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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 32
Agosto 2002

Editoriale: II edizione del Concorso IIIM

Questo Faranews è dedicato ai vincitori della seconda edizione del Concorso IIIM Terzo Millennio. I giurati Sandra Ammendola, Andrea Campanozzi, Corrado Giamboni, Alessandro Giovanardi, Mauro Raggini e Paolo Galloni hanno premiato le seguenti opere (essendo il livello delle opere arrivate mediamente molto buono il loro lavoro non è stato dei più semplici – un grazie sentito a loro e a tutti i partecipanti):

Tempi illuminati di Helene Paraskeva (I);
Nie boj sie di Barbara Serdakowski (II);
Finis Terrae di Roberta Bertozzi (III ex aequo) e
La strada di Paola di Giovanna Rossi (III ex aequo).
Dialogo con Sofia di Adeodato Piazza Nicolai (premio speciale)

I vincitori riceveranno in dono libri rappresentativi dell'attività editoriale di Fara: 15 al primo, 10 al secondo, 5 al terzo e 3 al premio speciale.

Sono state segnalate le seguenti opere: Viaggio inverso di Alberto Casadei, Il coltello di Barbara Serdakowski, Un salto nel buio di Gabriele Astolfi, Silvana Mangano di Massimo Zaina e Per la fine di un secolo di Rita Garzetti Chianese.
Opere menzionate: Primavera a Jenin di Roberto Pasquali, 91-bar di Costantino Loprete, Fuga da Bomoref di Pietro Santi, A scuola di Apollinaire di Pierubaldo Bartolucci, L'addio di Gilberto Ciavatta, La trappola di Marco Bolla, Amore nel tempo di Leonello Rabatti.


Opere vincitrici

Tempi illuminati

(Helene Paraskeva I classificata)

