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L'universo che sta sotto le parole
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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 15
Marzo 2001


Editoriale: la densita' della parola

Parlare e' una forma di espressione, che e' un po' una "spremitura" dei nostri umori e dei nostri pensieri. Di solito la parola scritta e' piu' densa e meno ridondante di quella orale che ha piu' bisogno di ricorrere a strategie di ripetizione e ad accorgimenti atti a mantenere viva l'attenzione di chi ascolta, perche' i suoni sono ben piu' volatili delle lettere stampate. In questo numero presentiamo gli scarni e acuminati versi di Ardea Montebelli e passeremo poi alle riflessioni di Giovanni Vailati sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura. La posizione innatista del piu' famoso linguista vivente, Noam Chomsky, sembra trovare dei lontani antecedenti nello stoicismo, mentre un racconto anonimo di porta in un luogo di poche parole.
Concludiamo con la segnalazione di siti e di un libro di Silvano Galli sulla cultura orale africana. Buona lettura.

INDICE

Il paradosso della memoria

Questioni di parole

Chomsky e il lekton

Il deserto dei Mauri (adespoto)

Siti interessanti

Recensioni
- Il seggio d'oro

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Il paradosso della memoria

Ho sbirciato
i punti controversi
per vedere la luce
e uomini in cammino
con sguardo pensieroso
chiedersi
se sara' consentito
avanzare ipotesi
scambiarsi carezze
dare un'occhiata a questo mondo.

Si apre cosi' il commento poetico di Ardea Montebelli alle Lettere di Giovanni, scritti fatti di luce (il colore dell'evangelista prediletto da Gesu' e' il bianco, che racchiude in se' l'intero spettro cromatico) che inondano il cuore. L'autrice, che e' anche fotografa, sa fa riverberare quella luce, sa rendere, con una invidiabile essenzialita', palpabili e incisive alcune pregnanti parole di Giovanni. Montebelli ha scavato a lungo in se' stessa immedesimandosi nell'Evangelista che parla in prima persona:

Il bisogno di guardarmi dentro
mi aiutera' a decifrare
questa necessita' di essere
ridotta all'essenziale.
Non esiste altro,
costruire la speranza
fermarmi a chiedere perdono
accogliere la vita
fino alla stanchezza.

Nel progressivo avvicinamento, poesia dopo poesia, alla luce folgorante dell'Assoluto, giungiamo al paradosso finale. La parola, l'appiglio denso della memoria, benche' fuggevole e dal significato che non puo' mai essere determinato in modo assoluto, diventa un simbolo che trasfigura i sensi della nostra tenda di carne e quelli del nostro linguaggio, se diventa Parola, cioe' direzione del nostro vivere.

Lasciamo alla verita'
il dolcissimo spessore.

La memoria si e' trasformata in Amore, senza piu' bisogno di parole:

Ci pensi,
l'anima e' cosi' silenziosa.

(cfr. Ardea Montebelli, Il paradosso della memoria. Meditazioni in versi sulle Lettere di S. Giovanni, Fara Editore, 2001)

