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L'universo che sta sotto le parole
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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 65bis
Maggio 2005

Editoriale: Una presenza

Andrea Marzi ha recentemente pubblicato Amore e il Resto del Mondo in cui troviamo questo verso: "le nostre parole mi sono troppo intime". C'è allora una relazione profonda che le parole sono insufficienti a comunicare?
Nella conversazione di Luca Nannipieri con Mario Luzi, il poeta recentemente scomparso afferma che "in ogni vita c’è tutto anche prima che accada".
In Diario personale Corrado Premuda scrive: "Più sfoglio il diario e più il viaggio è senza destinazione."
La letteratura può offrire una sponda al cammino dell'uomo, e in questo caso assume un valore etico, diventa "gioco" educativo, riflessione e nostalgia di una vita che sia presente e che forse ha ha nostalgia di una Presenza.
Completano questo numero-bis segnalazioni di libri di Sandra Ammendola, Davide Romano, Vanessa Sorrentino e Gian Ruggero Manzoni. Buona lettura!

 

da Amore e il Resto del Mondo

Prefazione di Antonio Faeti (Cesare Blanc Editore, 2004)

di Andrea Marzi

Declino di una civiltà

Ci sono delle leggi
nel nostro paese in agonia
che non sono serie,
come quella - odiosa -
che consente alle pasticcerie
di chiudere per ferie. (p. 80)

Ci sono certe pagine

Ci sono certe pagine nei libri…
mani sconosciute
hanno forzatgo il nerbo della rilegatura
e ora
se si provasse casomai a sfogliarle
il libro si aprirebbe
inesorabilmente
un po' di qua
un po' di là
proprio su quella pagina.
Non si potrebbe sfogliare a caso
ma inevitabilmente…
un po' di qua
un po' di là
sempre la stessa pagina.

Oggi i tuoi occhi han detto
che quella pagina
son io
per te. (p. 20)

Il mare e la spiaggia

Per loro è facile
dire
chi è che cosa.
Lui si spinge verso di lei
con l’infinita, dolcissima
ripetibile ossessione
che noi chiamiamo
onde,
lei è lì
sapientemente ferma
saggia  
di una saggezza
di diecimila anni.
Il segno, il confine, la soglia, la battigia
è lì
più o meno sempre lì
un metro di più, un metro di meno.
Ma noi?
che basta così poco
- o sbaglio, è così tanto? -
a star vicino all’altro
tanto da aver paura... tanta
tanto da farci dire:
fin dove sono io?
dove cominci tu? (bandella di 1^)

Quartina del non amore

"Non posso parlarti, qualcuno mi ascolta
le nostre parole mi son troppo intime"
così, quel messaggio che leggo ogni volta
e penso che forse saranno le ultime. (p. 48)

Andrea Marzi nasce a Pesaro nel 1958. Vincitore di un Premio Recanati, ha pubblicato un cd, Il meteorologo mentre un secondo, La Canzone Cucinata è di imminente pubblicazione. Amore e il Resto del Mondo (Cesare Blanc Editore, 2004) è la sua prima raccolta di poesie. Dal 2000 collabora con Antonio Faeti alla realizzazione di spettacoli, incontri, eventi, la cui caratteristica costante è l’incontro fra musica, letteratura e poesia. Da anni prosegue la sua ricerca volta a mescolare, senza confonderle, la poesia e la musica nella dimensione di spettacolo dal vivo. Ha partecipato sporadicamente a slam-poetry, in alcuni casi, vincendo. www.andreamarzi.it

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Su Dio e sulla natura

Una conversazione con Mario Luzi

di Luca Nanniapieri

Luca Nannipieri: ho sempre amato molto quando una persona anziana racconta la sua vita. Il tempo e la memoria ripuliscono tante cose, e così quando questa persona racconta le sue storie, i suoi dialoghi, sento che questi eventi sono come liberati dagli egoismi, dai risentimenti, dagli affanni, dalle animosità della vita corrente. Diventano racconti straordinariamente semplici, puliti, diventano degli esempi. Lei ha compiuto da poco novant’anni. Mi piacerebbe che mi dicesse come ricorda sua mamma e suo papà.

