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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 70
Ottobre 2005

Editoriale: Un tappo universale

Mi ha molto colpito l'immagine di Vincenzo D'Alessio, critico attento delle nostre pubblicazioni, che nella sua silloge Elementi parla della luna come tappo di questo nostro universo. Abbiamo altri poeti a farci compagnia in questo corposo numero con versi che lasciano traccia: Mariarita Stefanini ("Barche attendono come culle"), Daniele Borghi ("Tradurre un occhio vuoto"), Nicola Rosti ("da questo tempo che porta con sé la sua fine"), Andrea Parato ("coi santi attaccati a travi nodose"), Loredana Magazzeni ("Dentro questo giorno ci sta tutto") e le "variazioni" di Enrica Musio sul Paradosso della memoria. Salace e divertente il racconto di Chiara De Luca. Ricordandovi il concorso Pubblica con noi, vi auguriamo buona lettura.

 

Gli Elementi di Vincenzo D'Alessio

di Alessandro Ramberti

"Seduto sul diluvio / c'è un Dio d'amore" così a p. 28 della sua silloge Elementi (Ed. Guarini, Solofra, 2003, introduzione di Emilia Dente) scrive Vicenzo D'Alessio dischiudendoci, credo, la sua visione del mondo in cui "Dio è sempre nano / nell'uomo / alla solitudine / del suo dolore" (p. 28), "L'universo è eterno /come i venti / nella notte di Jahvè" (p. 23) e "C'è l'uomo in me / che ha visto Dio / l'altro non sono io" (p. 25). Una poesia che chiede esplicitamente un senso, che registra la bellezza mortale dell'uomo frammento nostalgicamente simbolico del divino a cui desidera conformarsi constantando la propria piccolezza imperfetta e quella più tragica che avvolge l'umanità dove "inermi piccole energie / viventi scompaiono / come d'inverno fiocchi / di neve Stelle smarrite" (p. 52).
Versi scabri, asciutti, eppure venati di humanitas al pensiero del figlio a cui dice: "Ti conosco mentre guardi / con questi occhi azzurri / tuo padre intento a vivere. Ti amo nel corpo / quando chiami per nome / e aspetti il mio sguardo" (p. 20). Importante è anche l'immersione nella natura, nella sua incontenibile energia in perenne trasformazione: "Il sole come uragano / acceca coscienze / tripudio di papaveri / apparsi solo ieri" (p. 21); "lampi infrangono il silenzio / ai nostri piedi. Piove d'agosto! / Così violenta / muore la polvere sulle siepi" (p. 10).
Sono dunque da leggere questi Elementi che hanno pagine indimenticabili, come la 37:

"Dio com'è freddo il cielo!
I salici s'artigliano
la luna è il tappo
di quest'universo.
Ho voglia di uscire.
Filtra il grido
dove ribolle la vita.
Fatico a patire."

Anche la morte forse si riposerà davanti alla bellezza di un bel gesto e alla forza dell'amore, rendendo "al pari dell'alba, / chiara la vita che concede" (p. 30).

Vincenzo D'Alessio è nato a Solofra (AV) nel 1950. Ha pubblicato La valigia del meridionale (1975), Un caso del sud (1976), Oltre il verde (1989), Lo scoglio (1990), Quando sarai lontana (1991), L'altra faccia della luna (1994), Costa di Amalfi (1995), La mia terra (1996), Ippocampo (1998), D'amore e d'altri mali (1999). Vive a Montoro Inferiore (AV).

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Quando vai porta il mio canto

di Mariarita Stefanini

Quando vai porta il mio canto.

Oscillando dietro la linea del treno
la notte ha seguito schiene voltate.
Tutto quello che guardo
lo guardo per raccontartelo.
Nel giorno ombre scure si allungano
il crepuscolo le solleva in un velo.
Quando hanno spento i lampioni
una via lunga hanno lasciato alla notte.
Per rivelare. Le nuove parole.

***

Il buio copre le spalle leggere
allentano gli occhi
la lava sulla costa.

Un sonno desto d’acrobata
quella luce che piove diritta.

Barche attendono come culle.
Tra i fari alti del circo a molle
figure ascendenti
di lontananze scandite.

***

CHIOSTRO DI SANTA CRISTINA

Negli archi d’ombra
affondano le vetrine di via Fondazza.

Trapassa l’eco eppure
camminiamo. A Santa Cristina
per una sera
avrà quel grande spazio
a lume di candela e musica
per una sera una ragazza.
La sera e quel sogno
in cui non puoi entrare,
in cui non eri.