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Questioni di parole

Se, tra due classi di fenomeni che a tutta prima sembravano non avere alcuna connessione tra loro, si viene, in seguito a una scoperta o a un'intuizione geniale, a riconoscere un'analogia tanto intima da permetterci di dedurre il loro modo di comportarsi da uno stesso gruppo di leggi generali, che per l'innanzi si ritenevano applicabili solo ai fenomeni di una delle dette classi, non diciamo di aver trovato una "spiegazione" dei fenomeni dell'altra classe per mezzo di quelli della prima.
Noi avremmo altrettanta ragione di dire che un tale risultato costituisce una "spiegazione" dei fatti della prima classe per mezzo di quelli della seconda: il dire una cosa o l'altra dipende dal punto di vista a cui ci collochiamo, o, per parlare piu' propriamente, dipende dalla circostanza che i fatti dell'una classe sono per noi piu' famigliari di quelli dell'altra, e che fu l'osservazione di essi che ci condusse per la prima volta alla cognizione di quelle leggi che in seguito, per ulteriori indagini, siamo venuti a riconoscere come applicabili anche a quelli dell'altra classe.
Ora e' evidente che tale circostanza, per quanto la sua considerazione possa avere importanza dal lato storico o psicologico, non puo' certamente dar luogo ad alcuna distinzione fondamentale tra l'una e l'altra classe di fenomeni; ne' essa ci deve impedire di conoscere che, nei processi di "spiegazione", entrano, per cosi' dire in modo simmetrico, i fenomeni dei quali si da' spiegazione e quelli per mezzo dei quali la spiegazione e' data, precisamente come nei processi di comparazione non v'e' alcuna differenza sostanziale tra l'atto di paragonare una cosa con l'altra, e quello di paragonare l'altra con la prima.
Non occorre dir altro per mostrare la superficialita' e anzi l'inanita' di quelle frasi, cui abbiamo gia' alluso, nelle quali i processi di spiegazione scientifica vengono rappresentati come mettenti capo inevitabilmente all'ammissione di leggo o fatti primordiali, alla lor volta piu' misteriosi e inesplicabili di quelli alla cui spiegazione sono applicati.

(Giovanni Vailati, Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura, Fara Editore, 1994, pp. 52-53).

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Chomsky e il lekton

Non ci risulta che Chomsky abbia mai fatto esplicito riferimento al pensiero stoico sul linguaggio. Ci pare tuttavia possibile riscontrare alcuni interessanti punti di contatto fra le idee del linguista americano e quelle degli stoici. (...) Per gli stoici, infatti, i concetti o rappresentazioni mentali sono da considerare come elaborazioni di una facolta' rappresentativa innata, la phantasia. Tali rappresentazioni sono, di conseguenza, qualcosa di concreto o "corporeo", come essi dicono. L'uomo, in quanto essere "logico" per eccellenza, e' dotato di una facolta' linguistica in grado di organizzare le rappresentazioni mentali, che sono corporee, in lekta' o "dicibili" incorporei. Questi ultimi possono essere a loro volta suscettibili di una realizzazione concreta (corporea) in enunciati (logoi). I lekta' possiamo quindi considerarli come le forme linguistiche prodotte dall'attivita' del pensiero (dianoia) che organizza gli stati mentali della logike' phantasia (facolta' rappresentativa del linguaggio) affinche' possano essere enunciati per mezzo della phone' (voce articolata) nei logoi (discorsi) corrispondenti. Quello che ci sembra importante evidenziare e' l'incorporeita' del lekton, la "forma" linguistica di uno stato mentale. Il lekton va percio' inteso come una proposizione in senso logico-formale: un giudizio che puo' essere vero o falso, ma costruito secondo regole ineccepibili. Gli stoici distinguono fra lekta' autosufficienti (autoteleis) e lekta' ellitici (ellipeis): i primi corrispondono all'enunciazione di una proposizione completa (ad es., "Socrate dorme"), i secondi all'enunciazione di proposizioni prive di soggetto espresso (ad es., 'Scrive'). Il predicato in se' e' dunque ellittico poiche', avendo un soggetto sottinteso, non si puo' stabilire il suo valore di verita'. Riassumendo, per gli stoici il lekton incorporeo mette in relazione due entita' corporee: da una lato le rappresentazioni mentali della logike' phantasia; dall'altro quello fisicamente percepibile dell'atto concreto di dire (...). Ci pare, dunque, che la posizione degli stoici possa essere considerata non troppo lontana dall'approccio razionalista di Chomsky, dato che l'attivita' della dianoia nella produzione di lekta' a partire da certi stati mentali e' comparabile a quella svolta dalla Grammatica. Che i lekta' siano considerati incorporei, enti astratti, porta anche acqua al mulino dei realisti forti, in quanto i giudizi di verita' su proposizioni "dicibili" ma non ancora enunciate effettivamente non possono che essere i giudizi analitici di pertinenza della logica. Tuttavia la costruzione di tali giudizi e' possibile solo perche' l'uomo, in quanto essere razionale, e' dotato di una specifica facolta' mentale, la metabatike' kai' sunthetike' phantas’a vale a dire la "capacita' di farsi rappresentazioni, la quale e' ... 'transitiva' e 'sintetica', cioe' e' in grado di muovere da un fenomeno ad un altro per stringerli insieme in un giudizio ..." (R. Simone, Il sogno di Saussure. Otto studi di storia delle idee linguistiche, Bari, Laterza, 1992).

