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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 89
Maggio 2007

Editoriale: I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

Questo numero è dedicato ai vincitori e ai segnalati dai giurati del nostro concorso dedicato alla terra di nessuno fra prosa e poesia. Come da bando ai vincitori ricevono nostre pubblicazioni premio, oltre alla pubblicazione in queste pagine.
I giurati (che ringraziamo di cuore) Antonella Pizzo, Cristina Babino, Davide Aguzzi, Luigi Nacci, Luigi Metropoli, Marco Scalabrino e Fara Editore sono lieti di proclamare (v. anche il certificato).

Vincitori

1. Tania Giuga (Aci Sant’Antonio, CT) con (senza titolo) (vince 15 libri)
“Per le atmosfere di luoghi lontani e le immagini di colori che fluttuano fra il blu oltremare, il bianco mai bianco, il rosso cupo del sangue, un viaggio nel dolore e di parole che si fanno libro, quaderno, e consolano.” (AP) – “Apprezzabile per una certa perizia nelle scelte lessicali, per il vocabolario a tratti inusuale e per l’eleganza complessiva della composizione” (CB) – “La scrittura ai tempi della violenza, della segregazione, delle guerre religiose e razziali. La prosa è asciutta e tesa come un arco, producendo un insolito stridore dalla frizione con la complessità della scrittura femminile-scrittura ‘altra’: le parole premono da una gabbia-grata e rappresentano l'unica speranza di liberazione e salvezza.” (LM)

2. Stefano Leoni (Forlì) con Distacco (vince 10 libri)
“Inquietante vedovanza e distacco doloroso, una macchia nel muro, metafora di una colpa o di un passato che non si può o non si vuole cancellare. Una scrittura ricca di pathos e tensione, che si conclude con un taglio netto.” (AP) – “Impianto narrativo abbastanza originale, scelte lessicali semplici ma intelligenti, attente a restituire varie sfumature emotive.” (CB)

3. Raffaele Ibba (Cagliari) con Miriam Virgo (vince 5 libri)
“Mistero e caposaldo della fede cristiana. La maternità di Maria Vergine, «dono che dentro ti germoglia», segnata dall’annunciazione, «e sapere di annunci è cosa di donne», e dalla cognizione che, nel «Suo essere Altro», il figlio sarà uomo e sarà Dio, la sua venuta «il parto del mondo», il sorgere di una nuova alba per l’umanità. Maria, il cui «essere bella» è grazia divina. Spiritualità, liricità, lievità promuovono questo verbo.” (MS)

Sono stati inoltre menzionati e selezionati per la pubblicazione in questo Faranews:

Fabio Donalisio (Savigliano, CN) per Domenica non ha l’aspetto
Il problema più importante per noi… recita una canzone di tanti anni fa. La Domenica, malgrado l’aspetto non sia quello «di un giorno in cui ti spezzano», «non c’è nessuno per te, né al telefono né al campanello». Ciò nondimeno, urge rispondere di NO allo sguardo che vaga «dal divano al lavandino», alle «birre, i mozziconi e i caffè», e passare «alla prossima domanda». L’ordinario vivere più prosa che poesia.” (MS)

Cinzia Pierangelini (Messina) per Acqua
“L’acqua del sacco amniotico, la nascita di bambino. È l’inizio. L’acqua all’origine della vita. L’acqua alla fine della vita. È la morte per acqua, un ritorno alla madre. Brevi pennellate, in una sola scena si racconta una vita intera.” (AP)

Marinella Galletti (Cento, FE) per Percezione dell’esperienza d’amore
“Una pièce 'teatrale' la cui sintesi, per squarci lirici formali mutuati da Apollinaire e dai Futuristi, sono la coscienza e la conoscenza di sé, «consistenza, materialità e psiche… in grado di leggere l’io profondo delle cose», e la progressione verso l’Amore, «conosco la sua casa, sento la sua voce, io e lui nella stanza. Qualcosa si compie e si consuma.” (MS)

Laura Vicenzi (Bassano del Grappa, VI) per Verdi parole d’amore

 

