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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 39
Marzo 2003

Editoriale: Autori e amici - uno spaccato (parziale)

In quasi dieci di attività Fara ha pubblicato decine di nuovi autori, spesso alla loro opera prima, ricchi di un vissuto, di una capacità di raccontare, di mettersi in gioco, di condividere esperienze e competenze. Siamo anche entrati nel quarto anno di vita di Faranews che ci ha messo in contatto con tanti amici. Tutti meritano un ringraziamento in primis tutti i creativi e le persone dello studio Kaleidon, Barbara, Americo, grafico ed esperto di web, e tutti gli altri che ci hanno incoraggiato in questa iniziativa. In questo numero dedichiamo qualche squarcio ad alcuni autori e amici sapendo che la scelta è per forza di cose parziale e limitata (molti altri sono già presenti in precedenti numeri di Faranews).
Ecco dunque i nomi: Edvino, Adeodato, Roberta, Ridvan, Daniele, Andrea, Paola, Corrado, Paolo, Sandra, Tahar, Gilberto, Angela.
Come sempre chiudiamo il numero con i siti consigliati. Buona lettura!


Frammenti di pace
(di Edvino Ugolini)

Il falco vola alto sulla necropoli
In fiamme l'ultima eresia dell'uomo
Sulle torri innalzate
Per dividere i popoli
Un vessillo che ricorda
La fratellanza
Mentre da lontano ruggiscono i motori
Della macchina infernale della guerra
Menti fredde e senza emozioni preparano
A tavolino l'attacco finale
Noncuranti delle ferite aperte
Che rimarranno al sole
E non si cicatrizzeranno a causa dell'uranio
Intere lande di detriti e resti umani
Saranno la memoria di una strategia del potere
Al servizio di subdoli interessi
A distruggere l'uomo
E rendere vana una convivenza tra i popoli del mondo.

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Only the Sound
(di Adeodato Piazza Nicolai)

What makes the poet --
hunger & blood, flowers
& mud, fucking & death?
But that is the province
of all living matter, not
only the poet's. I thought
that words were waters
no poet refuses to muck
in; of course that also
measures everyone's thirst.
Needs make no poets, but
sounds seeking throats,
driving hands to deliver
the stroke before midnight.

(Padova, 13 February 2003)

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Nontempo
(di Roberta Sangiorgi, giornalista, scrittrice, presidente dell'associazione multiculturale Eks&Tra)

Il tempo. la nostra vita e quindi anche la mia si gioca sul tempo. Tempo per i figli, tempo per il lavoro, tempo per spostarsi, tempo... IO ho deciso. Da oggi, voglio avere tempo per non avere tempo.
Costa molto non avere tempo? Se non uso il tempo per lavorare non guadagnerò denaro. Senza il denaro non potrò avere. Sarò più povera?
Non so. Mi sono messa a sedere. Ho preso un libro in mano. Ho letto, finalmente! Da quant'era...
Leggevo, mi immedesimavo nei personaggi, i dialoghi mi richiamavano altri dialoghi...
Ho preso in mano una matita ed ho iniziato a scrivere. Da quant'era... Non riuscivo nemmeno a tenere in mano la matita, abituata al computer. E poi ho consumato la punta e non riuscivo a trovare il temperino. Ho fatto la punta ad una matita. Da quant'era...
Mi è venuto in mente il cestino della mia classe alle elementari; era un luogo di ritrovo, dove scambiare quattro chiacchiere con gli altri bambini, mentre si faceva la punta.
I ricordi ritornavano da un angolo sperduto di me stessa. Pian piano mi ritrovavo in un altro tempo e in un altro spazio. I volti delle persone, le situazioni, i paesaggi.
Alla sera ho sentito che dentro avevo qualcosa che mi faceva sentire più forte. Non ero stanca, non ero angosciata, non ero avvilita da momenti alienanti di non vita.
Alla sera sono tornati i figli da scuola, è tornato a casa il mio compagno.
Non ci siamo detti cosa dovevamo fare e quali impegni avevamo.
Abbiamo parlato. Sì, abbiamo parlato. Da quant'era...