Mario Luzi: spesso nella memoria li rivedo insieme, e questo già mi commuove molto, li rivedo insieme, in gruppo, c’è mia mamma, mio padre, mia sorella ed io, in questa casa in cui stavamo tutti. Li rivedo come un’entità sola, e non li sento perduti, per me sono ancora interlocutori, presenti, con cui dialogare e parlare. Con la vecchiaia, non si ha più molta paura di morire. Più siamo prossimi alla morte, più si entra in confidenza con lei. Quando siamo un po’ al di là della “siepe”, questa frontiera perde consistenza. Penso che un po’ tutti, con la vecchiaia, acquisiscano questa serenità del passaggio ad un altro livello di presenza nel creato. Senti che c’è questo transito naturale, a cui non puoi opporti e che accetti proprio come fatto di natura. Come il dolore. Il dolore è senza causa. C’è un dolore che è nel mondo e che ti arriva, non è nella nostra logica, ma accade, succede, ne siamo esposti creaturalmente.

Luca Nannipieri: le cose che Lei ha appena detto mi hanno fatto tornare alla mente un passo dei fioretti di Francesco d’Assisi. Durante una delle sue lunghe camminate, un confratello gli chiede in quale direzione devono andare a predicare. San Francesco gli risponde: "gira su tu stesso finché non perdi l’orientamento. Dove cadi, vai in quella direzione lì". Mi ha sempre turbato questa sua risposta: gira su te stesso, e dove cadi, vai in quella direzione lì. È un po’ come dire: togliti di dosso tutte le tue sicurezze, i tuoi riferimenti, le tue direzioni, appunto: disorientati. Dove cadi, vai in quella direzione lì. Cioè affidati a Dio, lui ha deciso per te. Disorientati, cioè perdi qualunque ordine e misura umana per accogliere l’ordine di Dio. È un messaggio molto radicale, straordinario a dirsi, ma anche terribile quasi da accettarlo, se si pensa di essere una penna nelle mani di qualcun altro che scrive attraverso di noi. È molto difficile accettare e riconoscere questa obbedienza nei confronti di un destino più grande di noi. È molto difficile soprattutto quando accadono eventi nella vita a cui nel rispondere sembra mancare fiato. Ad esempio, prima di venire qui, sfogliando un giornale in bus, ho letto di un bambino che è morto perché un cancello di ferro gli è cascato sopra. Aveva otto anni. È difficile avere la stessa serenità e lo stesso nitore nell’accettare questi eventi.

Mario Luzi: come si fa a limitare il senso della vita di questo bambino ai pochi anni che ha vissuto… chissà quella breve vita in quale percorso più grande è inserita, e che parte ha questa breve vita in questo cammino. Certo, è spaventoso veder troncata un’esistenza che avrebbe potuto avere una continuazione lunghissima, che avrebbe potuto contenere molte più cose ed esperirle, mentre invece le ha tenute in nuce, perché non si sono esplicate. Ma in ogni vita c’è tutto anche prima che accada. Leopardi è morto a 39 anni, ma la sua è stata un’esistenza enorme. Anche in quel bambino, chissà nella sua breve esistenza quante cose si sono concentrate. Se penso a quante persone mi hanno sfiorato o che ho appena incontrato, magari sono persone che con la loro presenza hanno voluto dire, significare qualcosa; e queste omissioni, queste perdite, queste “inceppature” nel corso della vita sono state un segno anche loro, da capire, da accettare.

Luca Nannipieri: spesso penso a come sia incredibile che dopo tante stragi, soprusi, sopraffazioni, guerre, stermini di uomini e donne, dopo tanta violenza, questa lode e ammirazione per la vita riemerga ogni volta dalle macerie, senza una ruga sul volto. E credo che le persone sopravvivano a queste sciagure proprio perché riescono comunque a sentire una speranza dopo tutte queste tragedie, una salvezza tra la loro condizione e il gigantismo delle cose che accadono attorno a loro, come l’agonia di una persona che amano, un tumore che scoprono di avere, un innamoramento, una guerra, il cielo infinito che abbiamo sopra di noi.