Credete a chi racconta
ed alza una crepa nel dolore
asilo inquieto, dormiveglia
docile quando s’arruffa d’alba.

***

Sul fianco della tua luce
un giorno si prepara.

Da lontano lo guardi
hai un nome
non il suo.
E rimani nell’ombra
in un tempo mesto.
Equilibri invisibili.

"Ma dove è andato l’inverno" chiedi
"Nel sole, vedi?"

Nell’ombra l’inverno
e te.

***

FENICE D’ACQUA

Ora so cos’è la pioggia
da quando me l’hai detto
e scrosciare voglio
sul selciato, battere
e battere i vetri di fiato
cadere e finire su ogni minima cosa
se sono pioggia saprò
quante volte morire.

Mariarita Stefanini è laureata in Lettere Classiche e diplomata in Pianoforte presso il Conservatorio “Rossini” di Pesaro. È in preparazione la sua prima raccolta di poesie. Collabora con la rivista «ClanDestino».

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Carlo Saverio Trastulli (da Senza principi )

di Chiara De Luca

Quella mattina ero incaricata di realizzare un’intervista al noto poeta Carlo Saverio Trastulli per conto del «Foglio» del Centro Culturale Internazionale di Borgo San Pinocchio. Mi lavai e vestii in fretta, e in meno di un quarto d’ora mi stavo già lasciando portare da Camilla, la mia punto rossa, nei pressi di Piazza Geppetto a Trettì. Lasciai sola Camilla, attraversai la piazza, mi fiondai sotto i portici di Borgo Volpe e, facendo lo slalom tra studenti, mamme con spesa, bambini con mamme, nonni al traino di nipoti ribelli, padroni al traino di cani inferociti, in un paio di minuti arrivai in Piazza del Gatto, davanti al portone della Biblioteca dell’Università della Balena, dove avevo appuntamento con Carlo Saverio Trastulli.
Guardai l’orologio. Nonostante tutto ero in perfetto orario, anche se le gambe mi tremavano ancora al ricordo di un brutto incubo fatto quella notte.
Dopo un paio d’orette, le gambe avevano smesso di tremare, si erano saldate con forza al suolo, e stavano meditando di mettere radici. Pensai che era il caso di lanciare un primo cauto promemoria al Trastulli.
"Omnitel, messaggio gratuito, l’utente da Lei chiamato non è al momento raggiungibile"
Sì… “al momento”, come se di solito invece fosse un tipo alla mano… Beh, speriamo che si decida a farsi raggiungere almeno dagli accidenti che gli manderò in forma strettamente telepatica…
Ma non avevo ancora fatto il tempo a inviare neppure il primo accidentino d’avvertimento, quando scorsi il Trastulli arrivare trafelato da Via della Volpe, con due ore e mezza soltanto di ritardo.
- Perdonamiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!! – cominciò ad urlarmi mentre costeggiava un paio di biciclette e tentava l’ammaraggio in Piazza del Gatto, dondolando come una pingue barca a vela scossa dalla tempesta.
- Figuratiiiiiiiiiiii_iiiiiiiiiiiiiiiiii! – gli urlai io con le mani disposte a megafono.
- Il taxi è arrivato in ritardooooooooooo_oooooooooo!
- Nessun problemaaaaaaaa! Ero in ritardo anch’iooooooooo_ooo!!
Quando mi ebbe raggiunto, si era già voltata tutta la piazza.
- Eh, sarà il caso di cercarci un luogo tranquillo per la nostra intervista.
- Hai ragione piccola.
- Bene, andiamo.
Gli feci strada verso il bar Il Gatto & la Volpe, dove tante volte ero stata da studente. Ci sedemmo, lui ordinò una birra, io un bicchier d’acqua liscia.
- Allora eccoci qui – mi fece.
- Già.
- Hai preparato delle domande?
- Sì, ma me le sono dimenticate nel panciotto di Camilla – Sì!
- Bene.
- Rumblerumble… - Come ha iniziato a scrivere? – No, che domanda del cazzo, Fede!
- Eh, invero non ho mai cominciato a scrivere.
