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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 73
Gennaio 2006

Editoriale: Un anno ricco di sguardi - Vincitori IV Pubblica con noi

È questo l'augurio che fa ai suoi affezionati lettori Faranews. In questo numero vi presentiamo lo sguardo altiplanico di Claudio Cinti, quello valutativo del premio Spiaggia di velluto, o quello disincantato di Viti, la sensibilità visitante di Emilia Santangelo, quella empatica di Massimo Morasso, la "visione" farapoetica di Paola Castagna, quella alternativa di Davide Danio Opiemme, e per finire un saggio di Cordì sullo sguardo filosofico di Hobbes. Ricordiamo a tutti coloro che sono poeti e narratori con il pregio della brevitas il nostro concorso Terzo millennio Dante oggi. A tutti un 2006 ricco di opportunità belle.

 

Vincitori e segnalati IV edizione del concorso Pubblica con noi

Hanno vinto (v. certificato): Leonardo Marini di Firenze per la raccolta di racconti Mai e Carmine De Falco per la silloge Linkami l'immagine. Sono stati inoltre segnalati (v. certificato) i seguenti autori: Attilio Melone, Francesco Gaggi, Daniele Borghi, Luigi Ballerini, Vesna Andrejevic, Danilo Tabacchi, Silvio Donà, Giusi Sapienza Jouven, Sara Di Giamberardino, Anna Maria Cardillo, Stefano Cervini, Lugi Nacci, Gianluca Brogna, Kristian Fabbri, Alessandro De Santis e Carla De Angelis. Semplice menzione per Franco Casadei e Giuseppe Di Serio.

 

Su Ipapecuana. Diario Boliviano con siete palomas (1995-2004) di Claudio Cinti

di Alessandro Ramberti

"Questi appunti non riveleranno nulla al cartografo, meno ancora al turista, e diranno poco al lettore din libro di poesia". Così scrive l'autore nella premessa a questo libro in cui spagnolo e italiano tracciano percorsi incrociati; è quasi indispensabile avere qualche nozione della lingua di Cervantes per apprezzare questa raccolta (legata a mano in 201 esemplari da Sinopia Libri, Venezia) il cui titolo è forse una parola aymara che significa "utopia".
L'opera consiste di due parti: "Palomas" e "Diario boliviano". Eccovi alcuni versi sparsi tratti da poesie che trovo molto intense:
"Lo que en mí se adelanta / es lo que se detiene " (provo, qui e in seguito, a tradurre: Ciò che in me si sviluppa / è quello che resta", Primera Paoloma, p. 14); "yo engendro con mis alas mudas / lagunas en el rumor del viento" (io genero con le mie ali mute / lagune nel rumore del vento, Tercera paloma, p. 16); "No voy a echarme afuera / de este vuelo circular, / donde se juntan espacio y tiempo, / y palabra y silencio" (Non mi butterò fuori / da questo volo circolare, / dove si uniscono spazio e tempo, / e parola e silenzio, Sexta paloma, p. 19); "Delante de mí hay un sinfín de amaneceres; // detrás de mí un haber de crepúsculos" (Davanti a me c'è un'infinità di aurore; / dietro di me un avere di crepuscoli, Séptima paloma, p. 20).
Ed ora qualche verso italiano (e misto): "ho chiesto alla strada / di flettersi / in una culla / di suoni" (Tiwanaku, p. 23); "dove / non ci sono strade / il centro / è il margine / la vita / non cerca la sua via" (Salar de Uyuni, p. 25); "qui dove / è solo ritmo / arcaico / chiarità e chiarità / silenzio e silenzio / la vita non chiede / (…) la storia non interroga / la sua ora / última / (…) forse il prossimo / viaggio sarà / più ricerca / che viaggio / (…) il punto / della congiunzione / tra il sacro / visible / e l'umano apenas / creible" (Titikaka, pp. 53-55); "tra poco // sentendo sollevarsi / la marea // mi arrenderò / (…) alle trivelle trasparenti / del silenzio" (Desde el Cinti-Illimani, p. 61).
Come si vede Cinti opera con una scrittura altiplánica e mutliplanica in cui le emozioni sono la ratio dell'intelligenza (e viceversa), i ricordi le tappe del riconoscimento, il ritmo la musica del linguaggio che arriva all'essenziale, le parole strumenti di codici in cui fissare una parte del mondo, un percorso (magari labirintico) di relazioni e di metafore. Il libro ha vinto il Premio internazionale di poesia Pier Paolo Pasolini 2005 per l'opera prima (in giuria Dacia Maraini, Alessio Brandolini, Maurizio Cucchi, Biancamaria Frabotta; segretario Francesco Agresti).

Claudio Cinti (1959) è scrittore e traduttore (dirige fra l'altro l'edizione italiana e la riedizione in castigliano delle operedi Jaime Saenz, il maggior romanziere boliviano del Novecento) e profondo conoscitore delle culture sviluppatesi attorno al Titikaka. Coordina le attività dell'associazione culturale ed editrice Sinopia.