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Angelo
(di José Americo Gobbo, esperto di web, grafico, artista)

La pittura è un linguaggio di note silenziose che necessitano di tempo e mestiere per riuscire a svilupparla appieno. Oggi con la tecnologia e la mercificazione di tutto è difficile creare arte che oltrepassi la pura tecnica e le mode dettate dal mercato. Dipingere ed essere pittore oggigiorno è un'impresa ardua e articolata: spesso si affrontano nuove tecniche, nuovi strumenti che
ampliano la creatività e il mestiere della bottega di una volta. La tecnica, la tecnologia e i mezzi espressivi devono essere a servizio della creatività e non finalizzati alla semplice performance virtuosa: questo si impara lavorando con umiltà e sincerità.

(José Américo Gobbo è nato a San Paolo del Brasile, ha studiato Industrial Design a San Paolo, nel 1985 si trasferisce a Bologna dove studia all'accademia di Belle Arti – corso di Pittura – laureandosi nel 1989. Vive e lavora a Imola dal 1987.)



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La fame di Erissittone
(di Ridvan Dibra, docente di Letteratura Albanese all'Università di Scutari, autore di romanzi e novelle)

1.
Erissittone vaga completamente solo per le lande di Egoboca, vivendo la maledizione di Demetra; la sua punizione è stata crudele: fame eterna per l'imputato. La dea, rispettata da tutti, questa volta non ha mostrato la minima clemenza: per qualche albero tagliato nella Foresta Sacra (che poi ricrescono in pochissimi giorni) ha deciso di vendicarsi in modo atroce.
"Sicuramente, lei ha preso questa decisione per rendermi esempio agli occhi degli altri", pensa Erissittone cadendo a terra privo di sensi.
La rugiada della sera lo riporta a sé. Sente un raschiamento terribile allo stomaco. E con difficoltà, dopo aver poggiato i gomiti per terra, lancia uno sguardo in giro: solo sassi e sodaglia, nessuna pianta o un qualsiasi essere vivente per colmare almeno un po' la fame: una bestia che rosicchiava inesorabilmente da qualche parte, dentro di lui. Se continuava così, ancora un po' e sarebbe giunta la fine. Prova ad alzarsi, ma non ci riesce: nessun passo poteva fare senza aver prima messo qualcosa sotto i denti. Nemmeno terraccia c'era in quel posto; solo rocce gialle e che, per di più, liberavano un calore insopportabile.
Decise di aspettare lì la propria fine. Non aveva nessuna voglia agire. Non odiava più nemmeno i genitori che lo avevano abbandonato. Riusciva a giustificare il loro gesto. In fin dei conti loro avevano cercato in ogni modo di saziare il figlio, ma non c'erano riusciti. Avevano smesso soltanto quando i granai si erano svuotati e si erano trovati immersi nei debiti. La colpa di tutto era di Demetra.
"E ha pure il coraggio di predicare la fertilità. E si fa passare come la protettrce della famiglia. Che ipocrita!”, disse Erissittone e con fatica riuscì a sputare sulla roccia dove si era sdraiato. Lo sputo evaporo all'istante. Sulla roccia rimase una macchia bianca e minuscola.
Era scesa la sera. Nera e pesante come una massa di catrame. La luna sembrava una volpe presa in trappola. Erissittone si girò su un fianco. Non gli sembrava di stare poi tanto male. Si stava abituando al calore liberato dalla roccia e alla bestia dentro di sé. Anzi proprio adesso riusciva a ragionare con una lucidità mai avuta prima. Ciò significava che la sua fine era prossima.
"Anche Demetra è innocente", disse Erissittone fra sé e sé. "Di certo, la decisone della mia crudele condanna l'ha presa in un periodo critico per lei. Forse durante quelle terribili nove giornate quando, amareggiata e sul punto di impazzire, cercava Persefone, la figlia rapita. O il decimo giorno quando apprese da Elios che la figlia le era stata rapita da Ade. Forse dopo, quando lasciò l'Olimpo e mascherata da vecchietta vagò per il mondo. O quando Giove decise, opportunisticamente, che Persefone poteva stare 2/3 dell'anno con la madre e il resto giù da Ade negli inferi. Ma forse anche dopo, quando, liberatasi dalla maschera, rimise piede al Olimpo."
Erissittone, per la prima volta in tutti quegli orrendi giorni della pena, fece un respiro di sollievo. Si era finalmente reso conto di chi fosse il vero responsabile della sua tortura: lui stesso. Nessun altro. I genitori, gli amici, gli dèi erano innocenti! La notte era diventata più nera che mai. La Luna avendo tagliato il membro catturato appariva ormai libera dalla trappola.
Erissittone adesso non si sente affamato. Dunque deve pensare più seriamente che mai a come procurarsi del cibo. Si ricordò delle proprie membra. Con quelle si poteve tirare avanti per qualche giorno. Era ragionevole cominciare da quelle superiori. Poi sarebbe toccato ai piedi. Allungò il braccio sinistro avvicinandolo alla bocca ma appena si preparò a morderlo in qualche punto sopra il gomito, si ricordo che era mancino. Allontanò il braccio sinistro e avvicinò alla bocca il destro.
Povero Erissittone! Spera davvero di vendicarsi un giorno, ma ancora non sa chi è il vero fautore della sua maledizione.

