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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 59
Novembre 2004

Editoriale: I vincitori del quarto Concorso IIIM

Questo Faranews è dedicato ai vincitori della quarta edizione del Concorso IIIM. I giurati Andrea Campanozzi, Angelo Leva, Luciana Costi, Martino Baldi, Rosa Elisa Giangoia e Fara Editore hanno premiato le seguenti opere (un grazie sentito alla giuria e a tutti i partecipanti):

Primo classificato Alessandro Hellmann (nato a Genova e residente a Roma) per il racconto Cavedani e la poesia L'aria buona con la motivazione visibile qui

Secondo classificato Donato Mazzali (Milano) per il racconto Il figlio della medium e la poesia La carne, l'acqua e l'aria che le manda in giro con la motivazione visibile qui

Terzo classificato Elia Scanavini (nato a Milano e residente a Pegognaga) per il racconto Autunno e la poesia L'altro io con la motivazione visibile qui

I vincitori vincono libri rappresentativi dell'attività editoriale Fara: 15 al primo, 10 al secondo, 5 al terzo.

Sono stati inoltre segnalati per la pubblicazione in Faranews, con le i seguenti motivazioni, gli autori:

Corrado Giamboni (nato a Roma e residente a Porto Mantovano): La storia del cane è esilarante, sebbene lo scrittore non riesca a domare perfettamente la sintassi o, per meglio dire, in lui si nota una certa “mancanza di fiducia” nella propria capacità di esplicazione verbale. L'espressione “cane-precedentemente-umano” è bellissima. La digressione sul “cane della vita” è piacevole e ben scritta, con qualche stranezza stilistica che trae fuori dalla realtà la figura del cane non solo come bozzetto ma quasi come figura del destino, dotata di non poca enigmaticità. Notevoli i due versi finali “C'è magia nella notte”, “È nel cielo che fugge”.

Milvia Comastri (nata a Bologna e residente a Igea Marina): Ci fa entrare insieme nel turbine dei suoi sogni con una grande capacità di modulare il lessico e le immagini, senza mai strafare né farsi prendere la mano e "sbroccare" in eccessi semantici e sintattici… come iperboli, anacoluti o termini altisonanti o desueti… che danno la sensazione di una patina stucchevole avvolta sul testo). In questo caso l'autore ha controllato tutto con grande misura, e la circolarità del racconto ci fa ripiombare nell'atmosfera da incubo “labirintico" tessuto con le parole.

Gloria Venturini (Lendinara, RO): Racconto di riflessione e di emozione, che tenta una trasfigurazione di eventi cronachisticamente ricorrenti in una dimensione idealistica e onirica. Linguaggio efficace e funzionale all'impianto narrativo. Poesia di tensione interiore, efficace nella concentrazione espressiva.

Chiara Nobilia (Subiaco, RM): prosa e poesia dirette. Forse soprattutto la poesia: c'è tensione anche in una pasta al pomodoro, negli spaghettini. Allora basta. È una poesia su cui si rimane senza letterarietà o idee sulla vita o sull'anima. È cruda, è un taglio, senza dire ferita, senza dire sangue ("era più pomodoro che pasta"). La prosa… è bello lo sguardo, quello che non si sa di ciò che comunemente si legge. Il fatto di non avere interpretazioni, sentimentalità, chiusure dolci, ovvietà a buon mercato. La vita ha più ragione e rispetto quando è cosi, quasi povera e non conoscibile per massimi sistemi.

Laura Giuliangeli (Roma): Racconto lineare, didattico con sapori d'infanzia, con assonanze del quotidiano faticare. Come in Calvino, i personaggi sono ben delineati, riconoscibili, privi di significati nascosti a letture superficiali. La morale è nel contorno: la natura che mostra sentimenti e reazioni umane, l'uso negativo di risorse e mezzi potenzialmente positivi naturalmente neutri, strade brulle come sineddoche di una vita difficoltosa. Il mostro mangia la parte più importante e nobile e sparito lui sparisce la foresta, parte dell'anima. Ritmo perfetto, finale intuibile, lettura scorrevole. È tuttavia un quadro di Brueghel, nell'insieme festoso nasconde i particolari che sotto la lente d'ingrandimento si svelano mostri. Il canto poetico è organico all'insieme del racconto e la rima è un tocco pregiato.

Valentina Mannone (nata a Torino e residente a Moncalieri): Il racconto tratta temi importanti come l'incapacità-impossibilità a essere genitori, la vendita di un bambino, l'irrealizzazione dei propri desideri, l'alcolismo, la morte. La lingua alterna momenti buoni a scivoloni ("Scattando e isterica strappava a se stessa falsi sorrisi cedendo a vortici lacrimosi e spiragli fragili di felicità.") ma tutto il racconto è teso, è un unico plesso di dialoghi e descrizioni che porta giù fino alla fine, o fino a quella curva dove i protagonisti troveranno la morte. Emozionante.
La poesia, pur rimestando nei luoghi comuni, ha bei versi come: "Prima gesso sotto i piedi, / ora gesso nelle vene."