Mario Luzi: dopo aver scritto tanto e aver imbrattato tanta carta, una domanda terminale viene da farla: che cosa hai trattenuto di questa immensità che è la vita e che l’uomo poi percepisce nei limiti del suo perimetro vitale, del suo angusto cerebro? Che rapporto c’è fra ciò che hai potuto captare del mondo e ciò che il mondo è? Si sente che quello che abbiamo vissuto e provato è la risonanza di qualcosa di più grande, oltre i limiti della nostra comprensione. L’infinito lavora, si fa sentire anche nel finito, nel circoscritto terreno della nostra condizione, ripercuote come battito di fondo. E questa tensione fra l’infinito e il finito è una condizione congenita in uno scrittore, è la situazione da cui nasce la scrittura.

Luca Nannipieri: è straordinaria la frase che Lei ha appena detto: l’infinito lavora.

Mario Luzi: quando scrivo, io non progetto un libro, è il libro che modifica me, è il libro che si costituisce, lavora su di me, mi modella su di sé. Ci sono già nel mondo una serie di energie e di princìpi che si attuano e che lavorano su di noi, non siamo noi a regolare, ma siamo noi stessi ad essere regolati. Quando è forte questa necessità, decide lei, più che la nostra ragione e la nostra volontà. È un po’ come il ciclo della foce e della sorgente: l’acqua non va solo dalla sorgente alla foce, ma dalla foce ritorna in qualche modo alla sorgente. Non è solo un movimento meccanico della natura, è anche un movimento reciproco della natura alla sua origine, che noi spesso non percepiamo.

Luca Nannipieri: ci sono milioni di persone che non accettano questa visione della nostra presenza del mondo. Dicono: i nostri cari defunti non sono presenti, non ci aspettano, non ci parlano, sono morti, sono sotto terra, punto e basta; il mondo in cui viviamo è un difficilissimo, complesso intreccio di fenomeni, che non ha nessuna trascendenza, nessun disegno divino che ci sovrasta, e il nostro lavoro è quello di interpretare, vagliare, capire, orientarsi e migliorare la nostra condizione di umani. Questo è quello che dicono. Poi però li vedi piangere mentre chiudono la bara di un loro genitore, li vedi piangere e senti che in quel pianto c’è un’invocazione a che le cose non siano come la loro ragione chiede loro di credere, c’è una speranza silenziosa che quella persona che è morta e con cui hanno vissuto tanti anni, non sia adesso soltanto carne che va in putrefazione; c’è insomma in quel pianto una silenziosa preghiera di poter un giorno rincontrare, riabbracciare quelle persone che hanno perduto.

Mario Luzi: la societas è importante perché un uomo non sarebbe in grado di spiegarsi da solo, nella sua solitudine. Ma la societas è anche obbligante, condizionante, è anche una gabbia dove le convinzioni e le servitù sono presenti e diffuse, e quindi non tutti gli uomini sono autonomi rispetto a se stessi. Quando dico che noi siamo parte di un sistema vitale, di un organismo, di una crescita dell’universo, che passa attraverso la nostra storia e va oltre di noi, questo lo possono percepire e capire tutti. Purtroppo questa societas porta anche molti individui a rinnegare questa evidenza, questo flusso vitale e infinito in cui siamo inseriti, e a chiudere tutta la vita e la storia degli uomini in una condizione materiale, quotidiana, storica, senza nessun afflato più grande. Io ho sempre sentito come parziale qualunque interpretazione che limitasse la grandezza della natura, la magnificenza del creato, e che giudicasse la creatura umana in una chiave obbligata. Ho sempre rinnegato nella mia poesia e nel mio pensiero tutte quelle filosofie delusive, negative, che vedevano l’uomo come spacciato e fallito nelle sue esperienze e gli assegnavano un destino di sconfitta, di rassegnazione nel mondo. Questo pessimismo negativo, questo male e questa sconfitta di vivere, io non li ho mai sentiti. La naturalezza l’ho sempre data come premessa nella mia poesia. Dalle mie prime prove dei vent’anni fino ad oggi, non ho mai avvertito questa condanna che incombe sull’uomo, anche perché aderire a queste visioni negative mi avrebbe escluso dal respirare e ammirare questo grande processo, questo ciclo meraviglioso in cui sono vissuto e in cui come creature siamo inseriti.

