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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 55
Luglio 2004

Editoriale: Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

I giurati Clementina Sandra Ammendola, Daniele Bottura, Alessandro Giovanardi, Ardea Montebelli, Andrea Parato, Michele Ruele e Fara Editore sono lieti di proclamare vincitori della III edizione del Concorso Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004:
Gabriella Maddalena (Malo, Vicenza) autrice di 7 sorelle, una attività ludica di ricerca di parole e ritmo che trae voce da quella sospesa dei cantori francesi del simbolismo e dagli avi popolari della filastrocca unendo il fanciullesco all’arcano.
Barbara Rosenberg – Emanuele Scataglini (Milano) autori di Terra di nessuno per aver mescolato ingredienti già noti con freschezza e leggerezza creando una fiaba moderna: un mito fondante e solidale che rinfranca.
Diego Giordano (Nocera Inferiore, Salerno) autore di Io conosco cosa è amore per la capacità di tratteggiare con chiarezza un modo di esperire che ci lega alla terra e alle generazioni passate, fino a spezzare le turbolenze moderne nel ciclo atavico delle stagioni.
La giuria ha segnalato anche i seguenti autori per la pubblicazione su Faranews:
Simona Cremonini (Montanara di Curtatone, Mantova) autrice di Cose lasciate e cose trovate, una descrizione che rispetta il ritmo dei personaggi e della storia, una cronaca del quotidiano trasformata in una poetica denuncia minimalista.
Manlio Pertout (Trani, Bari) autore di Alla lapide di Jim, insolito ed orginale nell’affrontare il tema della morte con linguaggio graffiante e persuasivo.
Chiara Nobilia (Subiaco, Roma) autrice di Giada, un testo che affronta con semplicità il complesso momento che precede la nascita e il rapporto madre-figlia.
Menzione infine per Barbara Serdakowski, già premiata al concorso IIIM, per Il seme, dallo stile preciso e tagliente senza eccessi nell'amarezza.
Un grazie particolarmente sentito ai giurati, ai partecipanti e a tutti i nostri affezionati lettori.

 

OPERE VINCITRICI

7 sorelle

di Gabriella Maddalena

C’erano una volta sette sorelle
sette
diverse
come un campionario all’esposizione.
Una sentiva la voce del vento
un’altra la voce di Dio
una si vestiva di nebbia
un’altra di luce abbagliante
una mangiava gesso e creta
un’altra miele.
C’erano una volta sette sorelle.
Ognuna aveva la sua canzone.

La prima cantò con gli occhi bassi
e fu travolta dalla tempesta
invano la sua voce
si diffondeva tenue
in quel clamore.
La sua canzone
si perse nel vento.
Quando tacque
si udì un inquietante silenzio
nessuno più udì il suo canto.

La seconda cantò più forte
sicura della sua forza.
Quando fu travolta dalla tempesta
la sua voce si alzò in un lamento
e divenne leggera
come un raggio di luna.
Quando venne la bonaccia
la sua canzone fu
un suono meraviglioso
nuovo come il primo mattino
forte come mai era stata.
A tutti donò il suo canto.

La terza non sapeva cantare
ma aveva la magìa nelle mani
divenne fata e folletto
e muoveva le cose intorno
ridendo con suoni argentati.
Forse la tempesta ebbe paura
della sua magìa
forse la sua canzone fu t
roppo debole
o troppo forte.
La vita cantò per lei
e lei fu canto della vita.

La quarta aveva molta paura
ma possedeva il canto dell’usignolo
aveva i suoni più dolci e più puri
e tesseva con pazienza la sua melodia.
La tempesta la scosse appena
l’uragano la sfiorò senza spezzarla
il suo canto leggero
non si fermò mai.

La quinta si fece un vestito da regina
la sua voce era suadente
forte e intonata
calda e vibrante.
La tempesta non la piegò
la sua canzone arrivò alle stelle.

La sesta cavalcava l’uragano
e si vestiva con l’arcobaleno
non volle cantare una sola canzone.
Quando arrivò la tempesta
quando il vento scosse la polvere
e la terra gemeva e tremava
tenne un asola nota
e ricamò su di questa la sua canzone
tenace
forte e strana
sole di mezzanotte.