Si faceva chiamare Natascia. Da Anastasìa. Fra i libri scolastici portava clandestinamente “Nanà”, il romanzo di Zolà, e mi leggeva i brani più scabrosi che raccontavano le sensazioni e i piaceri della giovane prostituta. Della sua brutta fine, però, seppi molti anni dopo.
Alla parola “piacere” fermavo Natascia e le chiedevo di rileggere il pezzo. Chiudevo gli occhi e ascoltavo avidamente. Questo “piacere”, mi spiegava, era la dolcezza che provavi quando andavi a letto con un compagno di classe. Succhiavo la dolcezza della parola lentamente, come una caramella. Mi ero già ispirata.
- Ah, sì, già fatto con Paolo.
- Chi? Quello del terzo banco?
- No. Uno della scuola dove andavo prima…
- E quando l'avete fatto?
- Alla sua festa!
- Bugiarda! In seconda elementare non si va a letto!
- Invece sì! Siamo andati a letto!
Poi Natascia e io correvamo in classe.
“Calliope è la Musa dell'epica…” Spiegava il Maestro. Natascia voleva conoscere i dettagli ma i banchi erano lontani.
- Non importa. Ti scrivo un biglietto e mi rispondi!
Mi sentivo già scrittrice.
Domanda n° 1: “Avete mangiato i dolci con Paolo a letto? Firma”
Risposta n° 1: “Sapessi che dolci… Firma”
Il Maestro spiegava le Muse e io scrivevo la novella epistolare.
D. N° 2: “Bugiarda, non ci credo! Che avete fatto? Nat.”
R. N° 2: “Giocavamo all'oracolo. Lui doveva toccarmi le mutande. Siamo andati in camera, nel buio. Io.”
Il biglietto passava per cinque mani.
D. N° 3: “E poi? Nat.”
Cinque cuori battevano in attesa della terza risposta.
R. N° 3: “Tante dolcezze che fanno venire l'acquolina in bocca… Io”
E non avevo ancora letto della Lady lussuriosa, né del rude taglialegna.
La quarta domanda non è mai arrivata.
Dopo un mese, alla convocazione del Maestro, ho rivisto il mio manoscritto, sporco, sgualcito e umiliato fra le sue mani.
Cosa mi aspettava?
- Leggi attentamente questo biglietto! Anastasìa ha già confessato di aver scritto le domande e afferma che tu hai scritto le risposte. Che ne dici?
- Sì, Maestro, l'ho scritto io. Ma è uno scherzo. Tutto inventato!
- Chi è Paolo? Quello del terzo banco?
- No, Maestro. Era uno della scuola dove andavo prima!
- Allora è tutto vero!
Teneva il manoscritto fra indice e pollice per evitare contaminazioni.
- No, Maestro!
- Sai come mi è giunto questo biglietto? Il tuo compagno lo portò a casa. La domestica lo trovò e lo consegnò al padre, che rimase afono quando lo lesse.
“Rimase”, “lesse”, “afono”, in più la gerarchia.
- È venuto a Scuola il padre di Paolo. Lo sai? ”Così educate i vostri alunni? Questa razza di alunne avete?” Sai che intendeva?
Come Nanà.
- Sì, Maestro!
- Puoi andare!
Espulsione e lapidazione. In quest'ordine.
- Un momento! Di' a tua madre che le devo parlare…
Come facevo a parlare di “dolcezze” e di “piacere” a mamma? E di Natascia? Mamma l'aveva detestata subito.
“Cosa ti stava leggendo quella?”
“Nanà.”
“E che cos'è?”
“Un romanzo francese.”
“Non la frequentare più!”
Questa volta optava per l'approccio illuminato:
- Che tipo di “dolcezze” intendevi?
- Niente, giocare all'oracolo…
- E lo firmi pure, idiota? Non ti ho detto di non firmare mai? Un giorno firmerai anche la tua condanna a morte! Smetti di scrivere! Non hai capito che non devi scrivere? Quelli aspettano solo l'occasione…
“Quelli” è sempre stata un'entità minacciosa.
- Mamma! È tutto inventato, scritto per scherzo!
- Il Maestro sai che ha detto, invece?
La faccia ingigantita annunciava il verdetto.
- Che sei “sessualmente matura”! Capito? A dieci anni!
Come Nanà.
Mamma mi rimproverava l'ispirazione. Il Maestro la precocità. E ne venivano avvertiti tutti.
Il vaiolo di Nanà, almeno, si vedeva.

Helene Paraskeva è nata ad Atene e ha studiato Lingua e Letteratura inglese e anglo-americana all'Università di Atene e alla Sapienza di Roma. Ha studiato anche Science of Education presso l'Università di Manchester, Regno Unito. Dal 1974 vive e lavora a Roma. Un suo racconto si trova nel n. 29 di Faranews. Ha vinto la prima edizione del concorso Pubblica con noi con Il tragediometro e altri racconti.

Motivazioni della giuria
Il racconto sa rendere felicemente il senso di mistero e rivelazione delle cose che si incontrano per la prima volta. Un ottimo equilibrio fra idea e forma. Siamo di fronte a una storia, completa, profonda, raccontata in meno di 4000 caratteri. E la brevità è affrontata con un rigore, con intensità e con una gran forza evocativa del testo. Si tratta, insomma, di un racconto che, se non troppo alterato da una possibile esperienza biografica, dimostra un sicuro talento di scrittrice. C'è bellezza, punto e basta.

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Nie boj sie

(di Barbara Serdakowski II classificata)


Nie boj sie
Non avere paura

Se i giorni seguono i tuoi passi e si fermano ai piedi degli stessi.

Segmenti ambulatori caparbi
Contro gli spazi disgregati dell'astio collettivo
E i vermi solitari nei ventri segregati


Ashes in someone else's hay
Cenere nel fieno di altri


Sin poder jamás saltar, ovejas, la barrera del quizas-quizas...
Senza mai poter saltare, pecore, la barriera del forse-forse...


Tracceranno senz'altro l'inchiostro nero sulla carta ancora vergine

Il dito basterà, le falangi, i palmi.