2. Le mosche
Oramai Altlante non è più tanto sofferente dei cieli che regge sulla schiena: le spalle gli si sono irrobustite, così anche la pazienza e la volontà. Da tempo non fa più nessuno sforzo per liberarsi della soma, considerando questo il suo destino. (Le dicerie che raccontavano che Atlante avesse lasciato per un po' il peso del mondo ad Eraclite, non erano che maligne calunnie).
Le mosche! Le mosche, già. Quelle erano la vera tortura di Atlante. Così piccole e numerose, erano assolutamente imprevedibili nei loro assalti, tormentando non poco il povero Atlante, al quale non fu mai chiaro quali erano gli obbiettivi che queste abominevoli creature intendevano raggiungere con i loro attacchi: punzecchiarlo oppure semplicemente solleticarlo in modo da fargli perdere l'equilibrio per farlo schiacciare dell'immane peso che gli toccava reggere in eterno.
Per questo Atlante sogna di avere un giorno le spalle e le mani libere (anche per una volta sola!), in modo di potersi vendicare delle mosche.

3. Il primo
Neottolemmo entrò per primo nel cavallo di legno! In quello che sarebbe entrato nella Troia assediata. È tutto ciò che viene detto di lui. Nient'altro. Nessuna parola riguardo a quel miscuglio di sensazioni che devono aver divorato Neottalemmo in quel momento. Niente sull'esitazione (o l'impazienza?) che, senz'altro, deve aver provato mentre cercava di fare il primo passo nel addome oscuro e senza interiora del Cavallo di Legno. Niente. Forse al tempo dissero tutto, ma non ce n'è giunta notizia.
Comunque, la scena la si potrebbe ricostruire con una certa verosimiglianza persino oggi: basta dare un'occhiata alla discesa di Amstrong sulla Luna.

4. La sorte di Aca Larentia
Romolo, il fondatore leggendario di Roma e il suo gemello Remo furono allattati, subito dopo la famosa lupa, da Aca Larentia, moglie del pastore Fauttulio. Nei libri di scuola il suo nome si riscontra sempre più raramente e sembra prossimo il giorno in cui cadrà nel più profondo oblio. Il motivo è semplice: Aca Larentia ebbe una cattiva reputazione e il suo comportamento fu scandaloso. (Non è dignitoso che le nostre radici siano state nutrite anche dai seni di una donna di tale specie). Comunque i suoi contemporanei, quando si trattava di scegliere tra una donna e una lupa, sceglievano la prima, partendo dal semplice fatto che la donna era umana, la lupa animale. Brillante e umana la trovata di chiamare Aca Larentia "lupa" (per il suo cattivo comportamento) con lo scopo di fare dimenticare la vera lupa.
Ma con il passare dei secoli e il susseguirsi delle generazioni, il nome di Aca Larentia iniziò ad essere menzionato sempre più di rado, e quello della lupa sempre più di frequente, perché a una donna che si comporta da bestia non si perdona, mentre a una bestia si era comportata da essere umano, sì.