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Su Al centro delle parole: poeti del '900 a Senigallia con uno sguardo alla Scuola fotografica senigalliese e sette omaggi in versi per la città

di Alessandro Ramberti

Questa pubblicazione edita nello scorso luglio dall'Associazione Culturale la Fenice (tel. 071/64815 - 071/63922, mail: domenicopergolesi@libero.it fax: 071/60208) è un intelligente e ricco spaccato della produzione poetica in Italia nell'ultimo quarto di secolo esce infatti in occasione dei 25 anni del Premio di poesia "Spiaggia di velluto" con prefazione di Francesco Scarabicchi e una presentazione di Domenico Pergolesi. Fra i poeti qui raccolti ci sono nomi di prestigio come Alberto Bevilacqua (Premio Internazionale 2004: "Segnami, ti prego, ancora le ore / con le tue lancette ferme sull'eterno", p. 130), Umberto Piersanti (Premio Volpini 2004: "sono fermi i miei cari nella luce / che dal fosso immobile trapassa", p. 132), Grytzko Mascioni… e anche autori giovani che sento particolarmente vicini. Ad esempio Vera Lucia de Oliveira (vincitrice della sezione Silloge, 2000): "l'abbandono si impara / soprattutto dai tetti / che seduta nel treno / ti scompaiono svelti" (da La guarigione); o Ivan Feleli (vincitore nell'anno successivo con Una religione di parole) "E vengo a te se spenta è già la luce / e il resto non mi vede. Una presenza / di silenzio, più non conto. Prego il poco / che mi attende, la lascio quanto credo. / Tu trova quella sillaba capace. La voce chiede un cuore dai balconi."; o Salvatore Ritrovato (Premio Volpini 2003) "Precario sei stato e sei / Anche al di là, precari i tuoi / Padri e i commissari / Che ti chiesero di scegliere / A piacere un argomento, / Precario questo vento / Gelido di febbraio e noi nell'angolo / Del Corso che si impolvera di neve." (da Salvatore, p. 128). Ma tanti bei versi possono trovarsi scorrendo queste pagine: "La morte / è dentro casa // coninquilina e parassita / dell'affitto che paghi tu / e t'appartiene / come i pensieri tuoi" (Luca Lavatori, p. 117); "Mia madre è cieca / mio padre non vede più. / Cadono briciole dalle loro mani: / lo sanno i passeri e le formiche / che nella bella stagione abitano / con loro la casa ed il balcone." (da Le briciole degli occhi, Giaunluigi Sacco, p. 110); "Accanto a me / la mia ombra / nel sole cammina / sull'asfalto azzurrina / con i piedi fissati / alle mie stesse scarpe. / 36-37." (da L'ombra, Vittoria Bartolucci, p. 102); "Gli uomini parlano con la birra e il profumo / dei sigari con le antiche ballate." (da Impressioni, Cesare Caspani, p. 99)… Bellissime anche le foto raccolte in fondo al volume.

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Poesie

di Piergiorgio Viti

le mie braccia rosse non sanno cercarti
ansia da camomille immaginarie
muschio e soffi di oleandro
solito grillo del dopocena
e tarantelle improvvisate
e stelle che non cicatrizzano
e fame di sogni interi
riprendersi i fili dell'esistere

***

Comodo oblio

Assolvere tutto tra le manie,
riporre il suo nome in un cassetto,
nell’intervallo del battito,
addormentarsi
che è pieno giorno.

***

Tabula rasa

Il crinale alla mezza sera –
gioco di pieni e di vuoti.
Sgozzato canto di stormi:
la luce sale in colonne di vapore
una falena, disturbata cortesia.

***

L’amore desueto

la tua invisibile
onnipresenza non si concede mai
un letargo e marchia di cicatrici
le cose che più non hanno nome
e gironzolare scalzi
sperimentare il freddo dei pavimenti
rabbrividisce
come un pollice che sulle foto
non lascia impronte

(l’amore desueto)

Piergiorgio Viti è nato a Sulmona (AQ) il 21 giugno 1978, ma risiede nelle Marche. Si è laureato in Storia e Conservazione dei Beni Culturali presso l’università di Macerata e attualmente è specializzando presso la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Superiore. Ha già riscosso una quarantina di successi in concorsi nazionali e internazionali. La sue liriche sono pubblicate in diverse antologie e riviste letterarie. Al suo attivo anche articoli giornalistici, interviste, saggi. Da poco è attivo il suo blog plancton.splinder.com

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Su Spugne azzurre di Emilia Dente Santangelo

di Vincenzo D'Alessio

La seconda raccolta poetica di Emilia Dente Santangelo conferma l'eccezionale lavoro sulla parola svolto in questi anni di attesa per l'uscita della raccolta Spugne azzurre. La poetessa, messa in luce dal grande critico letterario Michele Ricciardelli, mentre era ancora studentessa liceale con una nota critica sulla poesia di Annalisa Cima, raccoglie oggi in questi versi la lezione della corrente letteraria postermetica. Tutte le poesie rastremano la parola per difenderla dall'uso impuro dei fronzoli e dall'invasione degli inglesismi tanto diffusi nella versatilità contemporanea. Una poesia aperta al nuovo senza però distogliere lo sguardo dalla grande lezione del Novecento appena trascorso. Versi acuminati, pronti a cogliere la dolcezza e l'ispirazione che il reale consente ad un'anima attenta all'infinito valore dell'esistere in sé e negli altri esseri viventi.
Tutta la raccolta canta l'universale gesto d'amore per una umanità troppe volte dolente e bisognosa di un sorriso. La poesia si eleva come spirito puro a visitare "gli angeli malati" di un Dio che piange dal cielo così vicino alle aspirazioni umane eppure tanto lontano. I versi palpitano di una musicalità poggiata su analogie asciutte, lievi, su figure retoriche alternate tra metafore e ossimori, come nei versi che seguono: occhi sulla strada / pozzi neri / ingoiano l'universo (p. 6); burattini stanchi / condannati all'eterenità (p. 16). Dai versi di questa raccolta emerge chiara la voce femminile che indica il riscatto dalle trappole esistenziali dei nostri tempi, dalle troppe rovine e dai mostri seminati lungo la strada dell'esistenza. Una dolcezza nuova chiama per nome il lettore, lo coinvolge, insiste nel chiedergli l'attenzione a seguire i colori immensi che promanano dai versi, dalle parole divenute figure sul pentagramma della poesia. Non spetta a noi esautorare le energie contenute in questa raccolta che ci piace avvicinare alla poesia alta della poetessa contemporanea Alda Merini: I miei poveri versi / non sono belle, millantate parole, / non sono afrodisiaci folli / da ammannire ai potenti / e a chi voglia blandire la sua sete. / … tendi il tuo arco / al cuore di una donna perduta. / Lì mi raggiungerai in pieno. (I miei poveri versi, Mondadori)