Verse, verse tes larmes Muriel, mais ailleurs…
Versa, versa le tue lacrime Muriel, ma altrove…

Qui non rimangono neanche i filari di embrici per l'acqua piovana.
Le fogne in piena
Espanse, epidemiche nelle vie branchie
Saremmo in tempo per salvarci dal sedimento?
Arginare la melma, i ciottoli, le salme?

Chilometri arrugginiti di filo da spezzare
Tra foglie sempre verdi
Fiori di tulle, o pasta di sale
Lupo mannaro e angeli bagnati
Da piogge di schegge, ragnatele e preghiere dimenticate.
Sull'intonaco crema scendono le cicatrici del tempo
Verdi e di colore indistinto
Crepe e fessure, ombre disparate.

Regarde mes mains Thomas
Guarda le mie mani Tommaso

Non ho più alcun buco
Adesso siamo solo tu ed io
Persi insieme nella formidabile immensità dello stesso dubbio.

Barbara Serdakowski è nata in Polonia nel 1964. Nel '66 lascia la patria per il Marocco. Emigra poi nel 1974 in Canada. Studia traduzione all'Università Concordia di Montreal. Comincia a scrivere poesie e racconti ad otto anni. Scrive poesie, racconti brevi in francese, inglese e italiano. Scrive spesso poesie in quattro o cinque lingue insieme. Vive con la sua famiglia a Firenze, Italia dal 1996. Collabora con varie riviste letterarie. Fra i premi ricevuti ricordiamo:
1999 primo premio poesia "Faro d'Argento", Riposto, Sicilia
2000 primo premio narrativa "Sulle ceneri del novecento", Arezzo
2000 primo premio narrativa Montemerlo 2000
2000 premio della giuria Eks&Tra, Mantova
2000 primo premio narrativa Club Ausonia, Helios Magazine (RC)
2000 secondo premio narrativa "C. Cassola", Pontedera
2000 finalista premio La Pira, Pistoia
2001 premio della giuria concorso Nuove Lettere, Napoli.
2001 primo premio narrativa, Pesaro "La donna si racconta"
2002 secondo premio "Edizioni Clandestine", poesia
2002 secondo premio Città di Massa, poesia

Motivazioni della giuria
C'è una indipendenza del verso in questa poesia che disorienta e affascina. Non si tratta soltanto di un ricordo di Pound, si può dire piuttosto che sono quasi rimbalzi di senso da contesti diversi, riferibili alle aree linguistiche diverse. Non si può descrivere altrimenti che con "ricchezza" questa caratteristica. Segnalata anche per il racconto Il coltello.

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Finis terrae

(di Roberta Bertozzi III classificato ex aequo)

SAFFO È monotono qui, Britomarti. Il mare è monotono.
Tu che sei qui da tanto tempo, non t'annoi?
BRITOMARTI Preferivi quand'eri mortale, lo so.
Diventare un po' d'onda che schiuma, non vi basta.
Eppure cercate la morte, questa morte. Tu perché l'hai cercata?
(Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò)