Luca Nannipieri: una volta parlando della morte di sua madre, Lei pronunciò parole che ho avvertito subito come grandi parole di verità, che vorrei non andassero dimenticate, perciò le ripropongo. Disse: “Io ho sentito la morte di mia madre come una mia seconda nascita. La sua agonia, lunga e dolorosa, fu per me una sorta di incubazione. Fu esperienza di separazione e lacerazione, ma poi di ritrovamento totale, perché c’è una sorta di riflusso della nostra storia, domestica e familiare, in un momento. Tu senti che questa persona non sarà più distinta da te. È il momento in cui interiorizzi la persona assente. Non ci sono più due persone distinte e due mondi, ma c’è una compenetrazione interiore. Per questo ti dico seconda nascita, perché sei tu coronato sopra te stesso: tutto quello che c’è stato tra noi, nelle varie occorrenze della vita di due persone, ora è in te”. Sono rimasto fortemente colpito da queste sue parole, soprattutto quando dice: senti che questa persona non sarà più distinta da te. È una gran verità quella che Lei ha detto: le persone che amiamo, nel momento in cui si perdono fisicamente, si ritrovano totalmente nella nostra anima, al punto da non saperle più separare da noi.

Mario Luzi: mia madre per me rappresentava il giusto, ciò che è giusto. E quando è morta, ho sentito il suo esempio e il suo carico di insegnamenti e parole che si trasferivano silenziosamente in me, si incarnavano nelle mie parole, nei gesti e nelle mie azioni. È il miracolo che si perpetua della tradizione, del passaggio di mani. La tradizione è il momento in cui questo deposito di vite, di esempi, di esperienze, di anni, di secoli passati, brucia per diventare qualcos’altro, per trasformarsi e incarnarsi in un’altra forma, per trasformarsi in possibilità del futuro.

Luca Nannipieri: noi uomini siamo un po’ come un ponte, il nostro essere non è mai chiuso, acquista un retaggio di abitudini, pensieri, insegnamenti, energie dalle vite precedenti e le affida, trasformandole con la propria esistenza, alle vite future. La speranza è sempre viva nell’uomo, perché spinge a considerare le cose non in sé, ma nel loro divenire, nel loro essere in attesa di qualcos’altro. La speranza è un tema fondamentale per l’uomo.

Mario Luzi: la speranza è un tema molto importante. Nonostante nel mondo esista il male e ogni giorno si riproponga con crudeltà ed efferatezza, nonostante esista una zona oscura nell’uomo dove il male lavora e si manifesta, il prodigio della vita si ripresenta continuamente, incessantemente, integro. E la speranza esercita un ruolo essenziale in questo prodigio. La speranza è una disposizione dell’anima, è una sorgente, un getto, una fonte d’acqua che scaturisce dalla roccia; la speranza è importante perché riconduce l’uomo a se stesso, alle sue origini, alla fonte da cui è nato. Quando, già a vent’anni, scrivevo: “Amici, ci aspetta una barca” intendevo proprio questo: amici, ci aspetta un viaggio, una navigazione, perché la vita è una cosa enorme, ci aspetta una navigazione alla ricerca di se stessi e delle fonti che ci hanno dato origine. “Amici dalla barca si vede il mondo / e in lui una verità che procede / intrepida, un sospiro profondo / dalle foci alle sorgenti”. La speranza è importante per questo, perché fa acquistare valore a questa materia enorme, sovrumana, che è la vita.