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Opere vincitrici

I cavedani

(Alessandro Hellmann I classificato)

D'estate da ragazzini si partiva da Saliceto con un secchio e una rete a catturare i cavedani in qualche torrentello. Restavamo per ore appollaiati sui sassi, a parlare di niente, intenti a cogliere un guizzo in quello sputo d'acqua, sotto il sole a picco. Ricordo l'odore delle alghe secche. Anche oggi, le rare volte che mi capita di tornare ancora al paese, riconosco in quell'odore il profumo dei miei dodici anni. E riconosco le voci dei vecchi, le crepe sui muri, la strada che si fa sterrato, i sassi. Basta così poco, in un giorno come questo, per morire di malinconia...
Mia moglie mi sfiora i capelli con la mano, quasi una carezza, e accenna un abbraccio, di una tenerezza dimenticata, annegando il viso tra il mio braccio e la spalla. Lei non sa dei cavedani. Non sa di quando li gettavamo nel secchiello pieno d'acqua velenosa del Bormida che viene giù dall'Acna di Cengio e stavamo lì a contare, con l'innocente cinismo dei bambini, fino al momento in cui avrebbero voltato al cielo il ventre argentato. Uno, due, tre, quattro, cinque...
In piazza, davanti alla chiesa, c'è già qualcuno ad aspettare.
“Forse non ti ricordi di me, ma io ti ho visto nascere... Eravamo sempre insieme io e il tuo papà!”
È un uomo piccolo, magro, la testa ossuta e il volto scavato come il greto di un fiume. Mi stringe forte l'avambraccio, come volesse – in quella stretta – raccontarmi una storia lunga una vita.
Poi altri volti, altre voci, altre parole.
“Diceva di aver messo da parte qualche cosa per ricomprare la terra.”
Il cavedano disegnava gli ultimi cerchi nervosi in quell'acqua che non era più acqua. Acqua rossa. Acqua malata. Uno, due, tre, quattro, cinque...
“Un uomo così forte... Il male se l'è portato via in due mesi.”
Fa così caldo qui, quasi non si respira. Entro in chiesa e per un attimo è come immergersi in un'urna fresca di acqua corrente e pietre vive. La ricordavo più grande. Chissà perchè in momenti come questi la mente tende a sfuggire al presente e al corso ineluttabile delle cose: così capita di sorprendersi concentrati su pensieri e osservazioni banali, come le dimensioni di una chiesa o il colore di un abito, o di perdersi in un abbraccio di ricordi tanto lontani da sembrare parte di un'altra vita.
I cavedani grandi erano i più difficili da prendere. Si nascondevano sul fondo delle pozze, dove l'acqua è più alta. Erano anche i più diffidenti, sempre pronti a guizzare sotto le pietre o tra le alghe al minimo movimento. Bastava un riflesso sulla superficie calma dell'acqua a metterli in allarme, un breve contatto del nostro mondo con il loro. La vita gli aveva insegnato qualcosa. Eppure anche loro, prima o poi, sarebbero finiti nella rete o presi all'amo. Era solo una questione di tempo, di attesa, di pazienza. Anche quelli, alla fine, li si poteva prender per fame.
Ci sono due corone di fiori. Una carezza di colore contro il marmo dell'altare. “I figli e i nipoti”. “L'Acna e i colleghi tutti”.
Ma non è più il tempo delle parole, perché ogni parola, ormai, ha la misura del silenzio. Salirà come un cancro dalla gola e si fermerà, fredda, sulle mie labbra. Saprà di fenolo. Saprà di sangue.
Penso ancora ai cavedani e vorrei chiedere scusa ad ognuno di loro.
Questi sono i ricordi del giorno in cui ho salutato mio padre, il suo corpo gonfio nel vestito della domenica, disteso sul dorso. Il ventre al cielo, come un cavedano.

L'aria buona

(Alessandro Hellmann I classificato)

Non ne ricordo
il sapore in gola
e il colore negli occhi
ma forse anch'io
un giorno
ho respirato
l'aria buona
sciogliendo
l'anima magra
nell'azzurro.

Alessandro Hellmann, classe 1971, ha all'attivo svariate pubblicazioni nell'ambito della musica leggera in veste di cantautore e autore. Le sue poesie sono state pubblicate dalle più importanti riviste letterarie italiane (Prospektiva, Poeti e Poesia, Punto di Vista, Orizzonti, Omero).

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Il figlio della medium

(Donato Mazzali II classificato)