Vincenzo D'Alessio è nato a Solofra (AV) nel 1950. Ha pubblicato La valigia del meridionale (1975), Un caso del sud (1976), Oltre il verde (1989), Lo scoglio (1990), Quando sarai lontana (1991), L'altra faccia della luna (1994), Costa di Amalfi (1995), La mia terra (1996), Ippocampo (1998), D'amore e d'altri mali (1999), Elementi (2003). Vive a Montoro Inferiore (AV).

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Cristina Campo en lisant

di Massimo Morasso

Cristina mia imperdonabile penso
a te che leggi gli Atti del Concilio

e ne compulsi note e codicilli
poiché quanto è impossibile non è
se non l’inizio dell’interessante

e l’esperienza della grazia
dall’impossibile muove entro l’ordine
del senso come in una liturgia.

Ripenso a te reclusa
che diradavi ogni nebbia in figure
dal cielo di una pentecoste continua

poiché il tuo cuore malato
desiderava che tutto tornasse
all’altezza della sua iperbole,

tu asceta d’inoppugnabile visione,
esilissima silfide e guerriera
per amore del mondo dietro al mondo

che ci stringe d’assedio ed è tutto ciò che abbiamo.

Massimo Morasso (Genova, 1964) ha tradotto e curato testi di W.B. Yeats (1994), Y. Goll (1996 e 1998), N.S. Momaday (1998) ed E. Meister (2000). Per L’Obliquo di Brescia ha pubblicato la trilogia La leggenda della primavera (Nel ritmo del ritorno, 1997; Distacco, 2000; Le storie dell’aria, 2000), prima delle quattro parti che compongono Carte d’identità, ciclo poetico a cui sta lavorando da un decennio. Nel 1999 ha curato la riedizione del “Supplemento letterario del Mare”, la rivista italiana di Ezra Pound. È redattore di “clanDestino”, “La Clessidra” e “Il Cormorano”. È presente in varie antologie, fra le quali Poesie di Dio, Einaudi, 1999; Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000, Garzanti, 2001 e Così pregano i poeti, San Paolo, 2001. La sua ultima raccolta, Le poesie di Vivien Leigh. Canzoniere apocrifo, è un'intensa riflessione sull’amore e il dolore.

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In questo pomeriggio Natalizio dove il reale silenzio circonda il mio essere…

di Paola Castagna

Qualcuno un giorno mi fece osservare che… cheta sono più bella… e a me piace essergli bellezza.
Nel tentare di scrivere una premessa mi perdo, come al solito, nel mio essere distratta, in frasi di circostanza che mai so adoperare correttamente. Nulla più in questo 25 dicembre 2005 alle ore 16,40… nulla più di una riflessione intima, privata, che non posso non condividere con chi oggi è stato partecipe insieme a me di un evento. Quest’anno per Natale ho regalato FaraPoesia: non può il mio dono essere fine a se stesso.
Ai poeti di FaraPoesia, all’editore Alessandro Ramberti, a chi più coraggioso di me ha accettato di scrivere l’introduzione del libro, Stefano Martello: a voi un regalo, un pensiero d’infinita riflessione offro. Stefano Martello, giornalista e scrittore di cui poco conosco, ma leggerlo mi è stato sufficiente per accendere una sigaretta, contare le bottiglie di vino vuote lasciate sulla tavola e prepararmi l’ennesimo caffè… Stefano diviene l’amico fidato, entra dentro e ti permette di raccontargli un istante di vita, liberamente, con fiducia, esorcizzando qualsiasi pensiero negativo. Con Stefano Martello chissà quante volte abbiamo chiacchierato davanti ad un buon vino, filosofando sui miei Ma e i suoi Perché, guardandoci negli occhi facendo a gara su chi li abbassa per primo. Martello è un animo puro, con galanteria scrive note critiche ascoltando i poeti, e con la stessa galanteria paga poi lui il conto del vino.

Rileggo Gladys Basagoitia, rileggo la nota critica che le ho scritto e l’accorgimento più evidente è il ricordo che tale scritto uscì con un’immediatezza veramente disarmante, mi appassionò subito la sua poetica, m’innamorai immediatamente della parola imponente: potrei scrivere pagine e pagine, senza stancarmi mai.

Ma… ma vi è Daniele Borghi con Recapiti sbagliati e la mia matita fatica a stare al passo del pensiero. Borghi è oramai la mia lettura quotidiana, al mattino presto quando dopo aver bevuto il caffè accendo la prima sigaretta, prima che gli eventi cambino di colore e il dovere di madre mi porti altrove, rileggo le sue poesie. Lo rileggo sospirando, chiedendomi perché non le ho scritte io, non sono da me uscite parole in rima che lui ha saputo rendere poesia, eppure nella mia mente vi erano depositate parole, emozioni, palpitazioni simili e uguali al suo percepire.
… il tuo corpo è un incubo perfetto…
… mentre sogni un vecchio innamorato
che grida il tuo nome… nella notte…

vorrei
vorrei
vorrei

una parola… che in poesia spesso adopero anch’io consapevole che nella vita, nel quotidiano, i vorrei miei e di Borghi, sono voglio, voglio, voglio… E tornerò a parlare di Borghi: il suo mestiere è lo "scrittore", ritornerò a leggerlo come tale per perpetuare quel bisogno di raccontare che nella poetica ho riscontrato (leggere il suo Pinocchio non abita più qui rientra in quei buoni propositi per l’anno nuovo, considerando anche il mio collezionare Pinocchi). Lascio Borghi ma è un arrivederci.