La settima aveva la voce per cantare
temeva il vento e l’uragano.
La sua canzone si alzò a lungo
sottile e limpida
come una sorgente.
Quando la tempesta le tolse l’acqua
non ebbe più forza per cantare.
Ma ogni tanto,
quando la luna splendeva
e il narciso fioriva
la sua canzone si alzava sorpresa
per seguire una strada non conclusa
fra il vento impetuoso
e gli scrosci di pioggia.
C’erano una volta sette sorelle
tutte diverse.
Ognuna cantò la sua canzone
e fortunato per sempre fu
chi si fermò ad ascoltarla.

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Gabriella Maddalena Macidi è nata a Malo (Vicenza) il 23 giugno 1951, decima figlia di una famiglia di contadini. Insegnante elementare, vive e lavora a Malo. Sposata nel 1973, ha avuto due figli ed è vedova dal 1980. Scrive poesia dall’adolescenza, come esigenza di vita e linguaggio espressivo di introspezione e auto-analisi. Usa il linguaggio poetico anche come gioco e divertimento. Un altro grande interesse è la musica in tutte le sue manifestazioni. Canta con il coro polifonico “I cantori di Santomio” fin dalla sua fondazione nel 1967, anche se non in modo continuativo. Alcune sue poesie sono state segnalate e pubblicate in rete o su antologie. Il 13/12/03 ha ricevuto il 4° premio con la lirica “Parole di pace” al Concorso “Emozioni e magie del Natale” di Piacenza e il 10/1/04 il 1° premio di poesia sottosezione haiku con “haiku Natale” alla XV edizione del Premio Natale – Città di Tremestieri Etneo. Nel maggio scorso la poesia in vernacolo “Sogno” ha ottenuto il premio speciale della giuria al concorso “creatività itinerante” di Gallipoli.