Sua madre aveva compiuto novantun anni ed era ancora incredibilmente bella. Al posto del sangue aveva nelle vene la clorofilla di una sequoia americana. Lei aveva detto: "Ho sentito papà, ieri sera". Lui l'aveva fissata duramente. Poi con rabbia aveva vomitato la verità: "Papà è morto". Lei lo aveva guardato stupita: "Perché dici così?"
Se ne era andato nella sua stanza ma prima che avesse fatto in tempo a chiudere la porta era entrata la verità di lei: "Lo sai che sono una medium". Già, una medium.
Sicuramente sua madre non era una donna comune. A sessant'anni lo aveva partorito. Nove anni più tardi, in un chiaro giorno di primavera, suo padre aveva lasciato, come un costume di scena, il suo vecchio corpo su una panchina del parco. Lei invece aveva continuato, con allegra noncuranza a beffare la morte. I bambini lo avevano messo in croce per quei genitori che lui non chiamava nonni. È così che aveva iniziato ad odiare tutti quanti e il tempo lo aveva reso nervosa carne sempre in sospetto di un agguato. La morte di suo padre era stata quasi un sollievo. Alla gente diceva di esser stato adottato. Poi un giorno lei gli aveva comunicato che parlava con gli spiriti. Sua madre era solo vecchia o anche sciocca?
Ben presto un misterioso andirivieni nel loro appartamento era stato notato dal palazzo e lui aveva capito di essere diventato un sorvegliato speciale. La presenza di estranei in casa non lo aveva disturbato. Quelli credevano alle buffonate di sua madre e quando li incontrava sull'uscio lo facevano sentire importante con le loro occhiate riverenti. Lo infastidiva invece il disagio sulle facce degli inquilini. Salutavano frettolosamente timorosi di beccarsi un sortilegio. Col tempo ci aveva fatto l'abitudine e a volte si era perfino divertito ad apostrofarne qualcuno con frasi dal senso oscuro. Nessuno lo prendeva più in giro ora.
Avrebbe voluto andare a vivere per conto proprio ma c'era pur sempre sua madre. Lei rifiutava solennemente il denaro dei suoi beneficiari ribattendo che era in missione per conto di Dio. Non sapeva se lei avesse mai visto The Blues Brothers. Lui metteva in casa tutto lo stipendio e, mentre sua madre chiacchierava con i suoi fantasmi, faceva la spesa, pagava le bollette, puliva il bagno, metteva nel microonde la cena. Non aveva amici veri e propri tanto meno la ragazza. Aveva deciso che avrebbe aspettato il giorno in cui lei fosse morta.
Sua madre aveva aperto la porta e lo aveva guardato con quel suo sguardo per metà affabile e per metà preoccupato: "Papà dice che ci vuole bene e che ci è sempre vicino". "Ah, sì?" aveva risposto lui: "E quando torna a casa?"
Lei aveva lisciato le pieghe del golfino di alpaca che indossava come se non ci fosse altro da fare. Poi lo aveva guardato intensamente. Lui non sopportava quella storia della medium anche nel privato. Quella finta vita oltre la morte. Improvvisamente sua madre si era distesa sul letto accanto a lui e gli si era rannicchiata contro: "Abbracciami, tienimi con te". Lui confuso l'aveva circondata goffamente. Sentiva il respiro muoversi dentro quell'esile corpo che aveva attraversato quasi tutto il secolo. Ora, trasmutato in sostanza vuota ascoltava la sua voce parlare con il tono baritonale di suo padre: "Com'eri da ragazza?". Lei aveva risposto teneramente: "Te l'ho già detto tante volte". Le aveva preso la mano ossuta e aveva guardato le vene azzurrine e sporgenti che portavano il battito vitale continuamente dal cuore a tutte le periferie del mondo che era lei. Sua madre piangeva piano sul suo petto.
Lui disse: "Non avere paura. Andrà tutto bene."
Lei rispose quieta: "Sì, papà."

La carne, l'acqua e l'aria che le manda in giro

(Donato Mazzali II classificato)

Ho questa carne che mi sposta in là come nave sull'oceano
ho questa anima che vaga insieme ad essa cercando un approdo
Molti volti riposano come conchiglie in un cassetto
altri sono api laboriose sul fiore generato dalla bianca radice del mio cuore
Molte creature sono entrate e sono uscite da me
tra ieri e oggi il vento non le ha mai fatte tornare
Io sono stato in nessun posto
fino a quando me ne sono andato
Avrei voluto raccontare una storia ma ho dormito
e ho sognato di dimenticare
Domani sarò vecchio e una qualsiasi innocenza
sarà il mio libero e nuovo andare

 

"Ho conseguito l'attestato di grafico pubblicitario e il diploma di maturità artistica. Ho lavorato per anni come grafico, illustratore e web designer. Grazie alla teoria del neoliberismo economico e alla deregolamentazione del mondo del lavoro oggi sbarco il lunario consegnando la spesa a chi la ordina sul web. Senza assunzione ne garanzia di alcun genere, s'intende. Non sono sposato, non ho figli. I miei interessi comprendono la letteratura, il cinema, il fumetto e la musica."

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Autunno

(Elia Scanavini III classificato)