Luca Nannipieri, è nato a Pisa nel 1979. Ha pubblicato L’attore e la poesia. Otto conversazioni con grandi attori di teatro (2004) e Ai miei nonni (2004, con premessa di Tolmino Baldassari) nominato come miglior esordio in poesia in più festival nazionali di letteratura e la silloge A Silvia. È direttore di sala del Teatro Comunale di Conselice a Ravenna, sotto la direzione artistica dell’attore-regista Ivano Marescotti, e collabora con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna.

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Diario personale

da Intrusioni (Franco Puzzo Editore, Trieste, 2004, 9 euro)

di Corrado Premuda

Aprendo cautamente il mio diario dei ricordi mi capita come a Pandora con il vaso: vengo investito da appunti, scritte, fogli, a metà strada fra i mostri del passato e l’invito a compiere un viaggio. Gli occhi diventano ali attraverso luoghi e stagioni, tra la galleria di volti e situazioni che ho incontrato, che ho vissuto.
In una pagina di gennaio trovo un biglietto del teatro “La Scala”. Risale a molti anni fa, si rappresentava la “Norma”. Ero un giovane avvocato che cominciava a raccogliere i primi successi professionali e l’appuntamento all’opera milanese era un’occasione mondana da non perdere per curare le mie relazioni sociali. L’emozione quella volta era aumentata: potevo finalmente ascoltare Maria Callas. Me ne parlavano tutti e la stampa ne era estasiata. Dal palco di famiglia, attorniato dai soliti volti, avevo ammirato anch’io “la figura elegante dotata della voce sublime”. Durante il tempo in cui le note uscivano dalla sua gola, avevo lasciato i miei pensieri in libertà e mi ero stupito di trovarli smarriti negli angoli del teatro, immersi in una mollezza non mia. Quella notte, a casa, dalla finestra che pure s’affacciava sul viale più elegante, avevo rivolto la mia amarezza all’oscurità. La vita che mi ero ostinato a rendere esaltante dov’era? Lì nel viale o nel buio? Non tolleravo quella debolezza. Eppure volevo fuggire, rintanarmi nel punto più segreto dell’anima. Io!? Io che parlo di anima? Ma dove l’avevo lasciata?…
Alzo la testa dal diario per un momento. Le mie mani scorrono veloci. Ad aprile mi colpisce la scrittura grande e incerta.
Ero una bambina quando mia madre mi portò per la prima volta nell’immenso parco di Nikko. I miei piedi, sospinti dai sandaletti di legno, procedevano rapidi sul sentiero in salita per stare al passo con lei. Gli alberi mi sembravano troppo alti. Non potevo vederne la cima succhiata dai templi giganti. La gente si arrampicava verso il colle, a piccoli gruppi, sotto il peso dei vestiti lucenti. Mia madre non parlava, sorrideva di tanto in tanto, rivolgendo il suo sguardo. Quando cominciò a mancarmi il fiato raggiungemmo il santuario più grande, quello dal tetto rosso sopra tutta la vallata. Distinsi il suono della chitarra lunare e del koto mentre l’atmosfera si faceva sempre più greve e l’aria diventava fredda. Il temporale scoppiò potente e l’acqua colava dappertutto. Ancora una corsa, ma sotto una tettoia. Ricordo la mano di mia madre che mi strattonava e il mio piccolo kimono colorato che si schizzava a poco a poco. Volevo piangere ma dovevo correre e non c’era tempo neppure di guardare quel fango che stava inzuppando il mio vestito lucente. Della festa di primavera restava la pozzanghera della mia delusione.
Ogni stagione, ogni giorno un incontro. E ogni persona sono io.
La pagina di novembre presenta qualche petalo di fiore, la piccola rosa che Katja mi porse senza parlare il pomeriggio che ci rivedemmo. Decine d’anni da quando ci trovavamo per raccontarci i segreti dell’adolescenza. Ascoltavamo Chajkovskij mentre preparavamo i biscotti allo zenzero, poi ci acconciavamo a turno i capelli e non c’era ancora la guerra. Le bombe resero indispensabili i suoi abbracci. Poi tra di noi e le nostre case gettarono un muro. Bisogna abituarsi a tutto, e l’arrendevolezza è sorprendente. Più sorprendente ancora di poter rivedere di nuovo i quartieri orientali di Berlino. Quando accadde, sentii uno sguardo su di me. Di fronte avevo Katja, con l’aria pensierosa di quando era ragazza. Ci siamo abbracciate come un tempo nell’aria ferma di Mitte. Lei era grassa, trasandata, con i capelli corti e scompigliati, ma aveva una piccola rosa in mano, raccolta nell’euforia generale. Strinsi i petali gialli e tra le dita scivolavano gli anni stropicciati della nostra separazione.
Più sfoglio il diario e più il viaggio è senza destinazione.
Quell’anno, era una sera d’estate, organizzai la mia personale di quadri e acquerelli. Alla galleria d’arte sopra il ristorante si erano radunati tutti gli amici artisti del Cairo. I vestiti a fiori e la musica erano in sintonia con i soggetti delle mie opere. Cento finestre sul mondo che mi si erano aperte nei paesaggi da un continente all’altro, le immagini rubate nel respiro di tante città lontane. Avevo l’impressione di vivere tutta la mia vita in quel momento, mescolando ogni evento simultaneamente. Avevo raggiunto il mio scopo: una schiera di appassionati amava i miei lavori. Li vedevo sorridere davanti alle tele. Tra i disegni appesi un solo ritratto, proprio l’ultimo quadro. Il viso femminile nei colori del mare e dell’acqua: la gamma di blu e di verde partiva dalle albe mediterranee e finiva nei tramonti sul Nilo. L’espressione di quel volto, ancora tanto familiare, era marcata dalla grande lacrima che occupava l’intera guancia destra. Nella lacrima il ritratto della mia passione. Un furto a me stesso che non ammetteva altre prove.
Lo scrigno che racchiude le mie avventure non è che un insieme di fogli disordinati. Se cerco una pagina mi abbandono a una lunga passeggiata, costellata di date, nomi e posti che non mi dimentico. Ha senso un diario che non ha nome in copertina?