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Il posacenere
(di Daniele Bottura)

"Potresti scrivere un racconto su questo posacenere, per esempio, e su un uomo e una donna. Ma l'uomo e la donna saranno sempre i due poli del racconto. Il polo Nord e il polo Sud. Ogni racconto ha questi due poli - lui e lei." (A.P.Cechov)

Sul tavolo, oltre al posacenere, ci sono i resti della cena di ieri sera. Pane da toast rimasto fuori dalla confezione di cellophane, alcune fette di formaggio, i piatti di plastica con i tovaglioli di carta appallottolati, qualche buccia di arancia e tre lattine di birra, vuote. È mattina. L'orologio a muro della cucina segna le 10. La radio è accesa ma il volume è basso. Un'emittente locale sta trasmettendo il notiziario, ma nessuno dei due sta ascoltando. Lui indossa solo un paio di mutande bianche. È seduto su una sedia e tiene le gambe sul tavolo. Ha il volto teso e stanco. Probabilmente non ha dormito molto la scorsa notte. Sembra proprio che non abbia dormito affatto. Fissa con lo sguardo il posacenere e si accende un'altra sigaretta. Sbuffa il fumo verso Laura e la guarda come se si aspettasse che lei dicesse qualcosa. Laura si è appena fatta la doccia. Indossa una maglietta bianca e un paio di slip. I capelli lunghi si posano pesantemente sulla sua maglietta e le bagnano la schiena. Sembra che non abbia voglia di parlare. È in piedi, di fronte alla finestra. Guarda fuori. La boccata del fumo di Marco le oltrepassa i capelli e si dissipa contro il vetro della finestra. Una lacrima le sta bagnando l'angolo della bocca. Lui non se ne accorge e continua a fumare nervosamente. Il telefono squilla. Marco guarda, per un attimo, in direzione del telefono, ma poi ritorna a fissare il posacenere sul tavolo. Lei continua ad osservare un punto fermo sotto il sole, fuori da quella casa. Sembra non sentire nemmeno che il telefono continua a suonare. Nessuno dei due accenna un movimento per andare a rispondere. Gli squilli del telefono coprono la voce del disc-jockey che è passato a leggere i titoli dei films in programmazione in tutti i cinema di Brighton. Quando il telefono smette, lui si alza dalla sedia e spegne la sigaretta nel lavandino. La butta nel cestino dell'immondizia e si avvicina a Laura. Lei si accorge, ma rimane immobile. Lui la guarda da dietro. Guarda i suoi capelli. Guarda le sue gambe. Guarda il suo volto riflesso nel vetro della finestra. Le appoggia le mani sulle spalle e le sussurra qualcosa nell'orecchio. Laura piega la testa verso terra e le lacrime diventano sempre di più. Lui la abbraccia. Le bacia il collo. Le accarezza il viso e cerca di asciugarlo. Laura si volta e guarda Marco. Cerca con le mani la sua bocca. Lui le ripete, a voce alta, quello che prima le aveva sussurato nell'orecchio: "tutto si scioglierà danzando".

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Conto una volta
(di Andrea Campanozzi)

Ora conto una volta
questo inverno,
che poggiavo
la testa
nel fumo
di un denso locale,
e le dipendenze
nel naufragio del sangue.
Una volta
che il calendario delle cose segnava il tuo pericolo.

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Io da qui
(di Paola Turroni)

Io da qui
dall'Europa di segni presunti
non posso che farmi, con rabbia concisa
perno vuoto
tra le voci
che mi arrivano, senza mani
da SanDiego e da Herat
l'Europa macigno di muri crollati
come una giovane montagna
l'Europa cuscino di letti traditi
abbandonati e dove il sangue
è steso, come stendardo futile
di potere, militanza idiota
di parole
e nessuna voce che salvi chi può.