Ormai non mi impressionavo più. Vedere quelle case rovinare in un cumulo di mattoni, coppi e legna marcia, mi riempiva di tristezza ma non mi turbava più.
Fin da bambino giocavo a schivare i buchi lasciati dalle mattonelle rotte, tra un travetto e l'altro, nel deposito di farina di granaglie. Quello sì era un edificio vecchio. Era giusto di fronte a casa mia. Massiccio e imponente costituiva il corpo di fabbrica più grande di tutta la corte e oltre alle varie farine per gli animali, c'erano accatastate una quantità di cianfrusaglie veramente incredibile. In sostanza, per delle corti così grandi quegli edifici costituivano dei veri depositi, non solo di attrezzi e utensili per la campagna e l'allevamento, ma di ogni arnese e ferro del mestiere che poteva servire la quotidianità della vita contadina: tutto il necessario per ogni tipo di manutenzione o riparazione. La ragione di questo accumularsi era una diretta conseguenza del fatto che non veniva mai buttato via nulla: tutto poteva essere aggiustato o modificato per essere poi sfruttato per qualche utilizzo affine.
Allora capita ancora oggi che sotto tetti crollati su solai ormai disabitati si trovi ogni genere di richiamo al passato. E un senso di malinconia avvolge tutto e spazza via la poesia di un mondo ormai dimenticato, che non ci appartiene più.
Io e altri siamo nati in questo limbo di nuovo che avanza a stento e di vecchio che tenta di rimanere a galla. Siamo stati marchiati da questa origine ibrida, una mescolanza priva di un vero stampo distintivo. Un territorio dai confini dettati dagli argini di fiumi e canali. Luogo di passaggio dove chi transita non è mai invogliato a fermarsi.
Crescere in un ambiente del genere è difficile. Non si riesce a vedere l'orizzonte di un possibile miglioramento. Tutto è scritto e prestabilito. Sei nato in campagna, sei destinato alla campagna.
Ma poi succede che ti imbatti in persone che questo passato lo vivono ancora. Sono lì, in carne ed ossa che ti sbattono in faccia la loro vita fatta di espedienti. Gente che la televisione non sa neanche cos'è, gente che vive di rapporti interpersonali con galline, vacche e capre; gente che mangia uova, formaggio, latte caldo appena munto e insalata selvatica raccolta sul rivale di un fosso, gente che non pesa sulla società. Gente che non urla e che si beffa di tutti noi, alla salute delle nostre bollette da pagare e delle nostre malsane tribolazioni.

Qui sto imboccando una strada difficile: quella che obbliga a fare
qualche passo indietro piuttosto che avanti.

Quella stessa gente muore e nessuno per giorni se ne accorge.
Perché così si muore in natura.
Ogni volta che cadono le foglie sento i pensieri che si arrampicano a testa in giù. Sembrano scavare e non riesco a domarli. Cercano forse un riparo sotto quelle foglie.

L'altro io

(Elia Scanavini III classificato)

Ascoltare le note mi trasporta
Sono tante volte viaggi voluti
Non so perché ne senta il bisogno
A volte ho bisogno di ricordare
A volte ho bisogno di piangere
Poter ricordare è un grande dono
Poter piangere è un grande dono
Ho scoperto più forte, ciò che traina la mente
Lo spostamento d'aria di un treno in transito
Ha l'effetto fisico del vento ma la potenza del suono
Non sposta me, ma sposta me
Non sposta me, ma sposta me

"Non ho mai amato leggere, anzi direi che lo odiavo e odio leggere. Poi ho conosciuto i Massimo Volume a metà degli anni Novanta. Il cantante, Emidio Clementi, scriveva i testi delle canzoni. Fu il legame con lui che mi spinse a leggere. A me sembrava quasi che leggere fosse qualcosa da ricchi, da borghesi. Io non lo ero e facevo dell'altro. Ho cominciato ad apprezzare la lettura di scritti di persone che mi erano vicine. Quelli avevano un senso. Il mio tempo impiegato per loro non era sprecato. Cominciai a scrivere quasi per gioco. Le prime cose che mi venivano in mente. Sono pubblicati due miei scritti nelle edizioni 2003 (La vita) e 2004 (Finali) di VERBAMARKET – Vetrina ad uso di giovani scrittori mantovani, un'iniziativa di Grilliperlatesta / Avamatta. Inoltre è apparso un mio scritto sulla rivista “Laciodrom – Buona strada” n° 11 (Perché amministrarli? I giovani vanno vissuti), sul tema politiche giovanili. Ho scritto inoltre un libro dal titolo Frammenti – dal c.s.a. Kà del Diavolo alle Officine Fluviali, la cui bozza presentata al concorso Pubblica con noi 2003 ha meritato la segnalazione della giuria e sarà pubblicato da Prospettivaeditrice."

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Opere selezionate

C'è qui questo cane (Corrado Giamboni)