(Alessandro Ramberti in Riflessioni sul linguaggio, Fara Editore, 1993, pp. 70-72)

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Il deserto dei Mauri
Questa storia e' stata scritta di sera, in condizioni di estrema essenzialita': per risparmiare energie si e' adottato qualqe accorgimento ortografico. Il nesso "ch" e' stato sostituito dalla "q", il nesso "sc(i)" dalla "x", il nesso "gl(i)' dalla "y". Qiedo scusa per tali stenografie, e per motivarle ulteriormente diro' qe la "q" e' il simbolo della stasi, la "y" della xelta/movimento, la "x" e' la vita qe incrocia il deposito della memoria con il dinamismo dell'esistere.

Ho raggiunto l'eta' in cui il cuore e' stanco: fa riposare le membra in facili camminate, ardixe ancora qualqe axesa in montagna, frequenta le librerie per sfoyare e a volte acquistare un buon libro, si inserixe in comitive qe viaggiano in posti un po' insoliti... senza aspettarsi di incontrare la persona della propria vita, del resto gia' in prossimita' della scadenza. Ho deciso di partire. L'aereo e' decollato con poco ritardo. Dai finestrini ho visto il tappeto mattutino delle nuvole squarciarsi sull'Atlante e sparire del tutto lungo la costa dell'Africa Occidentale. La desertica Nuakxott, coi suoi semplici cubi abitati, l'abbiamo laxata alle spalle. Siamo in pieno deserto. Ci sono venuto non per essere tentato, ma per tentare di arrivare al nocciolo, ormai piccolo e raggrinzito, ma incredibilemente sfaccettato dal vissuto, di quello qe sono. Quando cammino nel bosco prendo spesso sentieri non piu' calpestati da tempo. Se si apre qualqe radura, cerco un punto di riferimento visibile da lontano per evitare di andare fuori strada; poi do alle gambe il ritmo giusto e proseguo. Quando cammino sui monti mi piace ogni tanto laxare il sentiero, trovare un punto isolato, possibilmente con vista sulla valle e le cime d'attorno. Allora mi siedo e se il terreno lo consente, mi distendo incrociando le mani sotto la nuca. Osservo quello qe yi ocqi da sotto possono coyere di quanto sta sopra. A volte vorrei condividere queste emozioni con un'altra persona, ma se ci rifletto, mi pare qe in quel caso la situazione sarebbe (ovviamente) diversa, distraente: ci sarebbero in quel luogo altri pensieri e sensazioni umane a renderlo piu' urbano. E forse non si potrebbe evitare di dare loro un suono... Le parole qe mi frullano in testa - se non c'e' un potenziale uditore - mi sembrano piu' vivide, prive delle incrostazioni del timbro della voce, piu' veloci di quanto anqe il mio pur rapido parlare sia capace; piu' efficaci di quanto la mia emotivita' sappia esprimere. Anqe la scrittura mi risulta insufficiente: vorrei darle la giusta cadenza, l'incisivita' opportuna, l'eufonia allusiva e cateqetica di qi e' un vero poeta e mi trovo a utilizzare le stesse sequenze sillabiqe (quasi fossero loro ad avermi inciso l'anima), ad esprimere variazioni delle medesime opinioni di quando ero all'universita'. Sono passati diversi decenni. Eppure sono cambiato, e' cambiato il mondo e il mio rapporto con lui, e' cambiata la mia religiosita' qe si nutre di una grande scommessa, e' cambiata la mia affettivita' e il mio rapporto con yi altri; si e' arrughito il mio volto, e forse qualqe angolo della mia coxenza sempre piu' consapevole delle sue ombre, sempre piu' desiderose di un amore qe salva. Mi faccio laxare dal fuoristrada nei pressi di un pozzo poqissimo trafficato: sono a oltre 700 km dalla capitale. C'e' un baobab. Pianto la tenda alla sua ombra. Ripasseranno fra un mese. Ho scorte di cibo sufficienti. L'acqua del pozzo e' incredibilemnte fresca. Con me ho la Bibbia, questo grosso robusto quaderno, e una dozzina di classici. Quando giunge la sera, raccolgo alcuni sterpi e accendo un piccolo bivacco. Poi mi stendo a guardare le stelle: sto cosi' per ore, circondato da una coperta di lana, assorbito dal loro pulsare incredibilmente vicino. Non e' disprezzo del mondo, ma un laxarsi amare quasi senza barriere. Il rumore del vento e' un alito qe appena si insinua fra i rami. A parte qualqe insetto