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Terra di nessuno

di Barbara Rosenberg ed Emanuele Scataglini

Ulisse approdò sull’isola. Erano trascorsi vent’anni dall’incontro con il ciclope e la sconfitta gli bruciava ancora. Dal suo ritorno ad Itaca non aveva più intrapreso viaggi così lunghi. Era stanco. Vecchio e stanco. Ritrovò subito la caverna; l’antro era spalancato. Polifemo dormiva su un letto di paglia. Rivedendolo Ulisse pensò: ”Lo costringerò a trattarmi da ospite. O non farò più ritorno in patria.” Poi si rifugiò dietro una siepe e si addormentò. All’alba il ciclope uscì dalla caverna. Non era cambiato, a parte l’enorme cicatrice sulla fronte. Per non farsi scoprire dal suo odorato, l’eroe si spalmò delle bacche amare su tutto il corpo. La poltiglia coprì l’odore di carne umana, ma attirò anche numerose vespe. Ulisse alzò le spalle. Mentre il ciclope era al pascolo, il figlio di Laerte entrò nella caverna per cercare del cibo. Trovò del formaggio e ne mangiò fino a saziarsi. La caverna era cambiata. C’era il fuoco acceso, scorte di miele ordinate sulla madia ed il letto rifatto. In lontananza, un grande arnese di legno. Ulisse si avvicinò, ne sfiorò le corde e, d’improvviso, sentì dei suoni. Si trattava di una lira. Una lira gigantesca. Non seppe cosa pensare. Ma non ne ebbe il tempo, ché il ciclope era già di ritorno. Ulisse cercò di fuggire, ma riuscì solo a nascondersi dietro un ciocco di legno. Su di esso era conficcato uno scalpello. Polifemo riportò le pecore all’interno della grotta, poi sbarrò l’uscio con un masso e si avvicinò al fuoco. Ad ogni suo passo la terra tremava. Sedette su un tronco e si mise a scaldarsi. Ulisse recitò le sue ultime preghiere. Allora Polifemo parlò:
”Vieni accanto a me, Nessuno”.
Facendosi forza l’eroe rispose: “Così mi hai scoperto, figlio di Poseidone!”
“Certo. Non sai che i ciechi sentono tutto?” e poi aggiunse: “Voglio ricambiarti il favore che mi facesti vent’anni fa”.
Sicuro di essere divorato, Ulisse sedette tremando vicino al fuoco. Polifemo prese una botte e versò del vino in due ciotole.
“Bevo alla tua salute, Nessuno”.
Ulisse capì che il ciclope non aveva perso l’abitudine al bere e che ora avrebbe gradito anche una cena umana.
Invece, Polifemo gli porse una coppa e iniziò il racconto:
“Quando arrivaste sull’isola, stavo finendo il mio apprendistato. Poseidone ed i miei fratelli vigilavano sulla mia educazione. Dovevo imparare la violenza, ad infrangere le Leggi di Zeus, a mangiare carne umana. Così sarei diventato un bravo ciclope e mi avrebbero accolto tra loro. Fu un periodo terribile che ancora mi perseguita nel sonno.”
Ulisse non credeva alle sue orecchie. Ma Polifemo continuò: ”Perciò ti chiedo perdono, Nessuno. Ho dovuto comportarmi così”.
In quel momento l’eroe, vinto dal timore e dal vino, si addormentò.
Si svegliò l’indomani al suono della lira. Era sdraiato accanto al fuoco con una coperta addosso. Polifemo suonava talmente bene da far invidia ad Apollo. Poi pose lo strumento e si rivolse all’eroe: “Suono per te, Nessuno. Con la cecità mi hai liberato.” Poi raccontò di aver interrotto il suo apprendistato con la perdita della vista: Poseidone lo aveva lasciato vivere come desiderava. Così, giorno dopo giorno aveva scoperto la musica, le gioie della natura ed anche la scultura.
Passò il tempo ed Ulisse rimaneva ospite del ciclope. Al mattino pascolavano il gregge, alla sera cenavano insieme; l’eroe raccontando le sue mille avventure, Polifemo suonando o intagliando il legno. Ma una notte il ciclope sognò la nave di Ulisse che lasciava la riva e sentì la sua voce: “Parto per l’ultimo viaggio”. Si svegliò di soprassalto. Toccò la branda dove dormiva l’ospite. Era vuota. Corse verso la spiaggia inciampando in ogni pietra. Il vento era forte. Si fermò solo sulla riva quando, sollevato, udì il rumore della nave attraccata agli scogli. Chiamò Ulisse, ma non ebbe risposta. Improvvisamente il suo occhio rivide la luce. Vicino ad un remo piantato nella sabbia c’era Atena. La dea gli adagiò nella mano il corpo dell’eroe e disse: “Il tuo amico sarà sempre con te”. Poi sparì. Il ciclope accarezzò il piccolo corpo con gentilezza, scavò una buca nella sabbia e ve lo depose. Poi, prese un enorme pezzo di legno dalla prua della nave e la conficcò sul tumulo. Con un remo affilato incise sulla lapide la scritta: “Terra di Nessuno” e guardando verso il mare attese il ritorno del buio.

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Barbara ed Emanuele, compagni nella vita e nell'arte, si dedicano alla scrittura ed alla musica. Barbara Rosenberg è nata a Milano, il 5 settembre 1971. Laureata in Scienze politiche si occupa di comunicazione presso la Regione Lombardia. Scrive racconti, alcuni di essi pubblicati da Rubbettino (Microracconti, opere d’inchiostro, 2002) e da Newton & Compton (Racconti nella rete, 2003). Emanuele Scataglini è nato a Pavia il 15 dicembre 1968. Laureato in filosofia, è Web Master presso il Consiglio regionale della Lombardia. Scrive canzoni (testi e musica) ed ha frequentato il Cet (scuola per compositori di Mogol); ha collaborato con alcuni teatri di Milano nella composizione di musiche di scena.