C'è qui questo cane che viene tutti i giorni a trovarmi, si ferma in un angolino, sta fermo e mi guarda. Un cane di taglia media, resta lì un dieci-quindici minuti, mi guarda, non so, comunque tutte le volte che gli passo vicino mi fissa proprio come fanno i cani, quasi come ad aspettare un mio segnale, poi mi segue col muso spingendolo un po' in avanti, con un fare anche un po' beffardo e non solamente da semplice cane, ma piuttosto da cane-precedentemente-umano (in una vita precedente intendo dire), o comunque da cane-anziano-che-ne-ha-già-viste-tante.
E io, se è davvero così, da parte mia non è che gli possa dare o dire più di tanto, ma comunque in qualche modo si vede che lo attraggo e che gli sono simpatico, visto che continua a fissarmi quando passo o anche quando sto fermo qui davanti, e questo mi fa piacere ma mi imbarazza anche un po'. E' imbarazzante essere presi di mira da un cane, mi viene da pettinarmi, da mettermi a posto mentre sto per passargli davanti o semplicemente mentre mi guarda che sto fermo qui davanti, neanche fossi una bella figa… che cos'hai da guardare?
Non mi sembra neanche anziano come cane. Ha il muso simpatico però… altrimenti non mi lascerei mica guardare così.
Ma la cosa veramente strana è che questo cane forse lo vedo solo io, e un po' per la reticenza a parlarne in giro, un po' perché sta lì troppo poco, devo ancora verificare se si tratta per così dire del mio cane, oppure se mi sto facendo dei viaggi che potrei risparmiarmi.
Dicono che quando uno ha trovato il suo cane, qualcosa di importante nella sua vita si stabilizza per prendere finalmente e definitivamente forma, il cane gli dirà qualcosa che solo lui sarà in grado di comprendere e che bisognerà capire bene perché non verrà ripetuta. Ogni persona racconta una storia ma non lo sa, dice la canzone della Mannoia, e il cane aiuterà la sua persona a trovare la propria strada. Dopo di che se ne andrà svoltando l'angolo e da quel momento non si farà più vedere, e la vita, resa più stabile dalla nuova consapevolezza acquisita, potrebbe però entrare in una fase discendente, non in termini di tempo ma di qualche altra cosa che forse si potrebbe definire realizzazione dell'inedito. Cioè, da quel momento le cose nuove che facciamo, i pensieri nuovi che abbiamo, i gesti d'amore, le attenzioni, lo stupore potrebbero diventare sempre meno, finché noi alla fine non saremmo che la ripetizione esatta di noi stessi, esatta e prevedibile, e nulla potrà più meravigliarci e noi non potremmo più meravigliare nessuno: praticamente morti.
Per questo motivo ciascuno di noi aspetta il suo cane con una certa ansia non scevra di apprensione. A me la parola scevra mi è sempre piaciuta, anche se la uso poco.
Molti il proprio cane l'hanno già incontrato – non c'è un età stabilita – ed esso ha potuto comunicargli cose importanti per la loro storia. Molti però non l'hanno riconosciuto, e questo è drammatico: avere vissuto senza aver riconosciuto il proprio cane, e quindi senza avere saputo che cosa aveva da dirci. Che comunque gli incontri che ti cambiano la vita, se ci fai caso, avvengono sempre in circostanze differenti da quella che ti saresti aspettate.
E comunque no, secondo me mi sto facendo troppi viaggi dovuti al caldo, semplicemente questo cane normalissimo se ne sta lì per i casi suoi e si rilassa. Se fosse un umano e fumasse si farebbe una sigaretta, una pausa. Semplicemente un abitudinario. I cani lo sono, i gatti meno, a quel che so.

***

- C'è magia nella notte.
- È nel cielo che fugge.

(SENTINELLE)

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Labirinti (Milvia Comastri)

Sogni. Sogni ad occhi aperti sogni nel cassetto sogni ricorrenti sogno o son desto la vita è un sogno sogni di gloria i sogni muoiono all'alba sogni infranti sogni da interpretare dalla cabala al lettino denti patimenti mare madre sogni allegorici sogni leggeri di bambino con risate come cascatelle sogni evanescenti sogni che sono incubi sogni ambiziosi io ho un sogno i have a dream dormire sognare morire forse sogni profetici sogni di santi di eroi di naviganti sogni fuori rotta.
Sogni di un pazzo
Il mio, di sogno, qui, in questa stanza con croci alle finestre, su questo letto stretto e bianco, con gli acidi odori dei medicinali, con i passi felpati che si aggirano intorno e chiaroscuri e grida da altri chiamati follia. Il mio, di sogno, che si dilata da questo dormiveglia inciampante indotto da piccole pillole tonde.
Cammino in una strada piana, la luce è abbacinante, un sole bianco è fissato in un cielo basso che mi schiaccia. Non vedo nessuno, ma so che non sono solo, so che dalle finestre chiuse di palazzi piramidali occhietti sferici mi osservano, sento il sibilo maligno dei loro sguardi. Mi accorgo con orrore che non ho vestiti e il mio corpo nudo si ripiega a terra, con le unghie comincio a grattare l'asfalto per scavare una buca a nascondere la mia vergogna. Ma non asfalto trovano le mie dita tremanti ma acqua e mi immergo in quella limpidezza, e rido e rido mentre verso di me nuota un delfino azzurro. Mi sfiora e ha pelle di seta, e sono felice, ma capisco che quello è solo un sogno e ancora mi ritrovo in quella strada con le piramidi di acciaio e vetro e c'è gente in marcia che mi viene incontro e mi circonda. E hanno maschere bianche sui loro volti, e gli occhi sono nere foglie lanceolate. Bengala colorati scoppiano in cielo ed ho paura ma anche mi affascinano quelle vivissime tinte che esplodono vicino al sole. Le maschere si sciolgono sui volti delle persone a me intorno, e riconosco i miei compagni di stanza, e il dott. Cenni e l'infermiera Danieli che mi si stringono addosso sempre più minacciosi. Poi le finestre dei palazzi si spalancano e mi illudo che qualcuno si affacci e mi aiuti, ma dietro quelle finestre non c'è nulla, solo bui rettangoli opachi. Grido, ma la bocca spalancata non trasmette suoni ed il terrore e la frustrazione mi sovrastano. E mi sovrasta la gente e mi schiaccia e non ho più spazio per me, mentre tutti insieme gridano tu sei un numero, un numero, un numero e l'eco va e ritorna e rimbalza lontano e ritorna. Poi ecco come niente sono in un altro luogo, un prato con fiori colorati e grandi, una salita davanti a me, e tu in cima, che mi tendi la mano, ma te ne stai immobile, avanzo e i fiori mi sorridono, le corolle lievemente piegate, con un atteggiamento di benevolenza. Avanzo, lo sguardo fisso su di te, salgo, che fatica, mi arrampico, ma la tua immagine diviene sfocata, stai diventando trasparente, ti confondi sempre più con il cielo. Ancora l'esplosione dei bengala colorati, e mi fermo incantato ad ammirarli. E non mi accorgo che la salita è finita, e che al di là c'è un baratro infinito e so che precipiterò. Ho paura e grido.
Una mano mi scrolla.
“Un altro brutto sogno?”
Riemergo in un acre bagno di sudore, il cuore che mi martella nel guscio che ancora chiamano corpo.
Sogno, realtà, cos'è più confuso per me? Cosa più crudele? L'algida razionalità del sogno o lo slittamento della mia folle mente?
Sogni. Sogni ad occhi aperti sogni nel cassetto sogni ricorrenti…