Quasi quotidiana di Carmelo Calabrò mi colpisce e mi affascina il sistema di adoperare la poesia come Ultimo strumento di comunicazione, come se non vi fosse altro per dire:
… tu quando torni? …
… meriti un po’ di felicità? …

Carmelo Calabrò con la sua poetica ci sta parlando, ci sta comunicando il bisogno di farsi conoscere nel dentro che gli appartiene. Bella, intensa, veritiera, viscerale la poesia Versi
I versi che ho scritto per te
non sono un dono d’amore
bensì un prestito, il genio
del mio egoismo gracile
sono pensieri che tu
continuerai a dedicarmi.


In ordine alfabetico arriva Paola Castagna e di me rileggo… tutto!
Le virgole, i punti, gli accenti, intono gli umori adoperati nell’utilizzo di quella sincerità che Martello ha definito a tratti disarmante. Io sincera e bugiarda, più generosa che donna, appartengo a quella razza dannata che nel vivere ripone nella parola scritta l’insonnia e i risvegli all’imbrunire. (Erateide… ne vorrei fare un giardino è il mio intimo privato e delicato che arriva sotto un albero di Natale con la preziosità dell’evento).

Narda Fattori … e nelle notti in cui mordo le lenzuola /scaravento barlumi di certezze…Comprendo ciò che la parola, la poetica, la poesia le permette di essere. Necessità della parola per sentirsi salva e guarita: … cantami per la lunga notte / una ninna nanna /
buona e ardita…
Una poesia sicura, corretta, senza sbavature che fa pensare ad una donna grande, forte che ripone le speranze in un dubbio mondo. Sicura, salda nella comune fragilità di essere anche donna.

Il gatto nell’armadio di Maria Lenti. Dice bene Narda Fattori quando scrive che la poetica della Lenti diventa una specie d’inventario dell’autore: … nulla si butta, tutto si rispetta /
niente si spreca, tutto sì reimpiega / mille usi, mille cose / mille scuse…
Ecco ho trovato in una parola il contenuto, le mille scuse si appropriano del nostro sentire e divengono come draghi da sconfiggere per l’autore. Qui il poeta è in evidente battaglia con la scusante del pensiero che ne impedisce l’evoluzione, ma ha già vinto per la lirica che sa generare.

Buriane
Buriane
Buriane
… di Roberto Mercadini. Necessità di ascolto… sì attento ascolto, e sono altresì convinta che se fosse qui lui stesso a leggermi le sue poesie, io resterei incantata dal suo fare poetico.
Minimale la sua costruzione poetica, essenziale e duro vorrebbe apparire, ma, ma possiede un animo gentile, lo sento, lo percepisco: … lo schiumare dell’io / sarai / uscito dai tuoi vent’anni /… lo stridente gabbiano che il guizzo d’onda non agguanta…
Lo stesso animo che lo riporta nella parola ricercandone le origini e le provenienze. Cercando inoltre quel sorriso assente di complicità che tanto lo porta in conflitto.

UN POETA MISURA LE DISTANZE INTIMAMENTE (lo scrivo volutamente in maiuscolo perché cara, carissima Ardea Montebelli, questa tua frase è bellissima.) Non mi considero tale come poeta, io non misuro (magari sapessi farlo almeno con la poesia) non possiedo capacità di confine, non ho misura anzi più prende mano lo scrivere e più le misure, i confini, i paletti vanno scomparendo.
Qui il poeta mi permette la simbiosi fra uomo e donna, mi concede di giuocare la parte che più mi garba con una consapevolezza che di rado riscontro nei rapporti quotidiani:
… sei bella amica mia / mi hai rapito. / ora posso attendere / il miracolo dell’alba / che ci spinge l’uno verso l’altra.

Già d’Andrea Parato ho scritto, di lui, della sua poetica, scrissi del suo vivere nostalgico nell’approssimarsi del domani, di come resta radicato nel passato per la paura di perdere/perdersi e così facendo cresce, diviene grande e imponente il suo pensiero.
Qui, in questa raccolta, non è lo stupore alla base della mia emozione bensì una gioia sottile: la poesia nei suoi versi si appropria di una certezza a conferma dello spendere i nostri giorni in futilità mediocri che lasciano sconforto. Qui l’essenza del poeta è candida, pulita: … mi parlano / le voci / nella stanza vuota / mi dicono della temuta assenza… E poi vi è la nota critica di Daniele Borghi che esprime a pieno la valenza de il nostro esilio quotidiano e dopo le sue minacce finali preferisco non fare conti.

Siamo giunti alla fine e in ordine alfabetico vi è Massimo Pensante mio paesano e compagno di letteratura. Massimo Pensante è un poeta sottile: … infinite s le voci / che sussurrano nel vento / … come d’amore si muove / una foglia.
Mi penetra l’uso appropriato della parola adoperata con acuta intelligenza e non meno pervasa da una sorprendente sensibilità.
Sì, qui il poeta diviene trasparente, sensibile, indossa il nulla, si spoglia da difese, preconcetti, ci dona la purezza dell’essere più profondo. Grazie Pensante, portaci la linea sottile del tuo pensiero, tu per primo custodisci i tuoi sogni.