non ho ancora visto animali. Mi hanno detto qe potrebbero capitare orici, antilopi selvatiqe, o qualqe spiralico avvoltoio. Mi trovo a 60 km da Xinguetti, il centro abitato piu' vicino. Le dune si perdono nella distanza. Sono in un territorio misto; al confine fra hamada (roccia) erg (sabbia) serir (ghiaia): una faxa in cui queste tipologie di deserto si alternano in maniera mirabile. Quando mi alzo mi lavo con l'acqua fresca del pozzo, faccio colazione (te' con biscotti secqi), metto nello zainetto il telo, la borraccia, l'accendino, un libro, un po' di farina salata, infilo alla cintura il coltello e cammino per ore nel deserto xeyendo ogni giorno una direzione diversa. Quando il sole sta ormai per raggiungere lo zenit mi fermo presso un arbusto piu' grande, o meyo un'acacia; stendo il telo ancorandolo ai rami, vago nei dintorni finqe' non ho raccolto un numero di sterpi sufficienti, e accendo il fuoco. Impasto la farina con un po' d'acqua su un piccolo telo impermeabile, e avvolgo l'impasto a serpente attorno a un bastone qe pongo a poca distanza dalla brace, girandolo ogni tanto: un modo antico di fare il pane descritto in Scouting for boys. Di solito ho con me del formaggio secco, o una scatoletta di tonno o carne, e della frutta secca. Questo e' il mio unico pasto. A sera, ritornato alla tenda, mi bevo un karkade' zucqerato. Dopo il pranzo, se non c'e' troppo vento, mi abbiocco per qualqe minuto, poi prendo in mano il libro, ne leggo un certo numero di pagine e le medito a lungo: fisso nella memoria qualqe parola, qualqe frase, qe trasferiro' a sera nel quaderno: qe e' poi quanto state leggendo. Oggi avevo con me yi scritti di Saint Exupery: anqe lui amava andare oltre, anqe lui in cerca di verita'. Un teologo ha detto: "La Verita' non e' qualcosa qe si possiede, ma Qualcuno dal quale laxarsi possedere..." Ho sempre avuto un po' paura a farmi possedere, anqe da un qualcuno con la q minuscola, ma nello stesso tempo ho sempre desiderato la verita': quale luogo piu' mistico del deserto puo' aiutarci a trovarla? Camminare per ore sulle dune e sui sassi, sentire l'aria ossigenare a fatica i polmoni, per via delle molecole cosi' dilatate dal caldo, il sudore colare neyi ocqi, il cuore palpitare cadenzato dal respiro, le ginocqia scricqiolare, i piedi assorbire ogni centimetro del terreno qe calcano: i piedi hanno memoria e cosi' la pelle graffiata, abbronzata, seccata dal vento sabbioso. Immaginati di essere li' con l'orlo del cielo sul panorama equoreo appena imbastito dalle dune. Il vento soffia discretamente dando risonanza alla spazialita' cosi' ampia del campo visivo. Considera: perqe' mi trovo qui, con l'eco delle nostalgie diventata ora quasi solo il sottofondo a questo vento? E per qi soffia questo hevel celeste, per qi si svolge questo paesaggio, per qi vive questo (mio) essere per il quale e' cosi' difficile trovare un equilibrio, giustificare i propri errori, correggere fraternamente quelli deyi altri? Ho provato a contenerli, ad assorbirli, ma la mia magnanimita' non si e' rivelata grande abbastanza e cosi' la mia fede e il mio amore velato da un certo xetticismo. Non mi ricordo di aver mai detto a una persona qe era importante e necessaria per me, neanqe se mi affaxinava, magari posso avere desiderato farlo ma non ho ritenuto di diryelo. Mi e' invece capitato di affaxinare persone qe non riuxivano a capire il mio bisogno di liberta': cosi' appena vedevo restringersi le maye della gelosia, ero gia' lontano... forse ero gia' qui, perqe' quando si soffre si e' piu' soli. E nella solitudine si scopre qe la vita e' piu' semplice delle nostre dietrologie, piu' libera dei nostri doveri, piu' etica dei nostri moralismi. "Perqe' mi dici 'buono'? Solo Dio e' buono." Siamo meno buoni e meno cattivi di quel qe crediamo. Ci conoxiamo cosi' poco qe riuxiamo a depistare anqe noi stessi, a giustificare come amore coerente il nostro egoismo. E' come se avessimo perduto il senso della croce, qe e' l'accettazione dei propri limiti e di quelli deyi altri sapendo qe un'esistenza e' sempre lo scarto