Igea Marina, 19 marzo 2004
Testo di riferimento: “Doppio sogno” di Arthur Schnitzzler

Vita (Milvia Comastri)

Tace ora il vento.
Nel silenzio improvviso
non più rumori,
ma spazio vuoto
di sibili e fruscii
e acute voci di prefiche dolenti.
Riposa il bosco nell'attesa
sospesa
d'altre ferite.

Igea Marina, 14 febbraio 2004

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Ai bordi della vita (Gloria Venturini)

Ai bordi della strada, in un'ora morta del giorno, un bambino viene abbandonato da una madre troppo giovane, troppo egoista per amarlo. Per il padre è stato solamente il piacere di una notte, niente di più.
Ai bordi della strada, vicino ad un cassonetto, avvolto da un asciugamano insanguinato, ora c'è un bambino rinnegato.
Un'automobile fugge veloce, senza rimpianti, senza esitazioni, neppure una lacrima, solo un problema risolto.
Il bambino sorride all'azzurro del cielo, un alito di vento lo accarezza, in quel caldo pomeriggio d'estate. Agita le sue minute gambe e con le piccole manine sembra salutare il sole abbagliante ed afoso.
Nel volto una serenità senile, un'espressione gioiosa, sconosciuta alla gente.
Le cicale sono le uniche compagne del piccolino, gli cantano una dolce ninna nanna, e lui, s'addormenta. Il giorno lascia il posto alla notte, mai un tramonto così tenue aveva colorato l'orizzonte.
La luce brilla negli occhi del bambino, che avvolto dalla meraviglia, è incantato dalle bellezze del mondo. Giunge la notte, le stelle con il loro scintillio lo cullano e nel cuore infante, ignara vibra la poesia più bella dell'infinito.
L'aurora apre la porta al nuovo giorno. Il bimbo rivolge gli occhi al cielo amico, senza sapere che la sua piccola vita si sta spegnendo. Non ha pensieri, sente solo i morsi della fame e il calore insopportabile del sole. Piange e si agita con le ultime forze rimaste.
Le cicale cantano, l'azzurro del cielo sovrasta sereno, e piano piano, il bambino chiude gli occhi e si addormenta per sempre.
Non ha capito la vita, l'ha osservata solo per un momento.
Quando l'indomani gli uomini della nettezza urbana lo trovano, nonostante il ghiaccio che gela le loro vene, si addolciscono nello scorgere un beato sorriso tra le piccole labbra; lui rideva ancora al cielo.
Le sue piccole braccia sono abbandonate in una dolcezza infinita, che nessun adulto potrebbe mai provare. Con il cuore dilaniato da una ferita senza storia, con l'animo a pezzi, con le lacrime che scendono impotenti dagli occhi, l'uomo culla il bimbo, come fosse stato suo figlio, come non ha mai fatto la madre.
L'autoambulanza arriva, per dare un giusto valore a quella piccola vita stroncata.
Il cielo è azzurro, il sole risplende, le cicale cantano, poco più in là, bambini giocano gioiosi sul prato.
Ai bordi dei giardini celesti, un angelo prende tra le braccia il piccolo abbandonato, ora non ha più fame, ora non ha più caldo, ma sorride ritrovando il celeste nello sguardo dell'amico divino.
Ai bordi della vita la luce dell'anima vola serena con ali di cristallo.

Il gelo dentro (Gloria Venturini)
Un sogno -
in bianco e nero,
un silenzio -
di lacrime di carta.
Una vita incrinata -
pronta a disilluderti,
un velo di nebbia
ammaestra l'anima -
al gelo.
Dentro -
un mare in bufera,
da far tacere.