- Oddio, non era il Trastulli poeta? - Ehm…
- Qualcosa ha sempre scritto dentro di me, fin da quando mi trovavo nella placenta della mia adorata mammina, pace all’anima sua.
- Capisco.
- Poi quel qualcosa ha imparato a parlare, ed ha cominciato a dettarmi dentro.
- Capisco – Insomma…
- Non mi lasciava tregua, notte e giorno…
- E lei scriveva…
- No, io seguivo inerme quella voce. La voce scriveva per me.
- Quindi Lei non si rende conto di ciò che scrive.
- Me ne rendo conto soltanto nel momento in cui la voce tace, e mi ritrovo davanti al foglio colmo delle frasi per me misteriose che ho raccolto.
- Quindi Lei poi legge ciò che ha scritto come se non fosse suo.
- Ma non è mio.
- Voglio dire, quindi Lei legge ciò che la voce ha dettato, perché Lei lo scrivesse…
- No, non sono io che scrivo.
- Ma allora chi cazzo te le scrive le poesie? - E chi è?
- La voce stessa, che si materializza nella mia penna.
- Ma è Lei che manovra la penna - o la stilo, o i tasti.
- No, la mia mano segue inerte il comando della voce che mi risuona dentro.
- Ma Lei dovrà pur elaborare in qualche modo quella voce.
- No, io non sono altro che una cassa di risonanza senza volontà, né discernimento.
- Capisco. E quando legge non si trova mai in disaccordo con ciò che ha dettato e scritto la voce?
- No, questo è impossibile. Perché la voce risuona soltanto laddove l’acustica è perfetta.
- Capisco. E lei ha sentito fin da subito che l’acustica era perfetta?
- Non ho mai avuto dubbi.
- Come poteva esserne certo?
- Sono cose che si sentono. Ci si sente chiamati, è come una vocazione.
- Capisco. Quindi ha deciso di dedicare la sua vita intera alla poesia?
- Non esattamente. La poesia ha deciso per me. Io mi sono limitato ad obbedire.
- Capisco. Ma non ha mai pensato di essere inadatto a questa missione?
- Come si permette?
- Ma no… mi scusi… intendevo dire se Lei è mai stato sfiorato dal dubbio, come avviene anche nelle migliori parrocchie…
- Assolutamente no. L’adesione all’appello della poesia è irrevocabile. Indietro non si torna.
- Capisco. In una sua poesia Lei dice "Poesia è colomba / Di ali bianche. / E si posa / ardita / sopra la tomba // ferita". Pensava ad una tomba in particolare?
- Lei non può chiedere al poeta di spiegare la sua poesia…
- Perché?
- Il poeta è un mero esecutore di una ingiunzione superiore. Il poeta è tramite tra gli uomini comuni e una dimensione altra, non è che un portavoce.
- E Lei non si è fatto almeno un’idea su chi possa essere il tizio nella tomba?
- Non lo so. E non possiamo neppure sapere se si stia effettivamente parlando di una tomba, o se essa non sia metafora di altro, una sinestesia, paronomasia, antonomasia…
- Ma nel caso in questione… non c’è neppure una possibile significazione che possa produrre una sostanziazione di senso?
- Questo devono dirlo i critici. Io non sono neppure lontanamente un critico letterario.
- Capisco. Ma avviene sempre così?
- Così come?
- Che Lei non riesce a capire il vero senso delle Sue poesie?
- Vede, quando la poesia è universale, essa contiene una stratificazione di significati che nessuno potrà arrivare a decodificare fino in fondo.
- Certo.
- Tantomeno l’autore stesso.
- Capisco. E cosa consiglierebbe a un giovane che decidesse di seguire la vocazione?
- Gli consiglierei di smettere.
- E perché, poveretto?
- Perché la vocazione è cosa rarissima.
- E chi le dice che quel giovane non sia uno dei predestinati?
- Credo che un secolo non ne produca molti. E al momento siamo al completo.