Ed infine caro Alessandro, è con questa mia recensione che ti auguro buone feste con il piacere provato insieme ai sopra citati compagni di viaggio, ai quali auguro la poesia dell’anima che con il corpo prende forma e con lo spirito la valenza. UN ABBRACCIO paolacastagna@libero.it

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Amanti del caffè (e della poesia)

di Davide Danio Opiemme

Viaggiando in giro per il mondo ci si rende conto delle tante piccole differenze, siano queste positive o negative, che esistono tra il bel paese e gli altri magnifici luoghi che ci capita di visitare. Si può parlare del cibo, della musica, della filosofia di vita o del gusto estetico; così come di un migliaio di altre cose e tra tutte questa una che mi ha sempre colpito in modo particolare ed è il caffè… Quante volte ci è capitato di ordinare un caffè in qualche bar straniero attendendo quel dolce aroma che ci risveglia e rinvigorisce permettendoci di proseguire la nostra giornata in piene forze ed invece ci si ritrova di fronte una brodaglia sporca, bollente ed insapore che ci fa in fretta cambiare di umore.
Credo che, sia per un discorso di abitudini che forse anche di cultura, non potremo mai sperare di trovare altrove un caffè buono come quello di casa nostra, ed in quest’epoca dove la globalizzazione ci permette di trovare tutto dappertutto considero il caffè un forte simbolo caratterizzante la nostra italianità.
E per un italiano… Qual è uno dei gesti più comuni che vengono compiuti tutti i giorni? Quello di prendere un caffè.
Che sia al mattino, dopo pranzo o nel pomeriggio; con gli amici, per lavoro o soli al bar, il gesto di afferrare la tazzina portandola lentamente alla bocca per bere il nero caffè credo sia una delle azioni in cui chiunque si possa ritrovare.
Noi nella nostra performance cerchiamo di legare un gesto così semplice e comune a diverse attitudini, diversi modi di vivere, diverse interpretazioni della vita. Quante volte ci siamo fermati un’attimo prima di afferrare la tazzina ed abbiamo pensato:
"ma che mondo di merda...", oppure abbiamo semplicemente sorriso ricordandoci della nottata precedete. Dietro una tazzina di caffè ci può essere una storia che non starebbe dentro un libro...
Provate a guardare gli occhi delle persone al bancone che bevono il caffè, ognuna di loro ha una storia da raccontare, ognuna di loro ha un diverso modo di affrontare la realtà, ognuna di loro ha qualcosa da dirci ed insegnarci. Ma spesso non ci se ne rende conto.
La stessa persona che sta compiendo quel gesto non si rende conto dell’importanza che quel gesto cela, come dell’importanza di ogni altro piccolo gesto che compiamo quotidianamente.
Così abbiamo immaginato che nella stessa scelta del caffè che scegliamo di bere si rifletta la nostra concezione della vita: c’è chi cammina sorridendo di fronte a tutto e tutti e lo beve shakerato, chi invece ha bisogno di aiutini artificiali per poter andare avanti ed allora lo corregge con un goccio di alcol cosiccome c’è chi vede sempre tutto nero o chi preferisce non vedere… Noi partiamo da questo semplice gesto quotidiano per aprire una finestra: vogliamo portare chi legge le nostre poesie ad una piccola riflessione. Constatando la difficolà con la quale la gente si avvicina alla poesia, cerchiamo di portare direttamente la poesia alla gente, far tornare (o diventare) la poesia un mezzo narrativo che possa esprimere sentimenti e riflessioni andando a toccare ciò che ognuno vive ogni giorno, portando la poesia nel quotidiano e non lasciandola rinchiusa in una vetrina in mostra, bella sì, sicuramente ma incomprensibile per la maggior parte delle persone, sia per mancanza di mezzi conoscitivi che per assoluta trascendenza, distanza dal reale.
Ed è per questo che il nostro cameriere cammina per strada distribuendo tazzine di carta. Ogni tazzina contiene una poesia, una piccola riflessione su diversi modi di affrontare le nostre giornate e più in generale di porsi in relazione con la vita.
Oggi noi stacchiamo la poesia dalle pagine di un libro e la portiamo per le strade della vostra città facendovela conoscere.
Questa è la nostra idea di poesia.
Non la pallosa paginetta di un’antologia scolastica pasticciata che abbiamo dovuto imparare a memoria qualche anno fa ma la poesia di tutti i giorni, quella che tutti possono capire perchè tutti vivono quotidianamente.
La nostra speranza è che un giorno la poesia non sia più sinonimo di noia, mi piacerebbe che un giorno la gente al bar potesse leggere il giornale e trovarvi delle poesie da apprezzare, da poter leggere e comprendere.
Mi piacerebbe che un giorno la gente si fermasse un’attimo ad osservare la tazzina prima di bere un caffè e chiudesse gli occhi...
Io lo preferisco scuro e corto e voi?