Chiama la voce dalla costa dove il mare si affaccia al ciglio della terra. Chiama e si frantuma negli spasmi delle onde, contro gli sputi d'acqua, sbatte, schianta, cristallizza e, con forma di diamante, torna, ma non dal primo luogo. Sfaccettata eco, quando la raggiunge è un ritornello falciato, riverbero schiacciato dal movimentato silenzio:
- Dai Eleonora, muoviti.
Vieni nell'acqua, le dicono in coro, accordo di voce col rimescolare del mare. Resta. Le diecimila mani la tengono stretta alle pendici della roccia dell'arcipelago screziato a rosa di cuore. Roccia e sole. Sola roccia percossa dal mare. Alcuni punti meno scoscesi, levigati e coperti di verde, tappeti muschiosi e inermi contro l'inferno. Non vengo, no. Eleonora guarda. Lei pendere sul mare, a qualche distanza lo zio, la madre, Eugenio nell'acqua a far zattera del corpo, uno scuotere convulso di braccia e gambe per restare impacciati a galla. Fantoccio lottare inutilmente con quella massa d'acqua pesante che tira. Chiama dove quel mare sostanza che recalcitra. Col fondo nero di pece. Fondo che non si vede ma si può abbracciarne il fondo.
- Vieni,
mozzato gorgoglia il richiamo, fiato spuntato dalla ritmica incalzante del moto dell'onda. Affondano e riemergono, la madre ora ha preso Eugenio con sé, lo guida in punta di dita. Non vengo. Resta per sé. Le scure braccia stringono le gambe, mento sulle ginocchia, dondolando. Tirando col naso. Lacrime cotte a vapore. Guarda la mamma, guarda spolparsi il miele di mamma nell'acqua che gli risa al colpo di braccia, brava tanto, vischiosa e leggera, il nuoto si scioglie perfetto, si sdanza sul pelo dell'acqua. Non vengo. Nulla le hanno insegnato, l'approdo alla terra coperta di crine, soda e stanziale, senza scossoni, senza inversioni e mute. Quel nulla è una collera liquor d'acqua marina che le infradicia il cuore. Davanti a lei la stretta porzione che porta al coraggio, all'audacia ferita e superba dei titani. La stretta porzione, la feritoia, breccia che sola fa adulti. Un salto, venti centimetri di pausa fra il creato per piombare di nuovo nel creato. Diversamente? Una brezza di collera le spugna il viso, una schiuma le macchia le caviglie, le schiaffeggia i piedi stretti alla roccia, infissi nel suolo come radici selvatiche su terra non generosa. Non vengo. Diversamente potrei trattenere la soglia, farne radura, se salto è per fuga, come voi grandi fuggite alle spalle qualcosa che non vi distolga. Allora io scampo l'assalto, diversamente che altro? Davanti ho solo il mare e solo davanti mi ci infilerei o che il mare mi porti rapita e allora potrei sprofondare. Respira, Eleonora, respira. Rinchiudi tutta la dose di verde e frescura in un no. Non allentare. Allo schiocciolio dell'acqua, allo smarrimento senza rimpianto, all'esattezza perpetua e diversa dell'onda. Battere e levare dell'acqua. Accumula tutto il destino per essere inghiottita e, perduta, aprirti come frutto, stupirti del succo. Eleonora sente il corpo pesarle una stanchezza sconosciuta, la roccia di sotto farsi argilla e rapirla, legarla come statua a quel punto, e tramutarsi nella forza di terra, farsi statua inespugnabile dall'acqua.
- Vieni, dai, vieni,
ma come? Io che non conosco, non so, non danzo la tua danza leggera. E intanto le muore sulla pelle il desiderio, si squama al sole. Avere degli occhi di vetro per vedere dentro a quel fondo, per perderli, srotolarli senza fine in quel fondo, fino alla fonte di tutta l'acqua che contiene il mondo. Invece il lacrimale degli occhi si sperde in quel liquido, materno, lattiginoso tracciato, si mescola con quel succo salato, che snebbia il vedere, circuisce il vedere. Ecco, poter perdere quegli occhi, solo due centesimi, ossi d'albicocca, e sentirli sgusciare, due perle nel mare. Eleonora guata la mamma con la sua danza grave, i seni gonfi di latte, con le spalle dei giganti e gli anelli pesanti, argento alle dita. La madre si snocciola come un pensiero senza senso, provvisoria sulla superficie ancora intatta. Eleonora non va. Misura il sentiero matrilineare, le regolari ed eleganti bracciate, l'economia del respiro che si prende gioco dell'acqua e la governa. Si squadra le punte dei piedi e le piccole mani. Si guarda le punte dei piedi passate sul muschio marino, tenta di scrostarlo, allunga la mano, lo strappa, lo posa sulle ginocchia e lo annusa. Ci appoggia sopra il mento e continua a guardare. Le mani. Come fanno a spalare tutta quell'acqua. Tiene le mani a conchiglia, fa conchiglia delle mani. Eugenio sguazza felice, affonda e riemerge, fa conchiglia, lui, delle mani. Eleonora si squadra le piccole mani. Le curva a conchiglia. Le vede conchiglia spazzare via la spuma dell'acqua, schiuma d'onda. Avanti e indietro spostare grosse masse d'acqua per tenere il naso fuori, per fare entrare aria. Il suono dell'aria in testa, l'aria che ti serve, l'aria che ti deve, e quello che riesci a succhiare, sempre poco, mai basta, meno di quello che i tuoi polmoni potrebbero tenere. Arriccia il naso. Poi improvvisa una virgola. Andare ora. Forte dei fumi che fanno la spira. Un passo e poi farsi trasportare per poi lentamente riconquistare la riva. Provare. Pensare alla riva. Nel gesto più ricca della certezza. Tornare. Le voci si stringono di nuovo, più vicine ora. Andare. Seguire il rito. Eugenio si aggrappa allo scoglio e la guarda. Lo zio e la madre sono già fuori. A scolare i corpi.
- Muoviti, non farlo aspettare, ma che ti prende oggi?
La madre le scuote imprecisa le spalle, che scaldi ancora l'abbraccio ma è un fastidio che incunea la pelle. Con l'altra mano le mostra Eugenio.
- Niente, solo che non mi va. Fa freddo. E poi non mi va.
- Scherzi? Freddo? Ma se si sta benissimo. E poi ti sta aspettando. Dai muoviti.
I suoi seni ora appaiono ancora più grossi, con tutto quel latte costretto lì dentro. Seni imperiali. Nel mare due occhi sgranati, un invito. Eleonora si alza, per sua forza. Raccoglie braccia e gambe, urta la resistenza del vuoto senza smarrirsi. Afferrando con mani un istinto. Tenendolo stretto. Qualche passo. Tutto il resto si perde, le voci, la linea di terra, le indicazioni del senso. Ora l'acqua le lambisce le punte dei piedi. L'onda si smorza insieme al vigore, scemando si frange ai suoi piedi. Sottile tappeto che l'acqua le svolge all'arrivo. La goccia, la scorza dell'acqua, è la porzione esatta. L'onda rispuma con bollore, l'afferra. Le abbraccia le gambe. La roccia è spinosa, screziata. Dai, sono qui, vieni. Chiusi gli occhi. Chiusi i pugni. Chiuso il respiro. Ora senza ritorno chiama la voce dalla costa, più spaccata questa volta, voce che fende il troppo silenzio. Resta il mare colore del verde e dell'oro, una distesa di frumento, maggese scolpito dal vento, che si può vederne ancora i marosi correre per il campo, se ne sente appena il fruscio.

