treno fuggente
citta' granitica, amore del ragazzo ingannato
con la mia pelle. Sente il veleno, arrivederci,
avvenire, a venire l'oblio, citta' di Alba,
una mattina mangiai la rosa indimenticabile
scatta la falce del treno come sganciata
l'addio e' malvagia fuga che manda indietro.
E ora dove sei? dice la canzone.
Ma non so la tua via, il tuo cognome,
per non trovarli piu', per questo l'aria e' vetro,
percio' addio, saltimbanco, e tu ragazza dell'intelligenza,
addio agli amori pi belli. Piango senza vergogna.
Perche' la vita continua, traforo di eredita',
un'opera epocale dove il giovane se ne va
dicendo ciao con gli occhi tumefatti di rose.

*****
Per capire l'amore -
unica lingua uguale nelle gocce
l'amore che stonava
sulle corde passate di tua madre
nelle gocce di pioggia
erano dolci note lacrimate
l'amore che capisci
per l'idioma passato in fondo agli occhi
come fulmine d'acqua
il portacipria d'osso era un gioiello -
non devi ricordare
ma perdere la voglia di parlare.

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Una nuova universita' per stranieri
lettera del Prof. Roberto Pasanisi


Gentile Collega,
mi permetto di farLe avere qualche notizia sull'Istituto Italiano di Cultura di Napoli, sulla rivista internazionale di poesia e letteratura «Nuove Lettere» (della quale e' appena uscito il nuovo numero) e sul nostro Libero Istituto Universitario Per Stranieri "Francesco De Sanctis" (LIUPS), riguardo al quale amerei conoscere la Sua impressione e qualche idea. (...) Le faccio inoltre avere qualche notizia sul nuovo numero (VIII-IX, 9-10, 1998), appena uscito, di «Nuove Lettere», la rivista internazionale di poesia e letteratura dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Stampata attualmente in un'alta tiratura distribuita in tutto il mondo - e fin dalla sua fondazione, nel 1990, in costante crescita -, la rivista gode di un significativo riconoscimento scientifico internazionale da parte di studiosi e scrittori. (...) In attesa del Suo cortese riscontro, un grazie riconoscente per l'attenzione ed i piu' cordiali saluti dal Suo

Roberto Pasanisi
Rettore LIUPS

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Tutto in 6 minuti
Era la notte di San Silvestro, la piu' corta. Si trovava a festeggiare, con gli amici, ovvio, e la moglie. Mezzanotte precisa e i botti erano cosi' forti che parlando ci si dimenticava di quello che si stava dicendo. Anche per la gioia o l'euforia. Anche perche' non era importante cio' che si stava dicendo dopotutto. Mezzanotte e ci si salutava in piedi baciandosi fra conoscenti e fra sconosciuti, alcuni addirittura in piedi sulle sedie sbracciandosi coi calici in mano a gola spiegata a urlare auguri, a cantare, altri baciandosi a lungo, altri rimanendo seduti al tavolo, voltando i colli di tre quarti a guardare e ad aspettare eventualmente un brindisi, un bacio da contraccambiare. Stappo' una bottiglia di spumante appena dopo lo scoccare, preciso. Colpi' il sedere di una donna e rimbalzo' sul tavolo il tappo, fra i bicchieri. Porta fortuna, rise la donna. Auguri, auguri di buon inizio! Fra la confusione generale del momento un miope aveva perso una lente a contatto e subito comprese, carponi, urlando fra gli urlanti, col naso a terra, che non l'avrebbe piu' trovata, ma che l'anno nuovo era piu' importante dopotutto. L'alcool e il passaggio epocale, facevano i loro effetti distorcendo lo spazio, allungando l'istante. L'alcool fa male ma una o due volte all'anno non importa, e' lecito eccedere, pensai baciando e abbracciando lo sconosciuto vigoroso quanto me che non avevo mai visto ma buon anno, buon anno fratello. Ci si saluta contenti, euforici sempre all'inizio dell'anno, all'inizio di qualcosa. Se no l'anno andra' male. Usanza. Si festeggia qualcosa che finisce e qualcosa che inizia. Si festeggia qualcosa di arbitrario, pensaci, mi disse una donna in rosso, e sorrideva, ed era bella mia moglie. Bello vedere chi ti e' vicino in maniera nuova, nell'unica maniera che dicevi umana. Si comincia a ballare. Perche' anche la musica e' importante, il tipo di musica, soprattutto quando si finisce e si inizia qualcosa come adesso. Il valzer viennese va sempre bene. Ci si guarda negli occhi che ridono e si gira nelle note - o gira il mondo giro giro. Il valzer va sempre bene. Sorridere, non e' difficile. Semplice e' vivere, semplice sarebbe vivere. E le coppie intorno girano e girano e se sono amici e' bello. Occhi incrociati a sguardi, a sorrisi, attento a non perdere il ritmo. E si parla ad alta voce con la voce rimasta e il tempo. Ma la musica e' piu' forte con le sue note larghe e va bene cosi' - dimentico chi sono, dimentico molte cose in questa danza, ma non e' disagio ne' ottundimento. Se la musica dovesse finire, se la musica dovesse finire adesso noi torneremmo in noi. Torneremo in noi piu' tardi, adesso si balla, insieme, con le donne degli altri (che assurdita', "le donne degli altri"). Ora si balla e si gira nel valzer, si gira e gira con questa musica in questa sala di luci non si capisce piu' se e' grande come sembra girando e ridendo urtandosi anche in questo disordine ordinato ma armonioso di colori e luci regolato dal valzer viennese che va sempre bene. Ti siedi sfinito, vorresti ricordare.


Corrado Giamboni

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