Caffè ristetto (edito in Sfioraci, Prospettivaeditrice)

Caffè corretto

Caffè shakerato

Davide Danio Opiemme, un doppio cognome nella firma. Un'appartenenza e una scrittura che si intensifica con la nascita nel 1998 dell'Opiemme: un gruppo di amici che scrivono. Le prospettive si allargano nel tempo cercando svecchiare la poesia, portarla alla gente e farla riscoprire utilizzando nuovi modi per proporla, mischiando parole ad altre forme. Suoi sono tutti i testi sui quali si comporrà la mostra "AMANTI DEL CAFFE'", che unirà fotografia testi, video, installazioni e performance su un'unico tema. www.opiemme.com

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Hobbes o dell'anormalità

di Gianfranco Cordì

"La necessità degli eventi non implica per se stessa alcuna mancanza di pietà" (Th. Hobbes, da Libertà e necessità)

1. Una sensibilità esasperata
Una sensibilità esasperata alle prese con un’esistenza che continuamente non fa che sfuggire alle varie rappresentazioni ed interpretazioni che di essa si tentano di dare per rifugiarsi in sfere e complessioni afferenti all’abnorme ed all’oltreumano: Thomas Hobbes descrive le vicissitudini terrene dell’uomo con lo sguardo fermo che ha solo l’anatomo-patologo oltre che con un apparato concettuale di tipo materialistico-meccanicistico-formalistico. In questo modo, egli tratteggia quella che è una condizione umana tutta incentrata su di un punto preciso: l’assenza, in ogni caso, della cosiddetta normalità.
Da mostruosità a mostruosità, il percorso compiuto da Hobbes va a chiudersi non in un cerchio perfetto ma in una figura che ha comunque in sé un certo qual principio della circolarità. È una figura comunque geometrica che indica e raffigura in se stessa una direzione precisa e certa.
Si diceva di due mostruosità, una in partenza ed una d’arrivo: quella iniziale dunque sarà la morte, la pura e semplice morte degli esseri umani, autentico mostro inumano per ognuno ("il primo di tutti i mali" per Hobbes), la mostruosità finale sarà il cosiddetto Commonwealth, in latino Civitas, oppure Stato o ancora e finalmente il mostro biblico nominato nel Libro di Giobbe: il Leviatano. Se un mostro non-umano sarà la morte, il Leviatano avrà i tratti di un mostro del tutto umano perché esso "non è altro che un uomo artificiale"; questi sono la partenza e l’arrivo dell’intero discorso di Hobbes che, viceversa, sarà incentrato tutto sullo spazio afferente all’umano, all’uomo ed al suo status epistemologico nel mondo.
Un discorso questo che, a partire dalla prima opera edita del filosofo di Malmesbury, la traduzione in inglese della Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide (pubblicata all’età di 41 anni nel 1629), Hobbes continuerà sempre fino al termine naturale della sua lunga, feconda e per certi aspetti controversa esistenza. Un discorso di cui si cercherà di esporre le tappe principali.

2. Per Hobbes l’uomo è un coacervo di ragione e passioni. Considerato in se stesso, e solo per se stesso, questi è, fin dal principio, preda dal timore della morte violenta. "La necessità di natura induce gli uomini a volere e desiderare il bonum sibi, ciò che è bene per loro stessi, e a evitare ciò che è nocivo, ma soprattutto quel terribile nemico di natura, la morte, dalla quale ci aspettiamo la perdita di ogni potere, e anche la maggiore delle sofferenze corporali al momento del trapasso". Da questo timore della morte deriva, nell’uomo, una spinta prepotente verso l’autoconservazione. Ma tutto ciò accade in ogni uomo. Tutti gli uomini, atomi sparpagliati e atterriti di fronte alla morte, tendono ora ad evitare ciò che è loro sommamente nocivo. Ma a questo punto intervengono quelli che sono gli altri dati di partenza della concezione che dell’uomo ha Hobbes. Gli uomini nello stato di natura si trovano, infatti, nelle condizioni della uguaglianza e della libertà. Gli uomini sono liberi di esercitare le loro passioni ed uguali l’uno all’altro nell’esplicitare questa libertà; ma le passioni di cui sono portatori sono delle passioni non-socievoli, egoistiche. Nello stato di natura quella che domina incontrastata dunque è l’aggressività. Ma di fronte alla disunita collettività degli uomini sta sempre la natura ovvero la realtà. Davanti ad essa, gli uomini si pongono in ogni caso come fossero davanti ad una preda da catturare. Ognuno di essi è portatore, infatti, di un diritto elefantiaco ed onnipervasivo su tutte le cose da cui è formata la natura. Però, di fronte a questo diritto di tutti su tutto, la natura, per Hobbes, ha delle riserve di beni fruibili che sono necessariamente limitate. La natura, infatti, è come un fondo dal quale l’uomo attinge tutta una serie di provviste ai fini del suo sostentamento e della sua esistenza. Ma perseguendo soltanto la propria conservazione, tutti gli uomini si trovano ad inseguire soltanto ciò che è il loro utile, il proprio vantaggio. E proprio da tale utile nasce per tutti quanti gli esseri umani "la certificazione del possesso e dell’uso" di una determinata cosa appartenente al reale. Ovvero: nasce il diritto che ognuno ha su quella cosa. Ora, questo diritto onnincludente rispetto ai beni della natur viene, a confliggere con il fatto che i beni sono limitati, finiti, pre-stabiliti. In definitiva ogni uomo è guidato soltanto dalla ricerca del proprio utile; per questo egli va a scovare nella natura tutti quei beni che siano atti ad appagare questa sua sete; la natura, però, è costituita da una massa di beni finita; ogni uomo, dunque, non è appagato affatto da questa restrizione e per questo scoppia il bellum omniem contra omnes, la guerra di tutti contro tutti. Lo stato di natura diventa uno stato di guerra perpetua ed incessante nel quale stato ogni singolo essere umano è portato, dalle proprie passioni, a procacciarsi la maggiore quantità di scorte che gli sia possibile.