Corrado Premuda, nato a Trieste nel 1974, è autore di due libri di narrativa, Un racconto di frammenti (L’Autore Libri Firenze, 2000, presentazione di Cristina Benussi) e Intrusioni (Franco Puzzo Editore Trieste, 2004, presentazione di Alfonso Cipolla) e ha curato il catalogo d’arte EaTable Glass (Trieste Contemporanea, 2004, Sesto Concorso Internazionale di Design, INCE Iniziativa Centro Europea). Altri suoi racconti in Percorsi a Nord-Est (Hammerle Editore, 2005) e Innamorarsi (La Versiliana Editrice, 2001) e sui siti www.rottanordovest.com, www.poetriesandstorys.it e www.fucine.com. È autore anche di testi teatrali. Giornalista free lance, scrive di cultura e attualità per il quotidiano di Trieste « In Città », su cui tiene anche la rubrica di costume Triestinità, si occupa di libri e di cinema per Fucine Mute e scrive di arte per il mensile del Triveneto « Duemila ». È stato redattore del periodico d’arte bilingue italo-inglese « Trieste Contemporanea ». Ha collaborato con l’Istituto italiano di cultura di Malta. Tiene corsi sul linguaggio cinematografico nelle scuole ed è stato tutor d’aula e on line per alcuni istituti formativi. È archivista dal 1995. Si è laureato in Scienze Politiche nel 1999 all’Università di Trieste.

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LEI, CHE SONO IO Ella, que soy yo

trad. a fronte in spagnolo dell’autrice, ill. B/N di Gabriela Rodriguez Cometta, Il Mappamondo, 2005, pp. 160 , € 8,50

di Sandra Ammendola

“Clementina Sandra Ammendola, che sono io, è una che viaggia molto. Sandra è nata a Florida, un paese della provincia di Buenos Aires… Clementina Sandra ha il padre italiano, un emigrato calabrese arrivato in Argentina negli anni ’50; e la madre argentina, di origine spagnola e italiana”.