VINCITORI

(senza titolo)

di Tania Giuga

Le parole sono un filo. Una fune sulla quale mi libro nel vuoto. Sotto la terra è la vertigine, sopra le nuvole mai bianche, mai ferme. Ho sempre giocato con le parole, con il loro suono, con l’umore che imprimono alle giornate, al tempo umido e secco, agli odori della cucina, alle pentole sul fuoco, alle lenzuola asciutte e profumate di sapone. Nostalgia significa ritorno e dolore; rimorso, morso due volte; sesquipedale enorme, incommensurabile; il frastuono dei miei succhi gastrici è un borborigmo, lo spasmo che compiono i miei muscoli prima del sonno è una scossa mioclonica.
Ogni sera la fune delle parole si spezza, precipito con una vertigine sul mio letto matrimoniale, nella morsa del silenzio, ma il pensiero costruisce un verso:

è blu oltremare di calma
è affilato come la luna nuova
è spedito come il fischio della teiera
è cupo come un fiore rosso scuro
è segreto come il sangue mestruale

Nel buio immobile Ahmad si avvicina con il peso dell’afa e con l’odore delle uova sode sulla barba e dentro la bocca. La sua consistenza ingombra la stanza. Il letto scricchiola, ma nell’oscurità posso continuare a procedere sulla corda distesa e lunghissima oscillante sul vuoto, a combinare le parole con attenzione e pazienza. Ho nascosto il quaderno dei versi nella cassetta dello sciacquone, avvolto in tre strati di plastica per alimenti, protetto dall’acqua da un sacchetto bianco di quelli per la spesa. È piccolo ha la copertina rigida di cartone rosso scuro, al suo interno ho incollato le foto immaginarie di mia madre, con lo sguardo opaco di quelli che si sono lasciati scivolare che traspariva dal burqa e le mie pupille spaurite di bambina taciturna, in un giorno di sole. Una luce inattesa mi sfiorava le guance e con gli occhi bassi raccoglievo la polvere da terra e, mi ricordo, pensavo che a morire, come la polvere, si vola nel vento.
Herat è una città senza porte dove tutte le donne sono protette dalla reciproca diffidenza. Uno scudo di violenza si arroventa alle cantilene della solitudine, al vociare dei bambini per la strada. Quel giorno scrissi della screziatura vermiglia di certi minerali e di un sasso lanciato contro una finestra. Dopo ci fu un odore dolciastro per tutta la casa. Di sangue.

(Nadia Anjuman, 25 anni, poetessa autrice di Gule Dudi (Fiore rosso scuro), poesie d’amore caste e tristi tipiche della tradizione arabo-persiana, uccisa a botte dal marito, secondo il quale il libro di versi disonorava lui e il resto della famiglia. Giovedì 7 novembre, Herat, Afghanistan).

Tania Giuga, il mio nome, naturalmente. Mai piaciuto. Sbagliano tutti a pronunciare il patronimico, per non parlare di quella brutta copia della Barbie (Tanya con la y, quella tanto bella da guardare…). Tant'è che ho deciso di ribattezzarmi anita tania… Un paragone azzeccato: esteriormente curiosa e randagia come un felino, internamente scomposta come il Ritratto di Nush Eluard di Picasso. Ottima studentessa DAMS, intellettuale indisciplinata, critico d’arte viscerale, curatrice visionaria, poetessa un tempo prolifica, narratrice avara di storie. Della lettura divoro quelle pagine (ved. Braci di Sándor Márai e, agli antipodi, Altri libertini di Tondelli) Finis Austrie che arrivano alle ossa con coltello e forchetta per risalire a carezzare la pelle del mondo. La cultura, d’altronde, è come le buone maniere: la si deve interiorizzare a tal punto da riuscire a esibirla con disinvoltura.”