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Sulla lettura e Oso
(di Corrado Giamboni)

Da qualche anno leggo sempre meno. Stanchezza agli occhi, ma è anche che basta una frase a riempirmi una giornata, talvolta è sufficiente una parola, talvolta anche niente. È che sto invecchiando, credo, e invecchiando mi stratifico. Si ispessiscono gli echi, le valenze, le cose che già so, i significati. Mi basta sempre meno. Ma è anche che le cose si fanno più pesanti, comprese, soprattutto, le pagine da sfogliare, da percorrere e da precorrere. E da ripercorrere, perché la vera lettura, e quei sta la fregatura, è nel rileggere. Lanciavo l’immaginazione in avanti un tempo quando leggevo e quando vivevo di più, anche adesso lo faccio, ma è rallentata, affaticata come da una soma. Ma nel vivere ho migliorato la qualità. Di quantità si parla sempre meno oramai, almeno nel mio caso, ma la sicurezza è aumentata, perfezionato l’orientamento, sicuramente quello entro i limiti del conosciuto. Per qualche anno ancora dovrei poterne seguirne gli sviluppi.

***

Oso andava in giro con una borsina di plastica colorata per essere visto, per farsi vedere. Voleva distribuire felicità. A volte ci riusciva.
Ecco come faceva. Girava con questa borsina colorata e abbastanza appariscente, e mentre camminava la faceva ondeggiare, su e giù, e quando si fermava la appoggiava sempre in posti visibili, possibilmente. Aspettava in questo modo che qualcuno gliene chiedesse ragione. A chi gli chiedeva ragione del contenuto di quella borsa, poiché Oso la portava apposta per voler distribuire felicità, lui era contento e gliela mostrava subito.
Cosa c’era dentro? C’era una scatola, una piccola scatola colorata. Oso allora tirava fuori questa scatolina con entrmbe le mani, lentamente, e sorridendo la apriva dopo averla appoggiata sul tavolo (se c’era un tavolo, se no niente).
Ecco: in quel sorriso che Oso faceva c’era il regalo per la persona che aveva davanti. Era un sorriso così disarmato e che diventava mano a mano così aperto mentre Oso compiva quel gesto, che davvero lo percepivano tutti come un regalo, anche se lui di fatto non aveva dato niente a nessuno, in un certo senso. Però tutti diventavano più contenti e a volte alcuni se ne andavano via sorridendo, a volte basta poco.
Ma che cosa c’era insomma nella scatola?

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Divagazioni
(di Paolo Galloni)