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Io conosco cosa è amore

di Diego Giordano

Sono un contadino. La mia vita fugge via sul filo delle stagioni. Le mie emozioni sono regolate dal tempo. E dal vento. Il mio cuore batte completamente nel campo. Ho il volto arso dal sole e le mani rotte. La schiena spezzata e i piedi gonfi. E con tutta probabilità sono stupido. Ma io conosco cosa è amore.
Sono nato quarant’anni fa sopra un albero di pesco, e svezzato sotto i mandorli e gli ulivi con dolce miele di fraterne api. Le mie lacrime diventano pioggia con la pioggia. Che quindi credo di aver nutrito la mia terra con un cielo che si è fatto carne. Non conosco legge che non sia quella dell’ora e adesso. E vuol dire per sempre. E il bene e il male sono privi di ogni forza per me. Se qualcosa vive, se qualcosa muore io dico “è così”. Ho seppellito la mia vita sotto la dura e lucida corazza della quercia. Affinché viva ci vuole la terra. Che ha il sapore di umida vulva e il colore irripetibile di un’iride che mai è.
Ecco che il velo si dissolve e dio mi chiede quello che è al tempo stesso il sacrificio che gli concedo e il premio che mi spetta avere: la mia stanchezza. Mi metto a lavoro e le ossa esplodono come ciocchi nel fuoco. Uccido il campo con tremendi colpi, affinché ci sia un solco e unico spazio vero in cui conservare l’anima. Eterno.
E quando il vetro cade dall’alto con i miei pugni lo frantumo. Perché io sono l’intermediario. Ciò che è lassù va di pari passo con ciò che è quaggiù. Come se non ci fosse netto distacco con l’orizzonte. Due vite ma una. E una di nuovo due. E qui la storia di ciò che fu l’altro ieri si conserva. Fortunato chi la scoprirà.
Questa notte il cielo è terso e splendente. Mille fuochi sono accesi sui miei occhi. Ma soffusi come una ninna nanna che mai più voglio svegliarmi. E poi finalmente è nata la rosa. Da sempre la coltivo. Ed ora è vicino a me. La sento crescere e vivere. Una rosa è una rosa è una rosa. Tra non molto la sentirò anche appassire e morire.
Ma ci sarà la prossima stagione.

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Diego Giordano
è nato a Cava de'Tirreni il 19/09/1979, laureando in filosofia all'università di Salerno e in pianoforte al conservatorio di Napoli. Primo classificato al concorso nazionale "Interrete" 2003 nella sezione narrativa con il racconto "La morte di Socrate". Tra i selezionati Slammers italiani di Intterete/Prospettiva Editrice ha partecipato allo Slam Poetry tenuto a Napoli. Ha pubblicato vari saggi filosofici su riviste telematiche.

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OPERE SEGNALATE

Cose lasciate e cose trovate

di Simona Cremonini

Ha guidato per qualche chilometro, nella paura di essere vista, di essere fermata da una sporadica pattuglia. Il fagotto sul sedile accanto al suo ora tace, forse si è addormentato dopo tanto piangere.
Penetra nella discarica, con facilità. Non è nemmeno sorvegliata: la rete di recinzione è rotta e nessuno si è curato di ripararla. È un vecchio deposito; se sindaco e giunta comunale si fossero messi d'accordo probabilmente sarebbe già stato interrato o svuotato e il terreno sarebbe stato coperto da un nuovo centro commerciale.
Lascia la macchina il più possibile nascosta. Non vuole che la vedano, non vuole dare spiegazioni, ma soprattutto lo sa che non dovrebbe fare ciò che sta per fare. Ma nei piccoli paesi si mormora. E lei quel bambino non può tenerlo. Non ha nemmeno detto ai suoi che l'aspettava.
Lo stringe al petto. Le dà una sensazione commossa, la percezione di un calore interno, nuovo, sconosciuto. Scaccia questi pensieri. È una cosa che deve lasciare.
È un luogo per cose da lasciare quello che la circonda. Cose che non si possono più tenere, cose rotte, cose inutili, cose usate e perciò ignominiose.
Cammina per lo stretto sentiero. Il fardello si è rimesso a piangere, probabilmente per l'odore pungente che c'è tutto attorno. Non importa, si dice. Tanto nessuno, lì, può sentirlo.
Dovrebbe posarlo per terra, in quel punto, in un punto qualunque, ma sta cercando un punto giusto, perché sa che quello che fa è sbagliato, quindi vuole almeno provare ad attutire la sua colpa.
Basta. Posalo e basta, dice a sé stessa.
Decisa, si avvicina a un piccolo cumulo di rifiuti. C'è un sacco nero semivuoto, con una piccola incavatura al centro. Perfetto.
Il suo sguardo è catturato da qualcosa di rosa, lì a pochi metri. Rosa in mezzo al grigio. È un braccio. No, un gomito.
Una sensazione diversa le sale dal ventre verso il petto. Paura.
Si avvicina, ormai l'ha visto, vuole sapere tutto.
Con il fagottino ancora stretto al seno, si sposta e gira intorno alla catasta di immondizie. È un gomito, aveva visto giusto. C'è anche il suo proprietario, lì con lui. È un uomo pasciuto, con le guance rotonde e gli occhi semiaperti. È come una grossa bambola, immobile, rosato, ma i suoi vestiti non sono a posto, sono sporchi, imbevuti di un fluido rosso scuro. Sangue. La camicia doveva essere bianca ma ora è chiazzata di macchie di fanghiglia e sangue.
Un'altra cosa lasciata.
Anche per lei è ora di lasciare quello per cui è venuta fin lì.
No, non può farlo. Si rende conto che non può lasciare quella cosa piccola e pulita in mezzo a tutto quello. Non può lasciarla e basta. E' ancora sua.
Si volta e se lo stringe. Ora lo coccola, gli parla. Stai tranquillo, gli dice. Andiamo via di qui, gli dice. Piange.
La recinzione è ancora aperta. Esce di lì.
In quel luogo di cose lasciate, ha trovato il suo bambino.