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Lui, Lei e il Bambino in braccio (Chiara Nobilia)

Lui sta lavorando: fa il poliziotto, perché se no che ti metti a fare. Oggi ha la barba lunga. Lui guida e il collega affianco parla di qualcosa.
Lei: anche lei sta lavorando. Non le piace quello che fa, non le piace il posto, non può stare a preoccuparsi di questo.
Madonna quanto fa caldo: Lui suda con la schiena contro quel sedile nero, e la camicia della divisa è troppo pesante.
Anche Lei sta sudando; meno male che tra un po' smetterà e potrà andare a prendere in braccio il suo Bambino. Chiude gli occhi e pensa Dai solo un altro po'.
Lui e Lei: vite che oggi strusceranno forte una sull'altra.
Il collega adesso sta dicendo che proprio non gli va di andare a perlustrare il mattatoio comunale: è quasi ora di staccare, e poi che cazzo ci può stare in un mattatoio.
Quello che ci può stare lo trova Lui: immondizia; affianco una culla; a venti metri una femmina come Lei,
che ancora suda,
che dopo un po' di secondi si ferma,
che pensa E adesso mio figlio.

Il giornalista riesce ad essere lì verso le cinque e tre quarti, mentre Lui e Lei tengono a turno il Bambino in braccio, mentre il collega di Lui si lamenta al cellulare di questi stronzi dei giornali, che arrivano sempre tardi, e poi magari fanno giusto poche righe.
Infatti.
“[…] I poliziotti hanno immediatamente avvisato il magistrato al quale hanno raccontato quello che era accaduto. La madre in minigonna appartata con un cliente anziano, e il neonato esposto al caldo e vicino l'immondizia. Per la donna è scattata una denuncia per abbandono di minore. Il piccolo ha soli 11 giorni e quindi non è possibile allontanarlo dalla madre. In futuro, però, la donna potrebbe essere separata dal figlio.[…]” («Il Messaggero», domenica 4 luglio 2004, Cronaca di Roma, p. 34)

Venerdì all'una e mezza (Chiara Nobilia)

Ho rotto il rapporto con te
e poi sono tornata a casa,
e mi sono fatti gli spaghetti pomodoro e basilico.
Erano spaghettini,
e ci ho messo il basilico fresco che ho preso sul balcone.
Era più pomodoro che pasta.
Gli spaghetti non me li faccio mai:
non li so arrotolare.
Tu,
non sai arrotolare me.
E allora basta.

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Un bocconcino prelibato (Laura Giuliangeli)

Il Poeta, il Politico, il Mercante, il Soldato e il Re camminavano nel bosco da tanto tempo che non ricordavano quando avevano cominciato o dove fossero diretti. Spinti da un inspiegabile impulso, avanzavano nel buio denso degli alberi che respiravano pesantemente sopra le loro teste e impedivano quasi del tutto il passaggio dei raggi solari. Il terreno, nascosto da muschio e foglie morte, era umido e molle, i piedi vi affondavano sgradevolmente fino alle caviglie e spesso rimanevano incastrati in buche profonde formate dalle enormi radici.
“Se avessi un'arma potrei abbattere questi alberi ostili!” disse il Soldato, e subito la vegetazione circostante emise un sospiro.
“Se avessi i miei uomini, ordinerei loro di bruciare tutta la foresta!” esclamò il Re, e il respiro tutto intorno divenne cupo.
“Se avessi i miei soldi, pagherei qualcuno per aprire un varco in quest'orribile selva!” disse il Mercante, e il fiato delle piante si fece affannoso.
“E io,” disse il Politico, “darei parte del mio potere a chi mi aiutasse a radere al suolo quest'inutile bosco!”
Gli alberi tremarono, poi trattennero il respiro ed aspettarono, ma il Poeta non disse nulla.
La foresta, ora, era diventata tanto fitta da costringere gli uomini ad avanzare lentamente in fila indiana; saltarono le squallide radici, spezzarono i rami che si protendevano minacciosi verso di loro, si arrampicarono sui corpi degli alberi morti finché, infine, la flebile luce cessò del tutto. Nell'impenetrabile oscurità si avvertiva il fruscio del vento fra le foglie, e il sinistro ansimare delle piante sembrava quasi un gemito malinconico. Improvvisamente, un bagliore squarciò le tenebre e dalla luce fredda e bianchissima emerse un essere orribile, formato solo da una gigantesca testa rotonda, verde e squamosa, al centro della quale spuntavano due occhi gialli e acquosi e, sotto questi, un lunghissimo naso adunco pieno di grossi bubboni purulenti. Dalla bocca rossa e sottile fuoriuscivano due lucide zanne ricurve.
“SONO UN MANGIATORE DI ANIME E HO FAME! DATEMI LA VOSTRA ANIMA!” disse il mostro roteando gli occhi.
Il Re, il Soldato, il Politico ed il Mercante si guardarono stupiti e spaventati, ma non capivano cosa volesse quella terribile creatura. Il Poeta invece non disse nulla, ma i suoi occhi erano colmi di tristezza. Il mostro si avvicinò e disse di nuovo:
“SONO UN MANGIATORE DI ANIME! HO FAME, DATEMI LA VOSTRA ANIMA!” e annusò i cinque uomini, poi il suo sguardo si posò sul Poeta. Il Re aprì la bocca per parlare, ma il mostro lo precedette.
“NON VOGLIO NE' POTERE, NE' TERRE, NE' SOLDI, NE' ARMI. SOLO LE VOSTRE ANIME, MA VEDO CHE SOLO UNO DI VOI PUÒ SODDISFARE IL MIO APPETITO.” Si alzò in volo e si fermò davanti al Poeta. Aprì la bocca ed emettendo uno spaventoso rumore gorgogliante iniziò a succhiare l'aria, finché il Poeta gridò e si accasciò in terra. Il mangiatore di anime sospirò soddisfatto, poi fece un rutto roboante e disse:
“UN BOCCONCINO DAVVERO PRELIBATO. STANNO DIVENTANDO COSI' RARE LE ANIME, ULTIMAMENTE…” e sparì. Con lui scomparve anche la foresta e i quattro uomini rimasti poterono tranquillamente tornare alle proprie case.