In questo mese di febbraio 2003 Vaclav Havel lascerà la presidenza della Repubblica Ceca, un avvicendamento ordinario in una democrazia parlamentare. Eppure, la decisione sulla normalità o sull'eccezionalità dell'evento dipende in larga misura dalla nostra percezione della velocità dello scorrere del tempo e dal nostro senso di profondità cronologica nell'ambito della storia contemporanea. 
Lasciate che, come al solito, mi spieghi meglio con un/a ricordo/divagazione personale. Nell'estate del 1989, vale a dire 14 anni fa (obiettivamente un intervallo di tempo assai stretto, perfino nella memoria di un singolo), mi trovavo a Poitiers, nel centro della Francia, per partecipare alla sessione estiva del Centro di Studi Medievali della locale Università. Partecipavano una trentina di giovani studiosi o aspiranti tali provenienti da varie nazioni d'Europa e dal Nord America. Caso eccezionale (notate bene, eccezionale: nel 1989), c'era anche una decina di stagisti dell'Est (allora c'erano i muri, ricordate, che separavano Ovest e Est; Praga, per esempio, anche se geograficamente a ovest di Vienna, era Est); se la memoria non m'inganna erano 4 cecoslovacchi, 3 polacchi, 2 ungheresi e una russa. Fin dai primi giorni si creò una bella intesa, poi divenuta amicizia duratura, tra me e due storici dell'arte dell'Accademia delle Scienze di Bratislava, Jurai e Daniel. Spesso, alla sera, sedevamo a un tavolo di un bar e, con la felice collaborazione di un bicchiere di vino o di birra, parlavamo fino a tarda ora. Da noi, diceva uno, è l'assurdo che regola la vita. Da noi, continuava l'altro, ci vorranno almeno dieci anni perché cambi qualcosa. Circa un mese dopo un notiziario televisivo trasmise un'intervista all'allora dissidente Vaclav Havel. Havel era ricoverato all'ospedale, non ricordo se per un intervento o per semplici esami, e la sua camera era piantonata. Havel disse le stesse cose che avevo sentito dai miei amici a Poitiers: da noi è l'assurdo che regola la vita e ci vorranno almeno dieci anni perché cambi qualcosa. 
Ma, ecco: all'inizio dell'anno nuovo, dunque quattro o cinque mesi dopo, Havel era presidente della repubblica e Daniel, il mio amico di Poitiers, era responsabile nazionale dei musei della Slovacchia. Erano e sono persone di grandi qualità - e la loro carriera lo dimostra (Jurai sarebbe diventato presto direttore della Galleria Nazionale di Bratislava); eppure, nessuno di loro immaginava quello che stava per succedere nelle loro vite. I segni del cambiamento, che ci sono sempre, nessuno li aveva visti, dormivano sotto le stesse nostre lenzuola, ma erano invisibili. È la verità: dormivano con noi e nessuno li vedeva, nemmeno chi deteneva il potere e faceva l'impossibile per conservarlo.
La Storia rimane un mistero che si svela solo a posteriori (ennesima divagazione nella Divagazione: tutti coloro che alla caduta dei regimi comunisti dell'Europa orientale hanno proclamato l'inevitabilità dell'avvenimento, e sono tanti, hanno per ciò stesso negato i fondamenti del pensiero di chiunque creda nel valore centrale della libertà; essa, per esistere, presume che il futuro sia non determinabile e capace di contenere e valorizzare una pluralità di possibilità -per inciso, il determismo, in cui cadono i paladini dell'inevitabilità di un evento, era appunto uno dei capisaldi errati del pensiero marxista). 
Per Daniel, Jurai e Vaclav, i cambiamenti portati dai venti della storia sono stati positivi, una volta tanto.
Come sappiamo, più spesso avviene il contrario. Alcuni giorni fa il mio editore "narrativo", Fara, ha pubblicato un testo di scrittore ex jugoslavo, Drazan Gunjaca. Per l'occasione Gunjaca ha concesso un'intervista, da cui riporto un passo che completa la riflessione scaturita dal mio ricordo delle sere di Poitiers: "rimango stupefatto ogni volta che mi ricordo del periodo prima della guerra. Né io né gli altri intorno a me potevamo ipoteticamente accettare una tale possibilità. Eppure è successo. All'improvviso. Con incredibile facilità. La guerra è semplicemente scoppiata. Come se fosse stata pronta lì da anni, aspettando che qualcuno accendesse il fuoco. E nessuno di noi era cosciente di questa fiammella che bruciava di nascosto. Per questo scrivo. Al giorno d'oggi non c'è un solo paese al mondo dove non ci sia una simile fiammella, la questione è solo quanto la fiammella sia forte e sia stata riconosciuta. Questa è la cosa più terrificante che ho capito in questa guerra e che mi porto dentro."
Un ultimo ricordo personale. Molti anni prima, ero un bambino, in un piccolo borgo dell'Appennino emiliano ebbe luogo l'ennesima discussione intorno a Stati Uniti e Unione Sovietica. Dopo avere riconosciuto che all'Ovest (si diceva così) si viveva probabilmente meglio, un vecchietto di cui ho dimenticato il viso e di cui non ho mai saputo il nome, concluse il dibattito con una frase spiazzante: "Attenti" disse "anche noi ci troveremo in Russia, ma senza accorgercene". Voleva dire, credo, che l'Assurdo e l'Illibertà hanno mille volti e si insinuano nelle nostre vite in modo subdolo, camuffati da qualcosa d'altro, magari sorridenti e con il portafoglio pieno.