Roberta Bertozzi è nata a Cesena nel 1972. Si è laureata in Filosofia con una tesi in Storia della critica presso l'Università di Bologna. Dopo la laurea ha conseguito il diploma di maturità magistrale e ha frequentato un corso di perfezionamento post-laurea in Antropologia filosofica e fondamenti delle scienze presso l'Università di Urbino. Si interessa di arte figurativa e sperimentazione artistica legata all'infanzia. È insegnante presso la Direzione Didattica di Castenaso (BO). Da circa due anni collabora con «Calligraphie». La rivista, arrivata alla sua sesta uscita, è distribuita gratuitamente in circoli, biblioteche, locali della Romagna e intende essere un luogo di sperimentazione e collaborazione visiva e verbale fra gli artisti che ne prendono parte. Ha collaborato con «Graphie», rivista letteraria di Cesena (nell'ultimo numero è presente una lettura delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke). Ha sempre scritto poesia, conseguendo diversi riconoscimenti. Ultimamente predilige anche la scrittura in forma di saggio e il racconto.

Motivazioni della giuria
L'eleganza della prosa con cui vengono descritte la natura marina e le persone, la ricerca linguistica, le citazionioni colte scoperte o non esplicitate, l'esito del racconto che trasforma una vicenda quotidiana in un evento mitologico, allargando l'orizzonte della psiche di una ragazzina alle più profonde radici dell'essere contribuiscono a impreziosire un testo in cui è costante la presenza ritmica del mare. Segnalata anche per la poesia Quando giunsi ai margini.