3. Ma la guerra è una condizione comunque da evitare pena la sparizione dell'uomo dalla faccia della terra. Così i successivi passaggi del ragionamento di Hobbes ci appaiono tutti concatenati (oltre che forieri delle più grandi conseguenze non solo per la successiva storia del pensiero politico moderno ma anche per la genesi di quel nuovo soggetto teoretico che è lo Stato moderno, che si fa risalire proprio alle teorie di Thomas Hobbes). Fino ad ora quelle che sono scese in campo sono state le passioni di cui è composto l’uomo. Ma adesso ecco che, di fronte a questo stato di conflitto globale, quella che interviene a far prendere alle cose una diversa piega è la parte razionale degli esseri umani. Di fronte alla guerra di tutti contro tutti la ragione si mette in moto e suggerisce alcune regole per ostacolare l'originaria inclinazione a nuocere e per liberare l'uomo dall’ancor più originaria paura della morte che lo tormenta. La ragione, dunque, per raggiungere il fine della pace indica all’uomo quello che è conveniente o non conveniente. Questi dettami della retta ragione prendono in Hobbes il nome di leggi naturali. E tali leggi portano a quell’accordo fra gli uomini per mezzo di un contratto stipulato mediante delega ad una Terza Persona.

4. Tramite un contratto la ragione suggerisce agli uomini di legarsi l’un l’altro per il resto della loro esistenza. Hobbes afferma che il contratto è ciò che gli uomini definiscono mutuo trasferimento del diritto. Per diritto nel caso in questione è da intendersi quello relativo a tutte le cose da parte di tutti che era proprio degli uomini nello stato di natura. Adesso, mercè la ragione e per risolvere la contraddizione dovuta all’instaurasi del conflitto fra tutti, ogni essere umano dovrà impegnarsi con ogni altro essere umano a trasferire questo suo elefantiaco diritto ad un’altra persona. Il nuovo soggetto che qui è chiamato in causa non sarà, allora, un altro essere umano e neppure un demone o un Dio, sarà semplicemente una Terza Persona: ecco che sorge così il Commnwealth formato dalla moltitudine finora sparsa degli esseri umani riuniti adesso in una nuova persona "dei cui atti una grande moltitudine si è resa autrice in ogni suo singolo componente, attraverso dei patti reciprocamente stipulati, al fine di metterla in condizione di usare la forza e i mezzi di tutti loro nel modo che riterrà opportuno per la loro pace e la loro difesa comune". Il fine per il quale viene istituito, dunque, il Commnwealth, cioè lo Stato, è quello di procurare la sicurezza di tutto il popolo. Afferma ancora Hobbes: "si dice che viene istituito uno stato quando una moltitudine di uomini concorda e pattuisce, componente per componente, che a qualsiasi uomo o assemblea di uomini verrà dato dalla maggioranza il diritto di impersonare tutti quanti (cioè di essere il loro rappresentante), ognuno di essi, tanto se ha votato per questo quanto se ha votato contro, dovrà autorizzare tutte le azioni o i giudizi di quell’uomo o assemblea di uomini come se fossero le sue, al fine di vivere pacificamente con gli altri e di essere protetto nei confronti degli altri uomini". Sono i singoli a stabilire l’instaurarsi di un contratto l’uno con l’altro; è molto rilevante che il sovrano non stipulerà mai alcun accordo o patto con nessuno, esso è l’ Autorità tout-court. In ogni stato che così si viene a creare, la Terza Persona chiamata in causa dall’accordo delle altre (i sudditi) verrà ora ad essere il rappresentante assoluto di tutti i sudditi oltre che il legislatore assoluto di ogni controversia che potrebbe sorgere fra essi. A procurare la sicurezza del popolo, il Commnwealth "è obbligato dalla legge di natura e di ciò deve rendere conto a Dio, l’autore della legge, ed a nessun altro che a lui". Tale Commnwealth nasce da tre passaggi tutti necessari: 1) i singoli rinunciano al diritto illimitato su tutte le cose che avevano nello stato di natura, cioè fanno assumere all’ambiente, alla natura, un valore nuovo: nello Stato, la natura sarà a misura di ogni uomo, e questo risultato ogni uomo l’ottiene ponendo un freno ed un vincolo alle proprie naturali passioni; 2) i singoli si vengono a togliere di mano l’arma dell’offesa reciproca che aveva reso lo stato di natura uno stato di guerra perpetua di tutti contro tutti; 3) i singoli affidano allo Stato la loro sorte per il fine della difesa di ognuno. Lo Stato dunque in Hobbes sorge principalmente come "disciplina delle passioni". Il primo appellativo col quale Hobbes definisce la costruzione razionale dello Stato è quello di Leviatano, un essere mostruoso che incute timore in chiunque soltanto lo pronunci. Nel caso, ora, di questo Commnwealth, tale Leviatano – secondo le analisi compiute dal filosofo tedesco Carl Schmitt – sarà almeno quattro cose insieme: un grande uomo, un grande animale, una grande macchina e, per finire, un Dio mortale.
Lo Stato moderno che fa il suo ingresso sulla scena del pensiero politico con Thomas Hobbes nel XVII secolo si annuncia fin da subito sotto le spoglie della mostruosità conclamata, dell’abnorme, dell’anormale.