Come in tutti i Mappamondi, il racconto in doppia lingua di un incontro tra due diverse culture: quella argentina e quella italiana. Alla fine del volume, leggende, indovinelli, ricette e giochi, con le Mappapagine piene di indirizzi utili. Clementina Sandra Ammendola è una “migrola”: vive e studia la migrazione per necessità, si sposta da una nazionalità ad un’altra (infatti ne ha due, argentina e italiana), percorre parole e vissuti, si metta in cerca di una voce – anche se ne ha più di una: sociologa, educatrice, scrittrice – e sceglie l’italiano per raccontare storie esemplari che siano in grado di trasmettere ciò che ha visto e sentito.


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"Piccola guida ai monasteri e conventi di sicilia"

di Davide Romano (ed La Zisa, pagg. 32, euro 5)

"Gli ospiti che arrivano siano accolti tutti come se fossero Cristo", così scriveva nella sua Regola San Benedetto, il padre del monachesimo occidentale. E da allora credenti e non, tutti sono bene accetti nei numerosi conventi e monasteri che punteggiano il paesaggio della Sicilia. Sono sempre di più, infatti, i laici che, in fuga da ritmi di vita sempre più disumani e alienanti delle nostre città, decidono di staccare per un po' la spina passando qualche giorno fra le mura delle case religiose, ormai vuote di frati e monache - per la cronica e irreversibile mancanza di vocazioni -, in cerca di pace, di silenzio e di qualcuno che li aiuti a fare il punto sulla propria vita.
Moda passeggera, allora, o segnale di un disagio sempre più profondo che coinvolge ormai sempre più persone? Solo il tempo saprà dirlo. L'unica cosa certa, per adesso, è che il fenomeno non accenna a diminuire e che qualche convento è addirittura talvolta costretto ad affiggere, come gli alberghi durante la stagione alta, il cartello "completo".
La Piccola guida ai monasteri e ai conventi di Sicilia di Davide Romano, che l'editore La Zisa di Palermo manda in questi giorni in libreria, vuole essere un agile vademecum per chi vuole approcciarsi per la prima volta a questo tipo di esperienza o per chi, avendola già provata, ha il desiderio di scoprire, visitare e vivere luoghi nuovi.
Il volumetto, corredato da alcune belle foto di ambienti e di momenti di vita monastica, è completato da alcune schede (La vita come gratuità, Le giornate dei monaci, Pochi consigli di galateo monastico e Dizionarietto per chi va in convento) che aiutano il lettore ad orientarsi in un mondo sempre affascinante e regolato da consuetudini e riti secolari.



Davide Romano (Palermo), giornalista, si occupa di pubbliche relazioni e uffici stampa. Ha scritto e scrive per Il Giornale di Sicilia, Il Mediterraneo, La Repubblica, Centonove, Antimafia2000, L'Ora, La Rinascita della Sinistra, Jesus, Avvenimenti, L'Inchiesta Sicilia e Narcomafie. È fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e cultura Nuovo Mezzogiorno e del mensile della Funzione Pubblica Cgil Sicilia Forum 98.
Per La Zisa ha pubblicato: L'amore maldestro (2001) e La linea d'orizzonte tra carne e Cielo (2003, con Salvatore Insegna), Nella città opulenta. Microstorie di vita quotidiana (2003, 2004), La buriana e altri racconti (2003), L'anima in tasca (2004) e Dicono di noi (2005). Pagina web: xoomer.virgilio.it/romanodavide