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Simona Cremonini è nata il 23 febbraio del 1979 e vive tra il paese di Montanara (Mantova) e la casa estiva sul lago di Garda.
L'amore per la scrittura è cominciato nel 1998, quando scrisse il romanzo Il visitatore notturno nella sala d'attesa della stazione dei treni di Verona, invece di frequentare l'università come pensavano tutti gli altri... Il romanzo è apparso a puntate sul sito www.alidicarta.it ed è ora disponibile come e-book sul sito www.latelanera.com Dopo essersi divertita a pubblicare vari racconti su Internet, con grande soddisfazione ha visto il suo Bagno di Servizio classificarsi secondo al concorso Premio Ghost 2003. Durante il giorno lavora, anche se non ha ancora trovato un'occupazione che le faccia mettere la testa a posto. Durante la notte di San Lorenzo, alle stelle cadenti esprime sempre lo stesso desiderio: diventare una scrittrice a tempo pieno. Ama i gatti e la letteratura horror. È un'ammiratrice di Anne Rice, Isabella Santacroce e Sheryl Crow.

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Alla lapide di Jim

di Manlio Pertout

Hai presente la scena?
Ci siamo io ed il mio Divano di porpora vestito.
Il Televisore acceso s'era addormentato da un po'.
E così dev'essere entrata in soggiorno approfittando della quiete, come raramente ma più piacevolmente fa, mi avrebbe confessato dopo.
Entrò e si piazzò sulle mie palpebre già pesanti.
Aprendole e sollevandola, praticamente le permisi di restare.
Avrei dovuto immaginare quello che ne sarebbe venuto fuori.
Penso: do corda alle mie vene e scappo via.
Ma cazzo, mentre corro via torno indietro, fino alla mia infanzia. E non mi andava Jim, non mi andava proprio...
E così smisi di correre.
Se avevo paura mi chiedi?
Diamine, ce l'avevo davanti...
Ad ogni modo: dopo qualche attimo sono anche riuscito a darmi un contegno, ho urlato come si conviene e mi sono riabbracciato alla pelle del Sofà.
Fu a quel punto che la Resilienza dei miei incubi, sempre pronta a darmi ragione, trovò interessante la situazione e prese posto sulle mie ginocchia...
Insomma, non so come dirtelo, cominciammo a goderci la visita...
Lei era lì che si metteva le mani dove non doveva, flirtando con la fede ed altre sensuali umanità come in un'orgia senza sessi e... E ad un tratto comincia a spogliarsi.
Hai mai visto la Guerra nuda?
È una visione che toglie il fiato Jim, sapessi che prosperità... Che scheletrica abbondanza...Una top model andata a male ma che sa il fatto suo.
Come piacciono a te, Jim.
Per carità, si lasciò solo guardare e la Grazia stessa tornò a rivestirla.
Mi sussurrò qualcosa prima di andare via.
Mi disse che ti avrei rincontrato.
Che ora anch'io sapevo com'era la Guerra, Jim.
E che...Eh, eh... Sapevo anche com'era nell'intimità...
Ora, a dire il vero, lo sapevano tutti in quella stanza: la Resilienza dei miei incubi ed il Divano rosso.
Solo il Televisore si perse tutto.
Migliaia di chilometri lontano da quel fronte.
Migliaia di chilometri lontano da te.
Cosa credi? Che io non sappia che non sei qui?
Solo la TV si perse tutto, Jim.
E si stupì di trovarmi al mattino con la tua medaglia conficcata nel petto, il Tennessee prosciugato ed un sorriso che innervosiva.
Ed innervosisce ancora quando parlo di te alla gente, Jim.
Quando parlo di te, di me. E della Guerra.
Con una cicatrice sul petto ed un sorriso che innervosisce.
Sapessi quanto, Jim. Sapessi quanto...
E a te? A te come va?