infinito qe neanqe un mare di errori puo' intaccare. La croce non puo' diventare una scusa per vivere da morti: e' l'esatto contrario dell'accidia qe mi ha avilluppato in alcuni periodi. (...) Oggi e' il decimo giorno. Ho visto l'orice avvicinarsi, con circospezione, al pozzo (una specie di buca profonda e buia e parecqio accline sul cui fondo si trova un piccolo specqio d'acqua limpida). Mi ha osservato per un discreto lasso di tempo. Poi e' dixeso a dissetarsi. Io ero sempre appoggiato al baobab: potevo distinguere abbastanza bene, nell'ombra, la sua sagoma in parte striata. Poi e' risalito. Guardandomi neyi ocqi alla fine mi ha qiesto:
- Cosa ci fai qui?
- Sono venuto per incontrarti.
- E adesso... cosa mi dici?
- Be', ti immaginavo diverso, forse piu' grande.
- Grande lo sono, ma solo d'eta'; per questo vago nel deserto senza il rumore deyi altri zoccoli amici. Non posso piu' correre come un tempo assieme ayi altri del branco.
- Eri gia' stato da queste parti?
- Si', appena prima di trovare la mia compagna. Molto tempo fa. Allora ero cosi' pieno di energia qe il futuro era terreno di conquista. Ora ogni orizzonte mi sembra irraggiungibile, o gia' conquistato.
- Pensi di restare qui?
- E come potrei! Io sono un orice, il veloce corridore del deserto. Questa e' la mia natura: se mi fermassi non sarei piu' me stesso. E tu sei venuto qui per restarci?
- Non e' questa la mia intezione: fra venti giorni passeranno a riprendermi.
- Allora ti laxo un regalo.
L'orice ha inclinato la testa dalle corna affusolate, quasi volesse caricarmi.
- Questo e' il modo in cui noi formuliamo un desiderio: ho letto quello qe hai nel cuore.
- Io stesso non sono sicuro di avere ancora desideri.
- Io uno l'ho visto. Tranquillo... anqe se non posso rivelartelo, ti basti sapere qe posso aiutarti a conseguirlo. Questa e' una promessa. Quando vedrai nel pozzo l'immagine riflessa del mio volto, io ti staro' pensando. Vivi felice il tuo tempo.
- Anqe tu, e buona strada.
Il vecqio orice, se n'e' andato col suo galoppo contenuto. (...) Sono passati ventisei giorni. Credo di aver perso 15 kg. Le mie escursioni stanno ripetendo piste gia' percorse. E' sera. Ho appena finito di sorseggiare il mio litro di karkade'. Ho in mano il grosso quaderno, con la copertina rigida. Lo apro all'ombra del baobab.
- Tu sei nel deserto dei Mauri - mi dice - qe poi sono gli epici Mori.
- Finalmente mi parli... qe cosa ne pensi di questo eremitaggio?
- Quello qe pensi tu: io non sono qe un albero, la mia solitudine l'ha xelta il vento, la mia esistenza e' dovuta a questo pozzo. La mia conoxenza era molto piu' limitata, prima qe arrivassi tu, col tuo quaderno. In queste ormai quattro settimane, sera dopo sera, ho letto le pagine qe venivi scrivendo, e cosi' mi sentivo piu' vivo: ho trovato un amico qe non qiede qe ombra e mi ha dato la possibilita' di essere visto da un numero di pupille piu' grande di quello dei poqi beduini qe passano di qua.
- Ieri scrivevo del toporagno, anqe lui, come l'orice dell'altra sera e l'antilope della settimana scorsa, nostro occasionale compagno. E' vero, solo tu mi sei stato vicino in tutto questo tempo: yi altri capitavano e come uccelli di passo se ne andavano tracciando su questo quaderno poqe righe di inqiostro. Di te ho invece scritto fin dal primo giorno in cui mi hai tenuto compagnia con il fruxio e il fresco e la spalliera del tuo tronco: come vedi non ti ho xelto soltanto per la tua capacita' di ombrare...
- La vera amicizia e' leggera, e' un qiedere cosi' discreto qe non si sa qe si sta dando.
- Domani sono 27 giorni. Ancora tre giorni e non saro' piu' qui. - Neanq'io saro' piu' qui, su questa pagina qe stai scrivendo. Ma forse ci saro' domani e dopodomani. Poi tu non ascolterai il mio fruxio, io non leggero' le tue parole: ma la mia ombra riparera' qiunque le rileggera' ed anqe tu, se le riprenderai in mano, mi ricorderai con maggior vividezza.
- Hai detto bene. A domani, mio caro, e qe le stelle brillino gioiose sul tuo sonno.
- Buona notte, Antoine, e qe il deserto accolga i tuoi fantasmi.