L'ultima onda (Laura Giuliangeli)
Irrompe, s'infrange, mi frusta la mano
mi spinge, mi agguanta, mi porta lontano
mi sfida, m'intriga, m'invita ad andare
negli abissi profondi, profondi, del mare.
Dapprima selvaggia s'abbatte furiosa
per poi lasciare la riva, ritrosa.
La luna irradia una limpida luce
che tacitamente a lei mi conduce…
In quel bagliore vorrei avanzare
sempre più avanti, avanti nel mare.
Poiché ora, immobile, su questa sponda
Aspetto quieta l'ultima onda.

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Forse ineluttabile? (Valentina Mannone)

L'unica costante delle loro vite negli ultimi mesi, era il sudore che li accompagnava in qualsiasi azione.
Lui guidava perdendosi con lo sguardo nello sterrato. Lei con le ginocchia al petto, rubava un po' d'aria con il naso in su. Si teneva le punte dei piedi, nudi e impolverati come quelli di una ragazzina sulla spiaggia.
- Ok, non ne posso più! Abbiamo fatto la scelta giusta?
Chiedeva lei con movimento nevrotico della mano con cui stava fumando. Lui non le rendeva nemmeno uno sguardo, si dissolveva con la polvere sollevata dalla macchina.
- Insomma è stata una cosa giusta per tutti, no?
Aveva bisogno di essere rassicurata.
- Pensaci un attimo, eravamo nella merda, no? Era tutto un casino e poi si è risolta bene. Credo che siamo stati fortunati.
Lei crollava su se stessa. La ricerca di sguardi le faceva roteare gli occhi e il silenzio le riempiva la testa.
- Dimmi qualcosa, è una scelta che abbiamo preso insieme, non ti importa nulla? Mi senti? Abbiamo fatto la cosa giusta. Per lui e per noi. Sono sicura che starà bene.
Era come se lui non sentisse nulla, come se le emozioni scivolassero via. Ma non era così, lui sentiva tutto e la sua pelle sempre più lucida, rilasciava la sua ansia nell'aria. Un'ansia dall'odore vagamente alcolico.
- Avevamo bisogno di soldi. È stato giusto così! È tutto finito ora stiamo tutti bene ognuno con la propria famiglia. Sai che ne penso? Ricominciamo tutto tu che ne dici?
Scattando e isterica strappava a se stessa falsi sorrisi cedendo a vortici lacrimosi e spiragli fragili di felicità.
- Lo so perché non parli!
Lui muoveva solo piccoli respiri.
- Pensi che sia colpa mia vero? Dai dimmelo. Cosa potevamo fare? Questo genere di cose si combinano sempre in due non lo sai? Cosa dovrei fare eh? Ammazzarmi! Vuoi che i sensi di colpa mi uccidano? E dopo…?
Lei desiderava farlo parlare, lui voleva farla smettere.
- Lo so cosa stai pensando! Che sarei stata una cattiva madre vero? Che una buona madre non vende suo figlio al primo riccone sterile che tra una Ferrari e un cavallo si compra anche un mocciosetto bisognoso. Avresti preferito farlo morire di fame con due idioti alcolizzati come noi?
La macchina sembrava rispettare quel religioso silenzio e anche la radio aveva perduto ogni frequenza per unirsi a quella processione.
- Parla ti prego, pensavo che anche tu volessi questo. Ricordi? Parla, dì qualcosa.
Lui continuava a guidare seguendo i contorni della strada, cambiando le marce solo quando non se ne poteva fare a meno. La strada sembrava liscia proprio come le loro azioni.
- Dobbiamo stare uniti.
Diceva lei e ancora…
- Io non ce la faccio più, vorrei morire.
Lui continuava a seguire le sue linee disegnate a terra, senza curarsi del fatto che quelle linee forse non erano poi così dritte.
La strada spariva dietro la montagna, ma questo a lui non interessava. Lui continuava ad andare dritto.

Non è più adesso il tempo (Valentina Mannone)

Punisco la mia anima
con spasmi ritorti tra le carni del tempo.
Debole e ancora acerba,
stanca e di nuovo vinta,
subisco lo stillicidio della leggerezza altrui con finta indifferenza.
Prima gesso sotto i piedi,
ora gesso nelle vene.
Illusione di giovane beltà,
Residuo organico di una raffinata menzogna.

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