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Manlio Pertout è nato a Trani il 29 giugno 1976 e si è laureato in Giurisprudenza all'Università di Bari. È responsabile dei progetti web e dei sistemi informativi di un'azienda che opera nel settore della tecnologia dell'informazione e della comunicazione. Appassionato fin dall'infanzia di tutti i generi della letteratura.
Lasciandomi ispirare da ciò che legge, ma anche da cinema, musica, viaggi, arti figurative, sport, da anni scrive quotidianamente poesie, romanzi, racconti, sceneggiature che solo recentemente ha deciso di far conoscere agli editori.
Vivendo già per lo scrivere, ha l'ambizione di vivere dallo scrivere.

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Giada

di Chiara Nobilia

a Massimo

sono Giada
      ;un’emozione non ancora fuori
                         ;un’attesa silenziosa

mi chiedevo se sarei stata di mancanza,
                                          o di co sa..

il mio tempo sembra pochissimo,
ma è un tempo centopercento .

aspetto, capendomi intanto,
      e intanto fremo dalla voglia di accarezzarti il viso…

conviviamo da sempre, bambina mia…

nell’attesa, ho imparato a sopportarti, e immaginavo sarei stata di mancanza, perché ti manca Lei.

sto con te mentre mangi.
mentre ascolti la tua musica nei cd, anch’io ascolto musica:
                                                         quella tua, dentro.

ventiquattro agosto duemilasei – non c’entra il cid di stamattina, non c’entrano i vari cazzi: ti manca Lei.

io sono qui e per te…………il tuo dolore è un Richiamo…………lasciami uscire

…tocca a me…
!!!eccomi!!!

ORA SONO UN’EMOZIONE TIRATA FUORI!!!

sono sull’orlo dei tuoi occhi
giù
sento la tua guancia
ti amo… così…
prendo velocità
…il tuo mento…
.fatto.

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Chiara Nobilia è nata a Roma l'11 novembre del 1977 e vivi a Subiaco. Si è laureata in Lettere all'Università La Sapienza di Roma con una tesi intitolata "La produzione neologica in lingua italiana nella pubblicità della radio e della stampa. Sta conseguendo il Master in Scrittura pubblicitaria presso l'Istituto Europeo di Design in Roma e frequentando un corso di Scrittura cinematografica organizzato dal "Premio Solinas". Ha frequentato vari laboratori di scrittura (Scuola Holden, Scuola Omero).