PS Ho laxato questo quaderno adespoto all'autista, Fre'de'ric N'Jouf, con preghiera di consegnarlo al bibliotecario della capitale. Se lo trovera' interessante potra' pubblicarlo come meyo credera' (e magari preparare una versione araba di questo originale in francese).

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Siti interessanti

Un bel sito letterario e non solo
http://www.paragrafi.it/index2.htm

The Andromeda Society. Storia, letteratura, arte, psicologia. Un sito culturale a largo spettro. http://www.simtech.it/andromedasociety

Bombacarta
http://www.bombacarta.net

Biblioteca Italiana Telemeatica
http://cibit.humnet.unipi.it/home_index.htm

Diritti e doveri del narratore secondo Wu Ming
http://www.wumingfoundation.com/italiano/presentazione.htm

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Recensioni:

Silvano Galli
IL SEGGIO D`ORO. Nyamian: il dio del cielo e della terra nei racconti degli Any-Bona, EMI
L'autore ci introduce in maniera magistrale nel ricco mondo della parola orale di questo popolo della Costa d'Avorio, facendocene assaporare il senso religioso e la profonda saggezza legata a una visione totale dell'uomo in cui spirito e corpo sono strettamente interrelati. (Digitare il nome dell'autore sotto "catalogo".)
http://www.emi.it

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