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Distacco

di Stefano Leoni

Passa e ripassa la cartavetro, brucia la punta delle dita: cancellare, cancellare perché è adesso l’ora, perché la porta si è aperta e può fuggire. Distaccarsi. Via l’impronta, il segno che rimane – io che sfioro la lama, il sangue bagna il pane, corro da te appoggiandomi al muro – un piccolo segno marrone, giallastro, rimasto a vegliare il candore infinito delle pareti, le nostre pareti – una paura sciocca, esagerata, per un male da nulla, nei tuoi gesti affrettati, disinfettare, accostare i lembi, abbandonarsi alle tue cure –
Perché ieri era un giorno nel quale tutti gli oggetti, e le pareti, e le parole, scivolavano nell’ombra dell’imbuto e i colori svanivano. E in questa vedovanza di colori il mio braccio era corto, le mie dita erano erba tagliata e le parole un intreccio di serpenti nella buca che hai scavato.
Perché ieri era un giorno nel quale c’era tutta la geografia dei gesti condivisi, le strade che si intrecciano, i luoghi dove appartarsi per incrociare le ragioni, gli istinti e anche il coagularsi delle leggere coincidenze, le illuse parole che non si pronunciano. C’era l’odore dei reticoli, dei calendari sovrapposti e l’ammucchiarsi dolce delle ore, anche quelle sprecate, le ore pigre, le mancanze, i vestiti gettati distrattamente sullo schienale delle sedie disposte attorno al nostro tavolo.
Ed è perché non voglio scolorarti, perché l’àncora trattenga – anche se le funi si tendono e si assottigliano nel beccheggio adirato – l’imponente stazza dei minuti, dei momenti, delle frasi che sono passate dal mio al tuo fiato, nell’immensa gratitudine di un mare che raccoglie, che accompagna, che sospinge – io la chiglia e tu il timone – fino al punto in cui pietosamente inghiotte e conserva e nasconde.
Perché ieri era un giorno nel quale la verità si è fatta punta di spillo e ha spezzato la vela tesa a un orizzonte che più non attendeva, e il vento rosso ha infranto la trama: e ho sentito tutto il turbine attraversare, e lo squarcio si è fatto abbraccio di madre ed ha placato l’ansia, ha accolto i nostri canti in spazi paralleli.
Ma oggi è un mattina che distende le rughe e che mi passa accanto, come la tua figura mentre accorri al mio sangue dalle dita, con l’uguale stupore che ravvedo a guardarti scartare dalle impronte mentre scegli di uscire dal mio petto e dal muto pallore delle tue cose impilate negli angoli di casa, la mia casa, la mia.
Oggi, adesso, e per lasciare intatto il fragore che lasci nelle ciglia, fra le mani, nell’inguine e nel centro, gratto via dall’intonaco la macchia. Con l’amore che posso, che mi è dato, con la forza di un tempo che rimane, tempo d’altro destino, tempo grato, superiore e distinto, spingo a fondo la lama contro il dito: il distacco dei lembi, proprio lungo la linea che restava sulla pelle docilmente guarita, mi rinnova. Non sarà la tua corsa, né i tuoi occhi allargati, a guarirmi del piccolo male.
So i tuoi passi lontani ma li guardo ed adesso li osservo sereno, mentre stringo la garza sul dito con l’altra mia mano.

Nato a Forlì, città dove vive e lavora, nel 1961, Stefano Leoni è laureato in Economia. Nel giugno 2005 pubblica la raccolta Ipotesi sottili con l’editore Il Ponte Vecchio di Cesena e prefazione di Andrea Brigliadori. È vincitore e finalista in diversi premi nazionali di letteratura. Sue poesie sono presenti su riviste, «Confini», «Ortica», «Specchio de La Stampa», e nelle antologie Il segreto delle Fragole 2007 e Stagioni dell’ed. Lietocolle.
È fra i promotori della rassegna forlivese “Poliedrica Poesia”

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Miriam Virgo

di Raffaele Ibba
 
Inesatta forma del dono
che dentro ti germoglia nascosto
nel tuo deciderti pianta,
di farti seme di essere ventre
donna di saperi di corpi

– e sapere di corpi è scienza di donne –

Questa lastra foglia del dono
arrossata in te solo da attese invernate
reali alla gioia innervata a dolori
di essere bella contro l’essere bella
nel seme del ventre nel tempo
del tuo farti mondo
del tuo farti parto del mondo
e seni di latte del mondo
e nuove notizie belle al tuo mondo
 
– e sapere di annunci è cosa di donne –
 
Tu viva agli angeli troppi nei fianchi
dei tuoi silenzi affollati di sapide scienze
 
– e sapere di mondo e di sale è roba di donne –
 
è la tua accoglienza al Suo essere Altro,
al tuo Amante folle, sognante sapienza
nel tuo nulla minuto splendente aperto
alle sue non finite fonti d’acque infinite
eterne disperse
e madri di diaspore patrie,
che tu,
sei bella.
 