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La strada di Paola

(di Giovanna Rossi III classifcata ex aequo)

Il cielo è particolarmente stanco stasera. Le nuvole si sfilacciano lente dietro le inferriate della mia finestra. Il mio stato attuale è in sintonia col cielo. Stanco. Stasera. Penso a quanto è triste osservare il tramonto da qua: un rettangolo azzurro che ora è grigio. E stanco. Quel grigio rettangolare scivolerà presto in tonalità più scure. Nero e un giorno in meno. Abbasso gli occhi al tavolo: noce invecchiato, inciso chissà quando da mani pesanti. Quanti pensieri scalfiti sul legno sempre più scuro, quante vite segnate da mani troppo grandi si ritrovano insieme qui. Come i vecchi amici ai funerali. Io sono vecchia come il tavolo. E stanca come il cielo. Stasera. Ma se potessi vedere qualcosa oltre l'azzurro forse allora sì. Allora sarei felice. E finalmente capire.
Ho sempre amato che fosse il sole a svegliarmi, anche quando c'era una sveglia a farlo e una giornata ad attendermi. Lasciavo sempre che un po' di luce filtrasse e facesse il risveglio meno buio.
Qui siamo costantemente immersi in una penombra ovattata, che in fondo non mi dispiace, anche se la luce vera è un'altra cosa. Tutto è fatto rotondo e io mi sento ancor più uno spigolo.
La notte è un brusio accidentale, un giorno sottovoce.
Quando mi sveglio di notte non sono mai completamente sola, e questo mi piace. E' una sensazione bambina, di affetti nella porta accanto, echi di luci e voci.
A volte però ti raggiungono anche incubi non tuoi, e gli urli fuori bruciano di più nella discrezione notturna, nel sonno invocato con forza ad allontanarli.
Quando d'inverno apro gli occhi fuori è ancora scuro. Allora assaporo il risveglio, i pensieri ancora intorpiditi e innocui. Provo il gusto di dominarli prima che abbiano la meglio, insieme ai medici, gl'infermieri e gli altri.
L'alba è giocare d'anticipo sul mondo. Sono io.
Molto prima che si avvertano i primi segnali di attività io mi siedo alla finestra e, da quando mi hanno trasferita al primo piano ho un pezzo di mondo vero.
A strisce ma vero.
Finalmente non solo cielo e penombra.
Vedo la strada, che prima odiavo perché mi divideva sempre da qualcosa. Allora amavo le cose da raggiungere e il resto era una perdita. Ora la perdita sono io e cose da raggiungere non ne restano. E io amo la strada. E l'uomo che corre.
Ogni cosa è un'altra qui.
Mentre aspetto che schiarisca conto i minuti al suo arrivo.
L'uomo che corre è come me, ama la strada, io lo so, perché è felice mentre va. Sorride.
La sua di strada ormai l'ho imparata, è la mia che non mi è ancora del tutto chiara. Lo aspetto con gli occhi al limite della finestra mentre penso al letto da cui si sta alzando, il primo sguardo del giorno che sta lasciando ai suoi. Mi chiedo il suo nome, la sua vita, la sua donna e forse i figli…
Lo vedo poi sfilare tra il mio mondo a righe, tra una sbarra e l'altra mentre canticchia, la musica alle orecchie. Gira tutte le mattine cinque volte, mi rincuora la sua stretta osservanza. Qui il metodo è una regola. Tutto torna insistentemente uguale ogni giorno, il ritornare dell'uomo che corre è l'unico che davvero mi sembra salvifico. Forse.
Il quinto giro però è il più duro. L'ultimo.
Mentre percorre le ultime sbarre il brusio della notte dentro si fa un vociare coerente, e io so che arriverà presto qualcuno a pretendere un gesto, una parola, la vita.
Mentre si defila dal mio guardare infatti arriva l'infermiera con la sua stretta osservanza. Io obbedisco. Ingoio e un'alba in meno.