Chiara De Luca ha appena pubblicato con Fara La collezionista.

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Un incidente ruvido

di Daniele Borghi

Scegliere le parole
pronunciarle in modo giusto
e con la intonazione adatta.
Definirne l'ordine e la logica
le conseguenze intime
di un incidente ruvido.
Vedere quegli sguardi
raccogliere la luce
tradurre un'occhio vuoto
che si allarga sull'amore.
La voce su cui appoggi
le tue rime strategiche
rinforza temi sterili
gettando ghiande marce.
Non erano parole
solo grida verso il buio
che non si può ascoltare.
Lontano, nella notte
qualcuno ride forte
sereno come un bimbo.
Scivolare verso il mondo
in silenzio, finalmente,
la testa verso terra
consapevolezza sterile.
Fuori piove forte.

Daniele Borghi è nato e vive a Roma. È laureato in architettura, lavora come consulente finanziario e scrive per passione. I racconti sono il suo primo amore, ma da qualche anno, nel tentativo di dare maggiore spessore alle sue narrazioni, ha iniziato a scrivere romanzi. Oltre ad alcuni racconti comparsi su antologie di premi letterari, ha pubblicato un romanzo (Il nome di una privazione, 2003, Fara editore) ed una raccolta di racconti (Day & Night, 2000, Fazi-Libuk).Con i suoi scritti ha ricevuto riconoscimenti in numerosi premi letterari. Ha appena pubblicato Pinocchio non abita più qui (Fara, 2005).

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Punti - Tempo

di Nicola Rosti

PUNTI

Punti,
trascinati via lungo la riva,
immersi,
quasi annegati
da questo tempo che porta con sé la sua fine
inesorabile
fino a sparirci di fronte.
Punti a infinito,
invisibili,
si riuniscono
circondati di luce
insieme,
pariamo come ombre silenziose
il nostro Essere combatte questo tenue delitto,
affascinati, osserviamo ciò che ci annulla.

TEMPO

Intatti…
Scelgono strade
E tu
Che affannato ritorni
Azzardando
Foschie nella luce

Immagini
… un fremito!
Immobili aspettano
Ladri di essenza!
Rubano
Liberi sprofondano
Senza motivo
E tu…
Cercatore… amico mio
Troppi granelli
Dimentica il tempo
Tra le clessidre
E poi taci

Nicola Rosti (1979) è diplomato in Progettazione grafico-visiva, suona il pianoforte, studia Armonia e composizione, si diploma in chitarra presso Music Academy 2000 e presso Fondazione Arturo Toscanini. È compositore, chitarrista, si interessa di ricerca sperimentale in ambito musicale. Dal 2000 si dedica alla scrittura di brevi saggi e di poesie.

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Del vostro riposo segreto - La potatura - Il vinco

di Andrea Parato

DEL VOSTRO RIPOSO SEGRETO

Quando al fine del resistere
separeremo le mani intrecciate
da gioia e dolore
sarà grande tristezza.
Molto più d'un addio
al mio cuore stolto parrà il buio
se luce è speranza:
scomparse ai sensi
le callose dita asciutte
di carne, per il dissodare zolle grasse
di terra, e i solchi
di vene e crepe
a custodire silente la dimora in attesa.
Le bucce rugose delle arance
il pane secco arduo ai denti
la zappa prostrata lungo il battuto
nelle sere a scrutare la vita da vetri troppo fragili:
"non si vive
sol per sé stessi, sol per sé
nessuno muore",
sgranavi le tue Ave per i lacrimati scomparsi.
E prima del riposo sorseggiavate
parole improbabili e lievi
di parlata segreta
destinata a perdersi.
E i ritornelli stanchi
d i quel bimbo spoglio tra i banchi
d'una Nazareth da dopoguerra
che donava vita a tordi e passeri di terra.
E i bu e la cisa, la chèsa e la tèra,
dicevi di tempi felici faticosi
coi santi attaccati a travi nodose
le preci ai crocicchi
e i buoi vestiti a festa.
Ma ora, per noi, per queste mani incerte
neppure la saggezza del vinco o del lino,
conocchia e rocca non ferme al muro.
Inutile intreccio di passato
in fili superflui: se il tuo ultimo sguardo
mi supplica speranza
non so neppure respirare oltre.
Tormentato indago
se macchine arcane abbandonate tra cumuli di neve
se balle di fieno in cortili di cemento
se madri e fanciulli tra scheletri di calcolatori
sono la risposta
e al buio chiedo luce.

LA POTATURA

S‚è fatto ormai freddo
ma continueremo il nostro mestiere
con mani crepate
Gli occhi ricolmi di sole
fino a sentir le pupille bruciare
e frangersi le zolle
sotto vecchie scarpe scollate.
Derimeremo il dubbio
troncheremo le verghe
ormai stanche, vaglieremo
la speranza di un germoglio
in inverno e lo piegheremo
per metterlo alla prova:
altra strada, altra morte
per gli uomini.
Queste piante piagate
perché meglio cresca il seme
e questa stirpe pigra di linfa immemore
verranno assieme.
La radice e il virgulto comunque uniti
nel terreno amaro
per rinascere ogni anno
a sperare per sempre.


Il VINCO

Sotto panno umido
giace tagliato flessibile
al tramonto dell‚astro.
Si piega la vite mozza
docile alle mani, china
al ferro e al vinco che unisce
s‚aggrappa si torce
al ramo che ama
e se il virgulto spezza
subito lacrima
un pallido umore di linfa.
La stessa regola avvolge
e vivente e vissuto:
si piega e si spezza
si taglia e si getta
al momento opportuno
poi non serve più a nulla,
riposa all‚ombra di nodoso ulivo.