Raffaele Ibba è nato nel 1950 a Cagliari, città dove vive e lavora come insegnante di storia e filosofia nei licei. Si dedica alla poesia in modo intenso dal 2000, per una sua neccessità intima di vita e di cuore. Ha pubblicato due libri di poesia con le Edizioni della Meridiana di Firenze: Il disonore dei canti nel 2003 e La verità bugiarda nel 2006.

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MENZIONATI


Domenica non ha l'aspetto

di Fabio Donalisio

domenica non ha l’aspetto di un giorno
in cui ti spezzano, di solito almeno
come l’orologio grande, quello a forma di sveglia
ma di plastica, ha le campane ma il battacchio
no

non fa rumore ed è sempre indietro, non importa
quanto spesso cambi la batteria
le lancette sembrano pesanti e smettono di andare
su

dà l’idea della fatica, però
della traiettoria degli occhi dal divano
al lavandino
gli occhi di quando sei giusto e stanco e triste
e non c’è nessuno per te, né al telefono
né al campanello o in
tv

non contare le birre allora, quelle non valgono
neanche i mozziconi o i caffè. roba da film, quella
da bogart e da ansiolitici
passa alla prossima domanda e digli sempre
che fai quello che si
può

diranno che ti sbagli
rispondigli anche no

“Mi chiamo Fabio. Sono nato a novembre del 1977 in un piccolo buco tra Torino e Cuneo, all’inizio della pianura, dove le montagne ti salvano ancora un po’ dall’agonia della Padana. Ho studiato da classicista, pur non essendolo e mi sono laureato in retorica. Per mangiare faccio il lavoro che faceva Lisia. Il retore appunto. Scrivo per conto terzi. Anche se le modalità sono cambiate un bel po’. In peggio. Non ho mai pubblicato nulla. Scrivo versi fin da giovanissimo. Ho fissato il 99 come spartiacque in modo assolutamente arbitrario. Da lì in poi credo che le mie parole abbiano cominciato ad assomigliare alla poesia. È anche l’anno in cui ho incontrato Caproni, tuttora da me parecchio frequentato. Una scia di nomi che mi hanno parlato negli anni, in modo assolutamente casuale e con ovvie omissioni, specchiando i miei astri schizoidi: Cèline, Borges, Cioran, Gadda, McCarthy (Cormac), Faulkner, Pasolini, Cohen (Leonard), Richler, Pratt. Descrivermi l’ho sempre trovato difficile. Amen.”

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Acqua

di Cinzia Pierangelini

Seduta sulla riva, con le caviglie immerse nell’ondina quieta, Alba non pensava a nulla.
Acqua.
Si osservava le gambe, una volta polpute e sode, scarne adesso e solcate da capillari violacei e ripugnanti. Infinità di goccioline, luminescenti nel sole, correvano giù, lungo il pendio di quella carne sfatta, ansiose di tornare al mare.
Acqua.
Sentì bagnato tra le cosce. Un flusso di ricordi, andavano e venivano come la marea. Portavano dita curiose, fiotti di sangue e sperma, teste di bambini mai nati, urina. Ma era solo un’onda più lunga, appena più lunga, e veloce a tirarsi indietro disgustata.
Acqua.
Si sforzò di percepire la vita brulicante nel liquido in movimento. Alba chinò il capo sin quasi ad annusare la sciolta superficie da cui in un tempo impensabile era sortita la vita. Volle immaginare miriadi di bestiole, inconsistenti come sogni, rimescolarsi nel desiderio prepotente d’una sopravvivenza altra e altrove. Non vide nulla.
Acqua.
Segmenti disciolti, un insensato e affannoso slalom sull’epitelio rugoso. Una corsa sussultante, asfittica, per tornare alla distesa azzurra. Udì un pianto sommesso: lacrime di sale, imprigionate tra i peli grigi, esalavano l’ultimo umido sospiro.
Acqua.
Si alzò, in uno scricchiolio di ossa nemiche e disubbidienti, tenendo alta la gonna sulle gambe. Un solletico allegro le colò giù dalle ginocchia, fino ai piedi immersi nella sabbia. Fece due passi e si voltò a scrutare le proprie impronte deformi, come pozze splendenti per un attimo nella rena vorace. Poi continuò a camminare, immergendosi lentamente. Gli occhi volti a un’altra, invisibile sponda.
Acqua.
Sussurrò.