Giovanna Rossi nasce a Mondolfo (PU) il 25 aprile del 1976. Dopo la maturità conseguita presso il Liceo Scientifico “A. Righi” di Cesena si iscrive al corso di laurea in Lettere Moderne presso l'ateneo di Bologna. Attualmente sta preparando la sua tesi in Storia dell'Arte Moderna con la Professoressa Anna Ottani Cavina. Ha lavorato come Art Promoter presso la Galleria d'Arte Contemporanea Il Vicolo. È stata capo redattrice della rivista «Neoteroi» e della rivista «Graphie» di Cesena, di cui è anche uno dei fondatori. È stata segretaria e giurata delle tre edizioni realizzate del Premio di Narrativa Graphie. Collabora con la rivista «CinemaOggi» e col «Corriere Romagna». Vive a Cesena, dove coltiva la sua passione per le lettere e l'arte.

Motivazioni della giuria
Narrazione intimista e saporosa sembra cercare un modo nuovo di scrivere. La condizione di degenza in una prospettiva di assenza di futuro è resa con toni di consapevole accettazione, mediante una prosa che non indugia mai fuori misura rischiando il patetico o il sentimentale.

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Dialogo con Sofia

(di Adeodato Piazza Nicolai)

Per la famiglia Pappas-Fabris

I.
Hai progettato un anfiteatro
fatto di sole di terra di mare
con archi sottili: le forze
slittano
con gli elementi
dal tuo giardino al portale,
lungo pareti che uniscono
ma non separano tutte le nicchie
le curve i vuoti del tuo divenire.

II.
Oltrepassato l'aperto cancello
bussiamo alla porta.
Il tuo sorriso ci accoglie, poi
le tue mani rispecchiano la tenerezza
che sboccia la rosa del cuore.
Ci guidi all'interno.
Mi fermo nell'atrio, ringrazio
i Lares dagli occhi socchiusi.
Annunci la benedizione che annulla
quel maleficìo nascosto fra crepe,
radici e nei labirinti più astrusi.
Il rito iniziale concluso,
ci porti nel sacro.
Vibra il silenzio dietro le pieghe
della parola, sorpreso dall'apparire
delle due grazie primaverili
emerse appena dal getto marino.
Armoniche pure annaffiano il vuoto
e tutto inverdisce: passato
presente e futuro dentro il crogiolo
del sole fanno il bisturi
che spiana l'oltranza sepolta
dal nostro parlare.
Sembra il bisbiglio del mare
mentre la schiva presenza
del tuo bianconero felino rimembra
l'occluso sussurro del quotidiano divino.

III.
La cena raduna gli spiriti spersi
nei buchi segreti: inizia il convivio.
Il pane spezzato, il vino versato
le dita si scambiano i piatti,
si sfiorano appena come preghiere
e sul silenzio del rito volano note ancestrali

oltre il nontempo-nonspazio raccolto
nel microsolco di un mistico incrocio.
Così tu diventi l'arco del tetto proteso
alla curva incompleta del cielo, sei la parabola
senza gli antipodi che si proietta nella pineta.

Padova, via Adige 9 // 26 aprile 2002, ore 11,45

Adeodato Piazza Nicolai è nato a Vigo di Cadore nel 1944. Emigra negli Stati Uniti a 14 anni. Si laurea in Lettere e riceve il Master of Arts dell'Università di Chicago. Ha lavorato per 30 anni presso un'industria siderurgica e ha pubblicato poesie, traduzioni e saggi in riviste americane e italiane. Ha pubblicato tre raccolte poetiche: La visita di Rebecca (1979), I due volti di Janus (poesie e traduzioni, 1980), La doppia finzione (Insula editore, 1988; introduzione di Rebecca West). Nel 2000 è uscita la raccolta di poesie Diario ladin (Grafica Sanvitese). Si occupa del ladino del Centro Cadore.

Motivazioni della giuria
Un'opera di nitore classico che esprime una profonda conoscenza di tradizioni poetiche antiche e recenti.

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