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Menzione

Il seme

di Barbara Serdakowski

Se ci fossero soltanto le ore, il tempo, le stagioni: nient’altro che l'inevitabile. La gente, si sa, si lamenta tanto proprio di queste cose immutabili, alle quali non si può fare niente. Per Minonne l'inevitabile sarebbe stato una cosa accettabile, era il resto che era problematico.
L'uomo si era alzato, la gamba e il piede nudi e freddi, aveva tirato il lenzuolo per coprirsene il sesso lasciandola totalmente scoperta. I suoi passi erano netti e decisi. Non fece vedere altro che la nuca gli ultimi minuti che tardò a prepararsi. Minonne non aveva protestato e si era lasciata scoprire senza vergogna sapendo che non lo avrebbe più rivisto. Gli oggetti intorno a lei rimasero com’erano sempre stati, ed anche l'acqua, che lui impiegò prima di uscire, scese con il rumore usuale di un rubinetto qualsiasi.
L'immobilità si rifletteva nelle molecole d'aria che la circondavano, il silenzio, le pareti traspiranti di umidità, le sue mutandine aperte, ebbe un pizzicore di imbarazzo, e poi la tazza di tè già vuota sul comodino prima che lui arrivasse. Niente era cambiato.
Ma le cose possono cambiare, da un momento all'altro e quindi l'uomo rimase. Quel giorno si alzò ma lei gli venne dietro, lo abbracciò e gli disse: resta con me. Lui non aveva altro da fare e quindi rimase. Il tempo passò velocemente e ben presto Minonne si chiese perché, la prima volta dopo l'amore, avesse tanto desiderato che lui rimanesse? Adesso non sapeva cosa farne. Si ricordò che da ragazza aveva avuto un cane. Un cane sarebbe uscito al meno un paio di volte il giorno ma l'uomo, lui, non usciva praticamente mai, invece le chiedeva costantemente dove andava. Voleva sapere tutto, in ogni momento:
- Minonne dove sei?
- Minonne cosa fai?
- Minonne dove vai?
E ancora, e ancora, perché? Come mai? Già? Ancora no? Ecc... Delle parole, fiumi di parole isolate che non finivano più. Non erano delle frasi complete con delle idee tonde su cui pensare, alle cui rispondere o da ragionarci su. Erano parole singole che lui diceva ossesivamente, domande assillanti alle quale non esisteva risposta giusta. E poi c’era da alimentarlo e fare sesso su richiesta. Più che fare l’amore lui si forbiva su di lei per poi ricaderle accanto, senza fiato, flaccido e tremolante.
Nell'infinità cosmica le cose possono sempre cambiare e l'uomo, quel primo giorno a casa sua, i piedi e le gambe fredde ma il lenzuolo sul basso ventre se ne andò lasciandola nuda come un verme, sola e senza vergogna. Lei pensò la notte e pensò il giorno. Perché non lo aveva trattenuto? Avrebbe tanto voluto un uomo tutto per se. Un uomo che la desiderasse in ogni momento, un uomo che la cercasse, che si interessasse di ciò che faceva... Nient'altro che un barometro in casa e il silenzio delle donne sole, sdraiate e pesanti nella penombra che non osano nemmeno più toccarsi per paura di risvegliare ancora il ricordo delle voglie.
Divenne vecchia e finì per vestirsi di nero come le anziane del suo paese. Con le calze spesse, la gonna di lana grezza e un fazzoletto sui suoi capelli smorti divenne l'immagine stessa de la foto di sua nonna. Minonne guardava la foto invece dello specchio per assicurarsi di somigliarle il più possibile.
Ma sua nonna aveva avuto bambini. Per essere stata una nonna aveva dovuto essere prima una donna. Prima di essersi inguainato il corpo di nero, di calze e di fazzoletto, aveva dovuto darsi all'uomo e poi portare il peso di un bebè nel ventre.
Volle un bambino. Quel famoso giorno l'uomo rimase. Si era alzato con la gamba e il piede nudi e freddi, lei lo aveva seguito e gli aveva chiesto di restare... L’uomo non aveva altro da fare e quindi fece quello che fanno gli uomini per giorni e giorni. Minonne aspettò due mesi completi per esserne molto sicura. Paziente, calcolò i giorni, il passaggio della luna, il ciclo delle stagioni, l'orbita dei pianeti e quando finalmente fu certa che il suo ventre era ben pieno, chiuse il corpo all'uomo e si mise ad accudire lui e il suo frutto. Il bambino però non era di buon seme, era magro, malaticcio e picchiava gli animali. Passarono gli anni, erano anni di sacrificio, di pane duro bagnato nell’acqua, di maestre stizzose, di calzini sporchi e bucati, di dita intirizzite, di rimproveri quotidiani.
Una mattina, fuori il freddo era grigio, Minonne tornò per l’ultima volta a quel momento iniziale, tornò all’uomo, si alzò prima di lui questa volta, tirò lei stessa sul lenzuolo e lo guardò per bene mentre dormiva. Era davvero magro e brutto. L'uomo uscì dal letto con il piede nudo e se ne andò senza parlare, non girò la testa neanche per un istante... Lei si vestì di nero, nascose la foto della nonna e il barometro, e pianse abbondantemente quello che avrebbe voluto essere, l'uomo che avrebbe dovuto desiderarla, il bambino mai nato.

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Barbara Serdakowski è nata in Polonia, è cresciuta in Marocco, emigrata in Canada, residente a Firenze dal 1996. Ha vinto numerosi premi letterari ed è presente in antologie e su riviste letterarie.

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