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Stretta di mano
(di Sandra Ammendola)

Fara, faro, forza;
notizie, notare, note;
librarsi, libri, liberi.
Fare spazi nuovi.
Fare storie oggi.
Terra forte,
nota impronta,
radice libera.

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Nicola e il baobab
di Tahar Lamri

A Velingara ho incontrato due bambini liberiani che mi hanno detto: "Ci sono stati combattimenti terribili vicino a casa nostra. Allora siamo fuggiti. Abbiamo camminato, camminato e ancora camminato. Siamo andati a Dakar, ma là non c'è niente da fare, poi siamo scesi a Thiès. Forse è meglio andare a Bamako. Se non ce la facciamo neanche lì andremo ad Abidjan."
A Dialakoto, ho incontrato due talibé. Bassirou, il più giovane mi racconta che si alza all'alba, e dopo aver fatto la preghiera, prende il suo barattolo vuoto di pomodori e così percorre la città porgendo la sua scatola agli uomini di buona volontà, e che se non porta abbastanza soldi la sera il Marabout lo bastona. Mi fa anche vedere alcuni segni, "però sono più fortunato di quello lì" mi dice, indicandomi un bambino che veniva dalla nostra parte. Arrivato alla mia altezza il bambino dice: "Salve, sono Iqbal Massih, vengo dal Pakistan. Ho otto anni e lavoro 18 ore in una fabbrica di tappeti per riscattare il debito contratto dalla mia famiglia per far sposare mia sorella. Sono stato assassinato un 16 aprile perché avevo detto: 'non comprate il sangue dei bambini', però più che per me, piango per lui là", e mi indica un altro bambino, che veniva dalla parte di Dienoun Diala, questi mi dice: "Ciao sono Mirko di madre serba e di padre bosniaco, mio nonno era croato e mi nonna slovena, mio bisnonno montenegrino e mia bisnonna macedone. Non so dove andare. Questo mio amico - e mi indica un bambino che veniva da Niokolo Koba - può venire con te?"
Il bambino, mi dice: "Non ho un nome, mia madre era Tutsi e mio padre Hutu, vengo dal Ruanda."
Poi sono arrivati tanti altri bambini. Non li posso ricordare tutti. C'erano bambini Rom che venivano da Roma, bambini turchi che venivano dalla Germania, bambine prese in trappola nella Casbah, bambini della Cambogia, un bambino dall'Afghanistan con un grappolo di bombe, poi c'era una bambina nuda, in bianco e nero, perché veniva dalla memoria, era vietnamita. Tanti bambini, da Medellin e da Cartagena, da Bandung e da Brescia. Abbiamo formato una lunga colonna. Poi quando siamo arrivati a Niokolo Koba, all'entrata del Parco Nazionale di Tambacounda, tutti i bambini si sono trasformati: chi in zebra, chi in elefante, chi in koala, chi in airone e c'è persino chi ha scelto di essere una leggera, leggerissima cavalletta. Da allora, io, Nicola di Mira, non sono più sceso dal mio baobab.

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Lo scaffale capovolto: gruppo aperto di lettura e condivisione
(di Gilberto Gavioli)

Al principio c’è un triangolo, con i tre lati naturalmente dissimili per esperienza, carattere e ampiezza. Da queste tre dimensioni ci si allontana subito con incontri, letture e percorsi. La rigidezza geometrica, solo apparente, si scioglie rapidamente; diviene cerchio, senza confini definiti, certi. Ipotetico eppure capace, per contenere parole e voci.
È sempre possibile aggiungere una pagina, un verso, anche un pensiero solamente, per non chiudere nulla, non delimitare niente.
Il viottolo che serpeggia a salire nel buio, il passaggio tra i rovi siano percorsi con entusiasmo, come la strada piana e larga: perché conducono tutti verso il successivo, illuminante incontro…
Quindi avvicinate la sedia, fatevi prossimi e cominciate a leggere, a condividere, ad ascoltare. Così che il cerchio si possa ampliare, allargare come l’orizzonte e non si riescano a distinguere più confini.