Cinzia Pierangelini vive a Messina, violinista e docente, ha pubblicato Dall'ultimo leggio, racconti; Eraclito e il muro, romanzo; ha vinto premi e selezioni e suoi racconti si trovano nelle antologie: Libera Uscita, Noir-Quindici passi nel buio, Femmine, Il mio mare e su riviste letterarie. In fase di editing la sua nuova raccolta di racconti e il romanzo La jatta.

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Percezione dell'esperienza d'amore

di Marinella Galletti

Ogni traiettoria del mio sguardo giunge al fuoco delle cose e si fa immagine per sempre.
Guardare e divenire. Guardare ed essere. Un oggetto, un tessuto lasciato sul divano, una tenda alla finestra, anche un sacchetto di carta appallottolato diventa oggetto della mia coscienza. Diventa nuova conoscenza di me, di come sono. Adesso.

Una forma nuova di apprendimento mi è subito evidente.
Cosa e persona si rivelano l’una all’altra. La cosa per essere stata da alcuni costruita, da altri scoperta e appartenuta. La persona per saper rendere le cose alla vita alla quotidianità ed esserne immersa.

Sempre più interiormente vicini, si palesano come ricordi, strati della realtà di prima concorrono a costruire la continua mutazione del mio cuore.
Rivelandosi, infine, come distanza imperfetta fra strato e strato di emozioni di cose sfiorate e amate, l’ a s s e n t e. Procrastinazione del vissuto d’ amore.

Improvvisamente conosco la sua casa e anch’ io la abito, senza cambiare l’ ordine ch’ egli ha destinato alle cose, occupando o sospendendo pagine e appunti di parole e pur restando altrove.
Esplorando anche altri luoghi dove abitare. Progrediente l’esplosione dell’ amare.

Sento questo boato.
Calato e potente. Raccolto e compreso nel suono della realtà, trasferito al frastuono delle moltitudini come cosa ormai certa e allora prediletta. Percorrendo la città e scoprendo che ogni luogo è fatto per sostare. Sento molte voci.
Sento questa voce.

Appare infinita una voce, sospesi l’ inizio e la fine di un testo sciorinato nell’ aria da qualcuno, da chiunque stia parlando nella stupenda quotidianità del mondo. Successione delle parole.
Dove più è infinito, sento la sua voce. E dove un luogo appare, si accumula acqua e mare.

Pensavo di immergermi nell’ acqua.
Se spogliata o con tutti i vestiti, se con l’acqua calda o fredda della vasca, se con gli occhi umidi o seccati dal sole per essere stata molto vicina a dove l’orizzonte è universale accompagnato dall’ impeto del mare e non mostra che l’ i n f i n i t o.

E non potendo in realtà vedere poco più che l’ombra della parola. Sotto a un cielo acceso.
Già intuendo un limite.
Io e lui vivendo del limite e dell’ infinito.

Una nuova forma di apprendimento mi è subito evidente. Luoghi e distanze si catturano si avvicendano. Ci sorprendono. Impedendomi di essere la stessa, essendo un altro il paesaggio. E accusando, i luoghi, di non esser mai interamente luogo che accoglie, oltre noi estendendosi perché l’ attraversiamo.
Ma aumentando in noi lo spessore di quel che siamo se ancora amiamo.

Io e lui nella stanza, entrando e uscendo dal terrazzo più volte. Noi, non ancora compresi nei minuti e nella successione dei nostri pensieri, intorno. Entrando e uscendo e guardandoci, infine, con gli occhi di prima un po’ sfuggenti e dopo a cercare il fuoco di noi stessi.