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Su Ossigeno di Vanessa Sorrentino

di Alessandro Ramberti

Ossigeno di Vanessa Sorrentino (Book Editore, 2004) è una raccolta che ci dà del nostro vivere occidentale (che rischia affatto di cadere davanti ai nostri occhi, è proprio il caso di dirlo) una analisi sommessa, quotidiana, eppure a tratti, in quelle che ci paiono come le cose migliori, sferzante: "La nostra religione è un orizzonte chiuso (…) / La fila di gente nei supermercati / vive nella periferia di sé.", "Non di figure piane siamo fatti / ma di volumi / e densità di corpi".
Lo stile rasenta una certa voluta apoeticità, peraltro abbastanza
caratteristica di molta poesia contemporanea: il lessico cristallino e generalmente non sofisticato (il che è un pregio) ci offre al tempo stesso delle immagini di bella e vera poesia:
"Non sono sparita dentro / nel lato est delle mie corde vocali.", "Vedo la neve imbottire i cuori di silenzio.", "Questa pazienza nell'intervallo / tra nomi e cose". Forse a volte c'è la tendenza a voler dire un po' troppo, a presentare, definire situazioni, e questo rischia di rendere alcune immagini meno evocative, meno pregnanti; ma leggere queste pagine e ritornarci poi su con
calma per evidenziare quei versi che ci hanno fatto vibrare (magari circondati da altri un po' pleonastici) è un esercizio piacevole e al contempo etico.

Vanessa Sorrentino si è laureata in Filosofia con Ermanno Cavazzoni. Lavora presso una cooperativa culturale. Organizza Sulla strada, concorso fotografico-letterario, e Narrative, ciclo di incontri ed eventi tra il cinema e il narrare. Ha collaborato alla redazione di Libere Carte (Cesena). 1° (2002) e 3° Premio (2004) al concorso di poesia "Là dove si inventano i sogni". Segnalata al concorso di poesia Il Navile (Bologna) con la raccolta poetica Ossigeno. Collabora stabilmente con la redazione di Tratti (Moby Dick, Faenza) e con Fernandel (Ravenna). Si diverte a intervistare scrittori e poeti. Ha collaborato con l’artista Silvia Camporesi per il progetto Ofelia e Ritratto contemporaneo della città, e con Tania Flamigni, per la pubblicazione di una plaquette.

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La Banda della Croce

di Gian Ruggero Manzoni

Care amiche e cari amici,
tramite questa sono ad annunciarvi che a giugno prossimo uscirà il mio nuovo romanzo La banda della Croce (Ed. Diabasis) che potrete trovare oppure ordinare in libreria (distribuzione a livello nazionale Dehoniane). Come sono solito fare devolverò il mio ricavato delle vendite alla ricerca medica riguardante il Morbo di Crohn. Aiutatemi a divulgare la notizia. Grazie dell'attenzione e scusate l'invadenza.
Sempre con affetto, vostro Gian Ruggero Manzoni
gianruggeromanzoni.splinder.com

La banda della Croce. Autunno ed inverno del 1945. Da una vicendo vera, conosciuta a pochi, prende vita questo nuovo romanzo di Gian Ruggero Manzoni. Tra le macerie acora fumanti di un'Amburgo, appena uscita dalla tragedia del Secondo Conflitto Mondiale, un fascista italiano, Luca Cavalcanti, originario di Ravenna, assieme ad alcuni SS e collaborazionisti del regime nazista, decide di non fuggire in sud America per continuare una sua guerra privata contro le forze Alleate di Liberazione. Tra colpi di mano e atti di inaudita brutalità, la vicenda vede anche, come protagonisti, un gruppo di ebrei scampati dai campi di sterminio hitleriani, la ricostituita Gendarmeria di Amburgo e i Servizi Segreti statunitensi ed inglesi. Oltre alla ricostruzione storica degli eventi, il libro risulta quale grande affresco di ciò che ha mosso il pensare e il fare di quegli uomini che, nello scorso secolo, hanno votato la loro vita, in toto, ad un'ideologia, percorrendone il tragitto fino agli esiti estremi. Il dossier riguardante la famigerata Banda della Croce è ancora posto, presso i Tribunali Civili e Militari tedeschi, sotto il segreto istruttorio.

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