Andrea Parato (1979)è laureato in Scienze della Comunicazione. Dopo un master in Marketing, comunicazione e pubbliche relazioni, continua a dedicarsi all'analisi della comunicazione di massa, editoriale, digitale e sociosemiotica. Collabora con riviste e periodici, ha pubblicato saggi e poesie.

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Di questa lentezza ho bisogno

di Loredana Magazzeni

domande, 4

Lo vedi come mi stringo a questa obbedienza?
Come se tornata dall’infanzia del mondo,
salvata dall’usura del tempo,
spaccassi la madre che è in me,
come una mela o un gheriglio.
E da quest’esilio ti dico:
quale libertà è migliore
di quella che infrange il sogno?

***

Di questa lentezza ho bisogno,
la festa di un pensiero che dimora
nel sangue fra le cosce e nella pelle.
E tu che hai reso le parole orecchie
e sensi offerti al nostro paradiso,
concedimi la tana dell’inverno,
nell’utero luminoso di novembre.

***

L’integrità non esiste
perché il mondo è spezzato.
Qual è l’uomo che per primo ha detto
ha più meriti colui che mai ha peccato?
Cinque miliardi di angeli non avrebbero mai
dato vita al mondo.
Porterò qualcosa di buono all’altra parte di me:
l’imperfetta scommessa che funziona.

***

Dar voce a ciò che è poco chiaro
per accumulo e non per sottrazione,
uccidendo l’errore ed amando l’errante,
per la saggezza che non ha dimora
se non nel corpo amante,
prendendo la parola
contaminante,
cercando la radice
desiderante.

***

Dentro questo giorno ci sta tutto:
tutto e altro ancora, come in un ricamo
un filo tira l’altro.
Nel riparare è il gesto del cucire.
Non nel distruggere, né nel costruire.
Nel riparare è il gesto più sapiente.
Come un enorme orecchio spalancato
il corpo ascoltava il mondo.

Loredana Magazzeni vive a Bologna, dove insegna. Fa parte del “Gruppo '98”, che ha sede presso la Libreria delle Donne, con cui cura incontri e letture dedicati alla poesia femminile. Ha pubblicato Carte provvisorie, ("La Volpe e l'Uva", a cura di Marco Ribani, Bologna, 1998), La miracolosa ferita, (Archivi del 900, Milano, 2001), Canto alle madri e altri canti (DARS, Udine, 2005) . È stata redattrice delle riviste letterarie «Le Voci della Luna» e «Versodove».
Ha curato varie iniziative culturali, tra cui "Progetto Patchwork", una rete di poesia delle donne. È presente con poesie, articoli, traduzioni e recensioni su varie riviste, tra cui «Il Verri», «L’Immaginazione», «Poesia», «Graphie», «Leggere Donna».

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Variazioni da Il paradosso della memoria di Ardea Montebelli

di Enrica Musio

Due righe mi scrivo,
nelle giornate a cui annullo
le cose che nessuno
ascolta
in più
un sortilegio
dimora
dentro
alla parola.

***

Nei punti controversi,
ho cercato a sbirciare
a vedere una luce
in cammino molti gli uomini
con uno sguardo pensieroso
chiedersi
avanzare a delle ipotesi
le carezze scambiarsi
e dare una piccola
occhiata a questo
strano mondo.

***

Nel mio bisogno di guardarmi dentro,
mi aiuterà a decifrare la mia
necessità di essere umano
ridotta all’essenziale
costruire la mia speranza
fermare e chiedere il perdono
accogliere una vita
fino alla mia
stanchezza.

***

Cuore nuovo,
scuote i miei nervi
e preme al mio universo
oltre
il mio sangue che vi scorre
più dolcemente
lascia orme
a vecchi frammenti
persi
e poi
ritrovarli
ancora
ripersi.

***

Non riesco a liberarmi da questo strano mistero,
senza mai fare un rumore
che accanto passa
si posa su tutto
anche sulla mia
faccia brutta.

***

Più grande il mare,
fa che sia l’amore della vita
sulla mia ragione
che tutto
mi sfinisce
impietosamente.
(a Daniele)

***

La parola,
entra
al mio sangue
in un intimo
significato
una pace sia a te
gli amici salutano
saluto gli amici
ad uno ad uno.
(a tutti i miei cari amici)

Enrica Paola Musio è nata a Santarcangelo di Romagna. È stata segnalata e premiata in numerosi concorsi, fra cui il nostro Pubblica con noi.

 
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