Improvvisamente io e lui ci amiamo.
Succede che siamo io e lui su questa spiaggia, camminiamo.
Una spiaggia abitata di sera.
Da gamberi, cani e uccelli.
Incontriamo qualcuno nel buio, ma appare anche una luce. E poi scompare. Incontriamo una coppia di amanti.
Camminiamo sulla battigia stando allacciati e preludendo all’ amore.
C’ è v e n t o.

E poi sempre più consapevoli che ci siamo noi, che è di noi che stiamo per occuparci. Nel profondo della nostra consistenza, materialità e psiche. Siamo qualcosa da vivere come un’ esplorazione. Una situazione perfetta.

Rivelatesi in me le ragioni della natura.
Non come assoluto modello della vita. Ma come interazione di tante contemporaneità viventi che non costituiscono unitarietà nel mondo, ma alla fine danno forma alla sua globalità.
Interrogandoci, forse, sulla natura delle ragioni che ci hanno spinto a restare insieme come due amanti che si conoscono da tempo. Ma così non è. A cercare più le conferme che le improvvisazioni. A riconoscere quello che già sappiamo di noi.

Improvvisamente io e lui ci amiamo.
Succede che siamo io e lui su questo campo.
Senza mai sostare vicino a un confine.
Incontriamo una foglia un ramo.
Mi sento avvolgere come da un prato volitivo che agisce in forza della natura. Un prato di erba verde e illuminata e dai mille fiori lillà è in me.
Incontriamo una goccia e subito un l a g o.

Una forza della natura incontrastata. Mi limito ad eseguirne la volontà. Una forza che mi rende in grado di leggere l’ io profondo delle cose e restare viva alla superficie. Appartengo ad ogni cosa liscia distesa e apparentemente superficiale come le fibre e le trame dei tessuti.
Come le superfici delle foglie.
Come le distese di molte acque.

Sia la natura nell’ atto di amare.
Due belve stupende si accoppiano. Il loro pelo è lucido e nero.
Due uccelli si librano nell’aria, i loro becchi si intrecciano nelle piume e trovano un ramo per copulare.
Sia la natura nell’atto di assalire.
E allora si compie e si consuma. Qualcosa si compie e si consuma.
Farà male. Male. Male?

Una moltitudine di minuti ci assale.
Il continuo presente, il non terminato essendo.
Rievocando in noi quel che siamo, seppure amiamo.
Apparendo subito i territori della frequentazione, le strade da percorrere. O con noi, oppure senza.

Rivelatasi a me la segreta natura del tempo.
Non più come necessità al flusso della vita, ma come spessore di tante temporaneità, le une separate dalle altre, forse parallele o divergenti. Minuti che non costituiscono l’unitarietà del tempo, ma alla fine danno forma alla mia natura e volontà.

Laureata in Belle Arti, Marinella Galletti è insegnante di Educazione Artistica presso la Scuola Media di Cento (FE), città dove vive. Ha partecipato ad eventi dell’arte in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, nonché della poesia, conseguendo premi e riconoscimenti. Nel 2006 è vincitrice del premio poesia Raccolta Inedita "Lorenzo Montano", con pubblicazione dell’opera Dentro alle fonti da parte di Anterem Edizioni (VR); ha vinto il premio letterario Sez. Racconto Inedito "Città di Sant’Agata di Militello".

 