5. Se diamo un’occhiata globale alla teoria dello Stato di Thomas Hobbes ci accorgiamo che il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è un passaggio ravvisabile sotto molteplici guise e dimensioni. In qualche maniera, infatti, si tratta di un transito dall’opinione alla scienza, dall’immoralità alla moralità, dalla bruttezza alla bellezza, dall’impolitica alla politica, dall’arbitrio al diritto, dal disordine al consenso dalla contraddizione alla ragione, dall’uguaglianza alla differenza, dalla libertà alla necessità, dall’insicurezza alla sicurezza, dall’anarchia all’obbedienza ma soprattutto: dalla menzogna alla verità. Per Hobbes, infatti, quella della verità è una dimensione che non appartiene alle cose ma ai nomi . Nello stato di natura, da questo punto di vista, il conflitto si viene a verificare proprio nel momento in cui due uomini diversi attribuiscono i due nomi "mio" e "tuo" alla stessa cosa. Questo, all’interno del regolare stato civile, istituzionalizzato e scandito dalle leggi, non si può mai verificare. Il Commnwealth stabilirà infatti (definitivamente e razionalmente) la proprietà di ogni uomo dentro di esso in modo che nessuno possa nuocere al suo vicino a causa della propria sete di potere. Ecco dunque che, dallo stato dove regnava la menzogna (dell’attribuzione di nomi diversi ad una stessa cosa da parte di persone diverse), con l’instaurazione del Commnwealth si passa allo stato della verità. Ed, ancora, ecco che quella stessa paura, che era originaria e comunque da evitare nello stato di natura ed autoimposta e da rispettare in quello civile, assume ora una dimensione che può essere definita metafisica. La paura, infatti, non è altro che il referente costante di tutto il filosofare del filosofo di Malmesbury.

6. Una volta instaurata la pace, il Leviatano si rende responsabile del rispetto di quelle leggi civili che vigono dentro di esso. Le leggi civili, per ogni suddito, sono "quello regole che lo stato, verbalmente, per iscritto o con un altro segno sufficiente della sua volontà, gli ha comandato di utilizzare per distinguere il bene dal male, vale a dire ciò che è contrario e ciò che non è contrario alla regola". Mentre le leggi naturali, più che delle leggi vere e proprie, erano dei dettami della ragione, le leggi civili sono adesso la parola di chi comanda per diritto su tutti gli altri: "Nessuno oltre allo stato può fare (tali) leggi". La ragione, che aveva fatto capo alle precedenti leggi naturali, nello stato civile si fa essa stessa tutta legge andando ad incarnarsi nella figura del Sovrano-Legislatore che controlla l’intero gioco delle relazioni umane finalmente non lasciate più libere nella totale anarchia delle passioni. Ma le leggi naturali non sono del tutto sparite nello stato civile. Hobbes afferma che: "la legge di natura e la legge civile si contengono a vicenda e sono di uguale estensione. Infatti, le leggi di natura, che consistono in equità, giustizia, gratitudine ed altre virtù morali che dipendono da queste, nella condizione meramente naturale … non sono propriamente delle leggi, ma delle qualità che dispongono gli uomini alla pace e all’obbedienza. Solo una volta che lo stato si è istituito diventano realmente leggi e non prima; cioè quando sono comandi dello stato e quindi anche leggi civili, perché è il potere sovrano che obbliga gli uomini ad obbedire ad esse. Viste, infatti, le differenze con cui i privati dichiarano che cos’è l’equità, che cos’è la giustizia e che cos’è la virtù morale e le differenze con cui le rendono vincolanti, c’è bisogno dei decreti del potere sovrano e delle pene stabilite per chi li viola; tali decreti fanno parte della legge civile . la legge di natura è dunque una parte della legge civile in tutti gli stati del mondo e, reciprocamente, la legge civile è una parte dei dettami della natura". Le leggi civili sono dunque una coestensione delle leggi naturali che, però, non hanno esaurito solo in questo la loro funzione. In tutti quei casi in cui quelle civili tacciono, vigeranno infatti, anche nel Commnwealth, ancora le leggi naturali che avranno così la funzione di integrarle.

7. Tutto il discorso fatto da Hobbes si è dunque svolto nel transito razionale da quel primo mostro, la morte, dato per natura, a quello artificiale, il Leviatano stabilito per convenzione. Prima subita poi fatta subire, inalterata è rimasta sempre la paura. In un secolo come il XVII che fu, anche, nel suo insieme fortemente rappresentato da certe forme di sensibilità esasperata, Hobbes getta le fondamenta di quello che, poi, diventerà lo "Stato moderno" basato principalmente sulla paura. La razionalità e la legalità dell’intero edificio architettonico da lui costruito verrà a poggiare su fondamenta umanissime e, se ci è consentito, assai tenui. Il Settecento, in seguito, tenderà a celebrare la sola ragione come unica qualità umana degna di essere presa in considerazione. Mentre i secoli a noi più vicini porranno sull’altare prima la scienza (frutto più immediato della ragione) e poi la tecnica (che è, in sé, un precipitato della scienza) con metodo assiduo e successo generale. Hobbes, che, per più di un motivo, può essere considerato uno dei padri di tutto questo processo, venne invece spinto a ragionare e teorizzare soltanto dalla paura.
E da essa venne spinto ad imbattersi in due grosse anormalità: la morte fisica dell’uomo ed il Leviatano: due soggetti mostruosi, di modo che l’intera sua opera può essere caratterizzata dalla presenza di quello spazio particolarissimo caratterizzato dall’assenza di quella dimensione di vita che è corrente, consueta, normale. (contattare l'autore per approfondimenti e apparati bibliografici gianfrancocordi@virgilio.it )

Gianfranco Cordì è nato a Locri nel 1970. Laureato in filosofia con una tesi su Ipotesi e limiti nell’epistemologia di Karl R. Popper, è dottorando in Pensiero politico ed istituzioni nelle società mediterranee presso l’Università di Catania. Ha recentemente pubblicato Globalizzazione e politica (Artemis Edizioni).

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