I – La partecipazione al gruppo è libera e aperta a tutti.
II – Non ci sono obblighi di lettura per chi interviene, né di parola. Sono ben accetti anche i puri ascoltatori.
III – Le proposte di lettura sono libere. È possibile leggere testi di ogni genere e lingua.
IV – Gli incontri si potranno tenere in luoghi differenti, anche all’aperto, con le giuste condizioni ambientali e acustiche. Il gruppo accetta ospitalità in case e spazi in affitto, circoli culturali e biblioteche, locali pubblici e altro.
V – In linea di massima gli incontri hanno luogo due volte al mese, solitamente mercoledì sera. Per invitare alla partecipazione si potranno utilizzare tutti i mezzi: dalla stampa locale all’affissione, dagli SMS alle e-mail, fino a una sorta di tam-tam emozionale.
VI – Le letture verranno pianificate all’inizio della serata, secondo le proposte emerse, e seguiranno un programma di massima. Non c’è un tempo limite di lettura, ci si affida alla discrezione e all’intelligenza individuale. Nel corso della serata, della durata di circa due ore, verranno effettuati due o più intervalli. Durante l’incontro o successivamente, si invitano i lettori a far pervenire al gruppo una copia dei testi. Questo servirà per eventuali pubblicazioni o spettacoli.
VII – Una o due volte l’anno si cercherà di organizzare uno spettacolo di lettura teatrale, con attori (e magari musicisti). Verrà proposta una selezione di testi già letti e ci sarà uno spazio per nuovi lettori e testi

Per informazioni e contatti: www.ilfoglioclandestino.it
Gilberto 339 3604295 gilgiona@infinito.it
Giulio 328 6744454 jxxxx@tiscalinet.it
Luca 340 5747542

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Il carrello diventa biblioteca
(di Angela Barlotti)

Il 23 aprile prossimo, giornata mondiale del Libro dell'UNESCO (il cui Manifesto del 1995 sulla Public Library che incitava ad uscire dalle mura storiche delle biblioteche per raggiungere gli utenti in ogni luogo e dare a tutti il diritto di informazione, mi ha spinta verso l'avvio di biblioteche in carcere e altre strade verso utenti disagiati o particolari servizi al cittadino...) a Ravenna, presso l'IPER ESP, supermercato Coop prenderà il via il progetto

All'IPERCOOP il carrello diventa biblioteca

a. Seminar libri... sugli scaffali COOP (dove verranno abbandonati libri che cattureranno i potenziali lettori, tra una scatoletta e l'altra, tra una maglietta e un poster... nella speranza di promuovere la lettura e lo scambio di libridono sugli scaffali.

b. Portare i libri a casa con la spesa ai Soci COOP.

c. Interrogare i cataloghi della Rete Bibliotecaria Romagnola, via OPAC.

d. Prestar libri (donati soprattutto col progetto Aiuta una biblioteca donando un libro e che ora sono in parte nel mio ufficio e i parte nel mio garage e nella mia auto!) all'interno dell'IPER.

Quindi una "quasi" Biblioteca della Rete Bibliotecaria Romagnola, all'interno di un IPERMERCATO!!!

Il progetto porterà le firme
1. Provincia di Ravenna- Servizio Biblioteche -BIBLIOTECHE "FUORI DI SE'"
2. IPER
3. COOP Adriatica

La "felice" Bibliotecaria "Fuori di Sé" Angela Barlotti
Provincia di Ravenna
Tel. 0544.250719 - 339.2153819

Siti consigliati

Centro Psicopedagocico per la Pace www.cppp.it
Ratatoj www.ratatoj.it
Museo della Poesia museo.della.poesia.free.fr
Africa e Mediterraneo www.africaemediterraneo.it/index.htm
Pagina di musica antica www-ceb.bo.infn.it/meneghini/music.htm
Il Dialogo www.ildialogo.org/cultura/index.htm
Qui-appunti dal presente web.tiscali.it/rivistaqui/index.html
Tavola della pace www.tavoladellapace.com

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