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Verdi parole d'amore

di Laura Vicenzi

Caro G.,
ti scrivo da questo prato verdi parole d’amore.
Soffio nell’aria tersa un volo di soffioni. Affido i miei messaggi alla voce d’argento delle foglie del pioppo. Li nascondo tra la spuma delle nuvole perché i tuoi occhi indovinino parole liete, che rassicurano il cuore, nell’inquieto mare d’aria.
Non è il rosso il colore dell’incontro: è il pallore del germoglio, il timido affacciarsi della primavera, la candida promessa di vita dei fiori in boccio.
Intingo una pennellata nel giallo. Quando me ne sono andata non ho lasciato due righe per te. E’ stata una fuga da una trama senza intreccio. Qualche punto saltato sul telaio, un filo dimenticato sul rocchetto, un buco sempre più largo da non rimagliare.
La notte, bussava alla porta sempre più spesso un vento freddo, un livore invernale che è nevicato sull’anima. I raggi del giorno non riuscivano a filtrare sotto a quel manto spesso dai riflessi di piombo. La lava dell’amore ha continuato a sgorgare da crepe nascoste finché il ghiaccio non l’ha zittita e rinchiusa, facendole scordare con l’inganno il colore del sole.
Nel grigio c’è il distacco, il fermarsi a guardare, è il colore di una matita che incerta solca i fogli bianchi, mossa da una danza di nostalgia.
Si è posata una farfalla. Mi pare di avvertire un peso lieve, un’impercettibile carezza d’ali. Il prato è in fermento, sento vicini minuscoli atti di vita, di morte, d’amore compiuti a scatti, piccole istantanee inattese che incorniciano i miei pensieri.
Ricordi quel primo pomeriggio di maggio? Nel paesaggio delle favole, col laghetto ricoperto dai piumini di polline e i rovi a graffiare la pelle nuda. Il cielo si è acceso di fuoco, i mille occhi del prato si sono fermati a guardare.
In silenzio le fronde hanno protetto quella nascita sacra,
mormorando sottovoce una benedizione buona.
Non ci sono mai stati uomini a vegliare su di noi. Solo piante, animali e cieli. Niente aiuti, nessun saggio consiglio, nessun laccio invisibilmente teso, di quelli forti, a strangolo.
Solo la voce in vinile delle fiabe: sottili fili di ragnatela su cui camminare in equilibrio, sassolini bianchi illuminati dalla luna, per trovare sentieri nascosti, fughe a sorpresa ridendo come bimbi dietro i balzi del Bianconiglio. E poi corse tra i labirinti a specchi, giri di vertigine su giostre lunari, voli sulle catenelle per afferrare una coda di volpe tirata sempre più in alto da moderni Mangiafuoco dal sorriso ghignante. Anche la zingara delle carte si è divertita a mischiare i tarocchi letti a due cuori bambini.
Non c’è la sabbia polverosa del Luna Park, quella che offusca gli occhi, qui nel prato.
So cosa stai facendo a quest’ora. Gli amori a distanza non allontanano, anche se non portano lontano.
Cerco un quadrifoglio per te.
Il cielo si sta rannuvolando. Penso alle volte che ci sono state la pioggia, la neve, l’acqua del fiume attorno a noi due.
Il mare mai. Il mare dà un senso d’infinito che non reggiamo, che ci fa abbassare gli occhi.
Si avvicinano lunghe pennellate di blu. Forse è in arrivo un temporale. Qui tra l’erba si nota un aumento di frenesia, si corre al riparo con le provviste del giorno, come succede anche più in là, nei parcheggi dei supermercati.
Sono inquietanti le affinità nel mondo animale cui spesso ci scordiamo di appartenere. Talvolta, presi dai ritmi sincopati da spot delle nostre agendine, ci scordiamo di ascoltare le basse frequenze del cuore.
Anche a noi due è sempre piaciuto mentirci dicendo che non c’è mai abbastanza tempo. Conosciamo bene il privilegio di certi insetti di vivere la felicità di una vita in un solo attimo.
Il quadro è ormai terminato. Stendo la patina di vernice che illumina, le paillettes del vestito da sera. Lo firmo con le nostre iniziali intrecciate.
Lo vedrai quando passerai di qui. Ti piacerà.
Ho imparato l’immobilità nel prato. Ogni giorno soffio nell’aria tersa un volo di soffioni. Affido i miei messaggi alla voce d’argento delle foglie di pioppo. Li nascondo tra la spuma delle nuvole perché i tuoi occhi indovinino parole liete, che rassicurano il cuore, nell’inquieto mare d’aria.
Con amore
LAURA

Laura Vicenzi scrive da sempre poesie e brevi racconti. Da un paio d’anni li lascia uscire dalla sua stanza per farli leggere anche ad altri spedendoli a concorsi con temi simpatici, o profondi, meglio se simpatici e profondi, ottenendo apprezzamenti e riconoscimenti che la rendono molto felice.

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