Logo Fara Editore Fara Editore

L'universo che sta sotto le parole
home - fara - catalogo - news - scrivi - faranews
Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore





Numero 26
Febbraio 2002

Editoriale: L'etica dello scrivere

Un argomento tosto, forse intrattabile in un bollettino elettronico come il nostro. Lasciamo volentieri la porola agli scritti. Iniziamo con la stupefacente prosa critica di Renato Serra E' gia' tanto che dura questo giorno. Proseguiamo con le parole di Henri Bergson ed una veloce presentazione saussuriana. Continuiamo con Yggdrasil di Johan T. Johansson.
Paola Turroni ci parla della "terra dove andare" nella rubrica cinema...grafo.
La recensione di Roberto Sturm recensioni a Visioni dal futuro e la segnalazione di alcuni siti interessanti chiudono questo numero. Buona lettura.

E' gia' tanto che dura questo giorno

E' gia' tanto che dura questo giorno. Mi pare che ore e ore lunghissime mi dividano dalla prima alba che mi sveglio', improvvisa e squallida, attraverso i vetri di una camera d'albergo, a tanta distanza di qui; e il vento correva sui lastroni della piazza ancor vuota, levando fra le rughe del sasso bigio e scoperto l'arida polvere che precede la pioggia.
Mi sono alzato, son partito, e alla fine sono venuto: l'uggia del sonno perso e lo squallore del mattino brutto mi hanno sempre accompagnato, mentre i chilometri della ferrovia succedevano ai chilometri, e si sentiva la strada fuggire attraverso il monotono cigoli'o del vagone, come una rigatura infinita di fremiti e tremiti scorrenti sull'immobile fondo.
Delle ore trascorse col viso inchiodato al finestrino e lo sguardo sulla campagna, m'e' rimasta solo l'impressione del telaio duro a cui s'appoggiava la fronte; e il peso sordo del tempo, peso senza ricordo, monotono e immobile peso del capo ne' dormente ne' sveglio; sussultante allo scossone delle fermate e sporgentesi allo sportello, con vano desiderio, verso la musica fina della primavera velata di pioggia. Quante cose da fare; e che rammarico vago delle ultime corolle dei ciliegi, biancheggianti fra un sospetto di ruggine e lacrimanti cosi' candide e lievi sull'acquitrino azzurro dei grani; isolette dei peschi di un rosa gonfio e tenero sul cielo livido, e cascate schiumanti di biancospino amarognolo; ultime querce brulle e tutto il resto delle cose, che avrei dovuto cercare e guardare e seguire nel loro dialogo con la luce fresca; e non vedro' piu' forse, non faro' piu' in tempo a guardare.
Scorreva il mondo sulle pupille intente quasi per obbligo, e il pensiero si profondava nella sua finzione.
Una e un'altra, e un'altra, e le tre sono solo una; non son piu' nulla, se le mie ciglia battono. E poi il nulla torna a esser corpo, sostanza di silenzio e di fugacita', visione mobile e labile come le cose che appaiono fra il vetro e l'ombra, ferme fin che l'occhio sta fermo; e a ogni tremar delle palpebre si disperdono in tremule lame dentro la trasparenza.
Come cerchio da cerchio e suono da suono, sorgono l'uno dall'altro piccoli drammi dentro la mente e si dissolvono e tornano a formarsi intorno al punto che mai non muta. Quella che aspetto e quella che mai ho scordato, quella in cui mi riposo o quella a cui non voglio pensare o quella che e' ritornata improvvisa attraverso il buio del sonno? Passano a una a una e ognuna e' la prima e la sola. Il pensiero si attacca a quel punto unico, come la bocca alla bocca; guarda la faccia e ode le parole, ripete l'incontro e ricomincia il dialogo, lo ripete e lo ricomincia, lo tenta e lo moltiplica, lo abbandona e lo sopprime e poi lo ritrova e lo rinnova tante volte, fin che l'incanto e' esaurito; si scioglie, si rompe, si disfa' come una bolla d'aria scolorata; e non ne resta piu' niente, e' distrutto; e' soltanto la contentezza vaga e amara che sia distrutto; la contentezza cosi' intenta e cosi' fissa che a poco a poco lo torna a creare...
Una e un'altra e un'altra... Quale e' la gioia e quale e' la pena, quale e' la vera, quale e' la mia? Tutto e' uguale, avere e perdere, sperare e temere; godere e soffrire. Ma ch'io guardi, ch'io senta, ch'io pensi, ch'io abbia dinanzi a me un riso un viso un profumo, qualche cosa che mi attiri o che mi fugga, qualche cosa a cui mi possa attaccare colla carne con l'anima, qualche cosa che mi faccia sentire, nel bene e nel male, attraverso l'inquietudine e al di sopra del piacere, la vita. La febbre, il sogno...
Tutto mi piace ugualmente e non rinunzio a nulla. Una stessa avidita' di passione curiosa e irrequieta assorbe il dolore e il tormento e scambia il passato con l'avvenire; le pene somigliano alle illusioni e le speranze ai ricordi, e tutto e' desiderio che passa e non si consuma nel mio cuore, dolcezza ambigua e perpetua sulla mia bocca; carezza dei capelli sfiorati e disciolti, urto di carne ribelle, odore di ignoto, soffio irritante e fuggente. Sorgono una dopo l'altra le forme leggere, come se ogni battito del sangue dentro le tempie ne creasse a ogni attimo una a cui correre incontro senza lasciare l'altra ne' l'altra; e tutte si sciolgono, sono presenti insieme, sospese sull'anima come il miraggio che sempre si dilata, tutte premono e mormorano e vanno nella corrente silenziosa e dolce.
Passano le ore, i giorni, gli anni: non so piu' da quando. Ci devono essere tante cose dietro, che mi aspettano forse; pendono e ondeggiano nella memoria come i brandelli di una tela non compiuta. Ma tutto e' interrotto, sospeso, disciolto nella dolcezza del vivere, cosi' uguale e cosi' piana nel suo liquido velo, che alla fine non ne resta nulla tra le mani che vorrebbero stringerla. Mi resta lo sbattimento vago e doloroso degli occhi che devono ingranarsi con la realta', e il vuoto e la stanchezza di questo minuto.

(da "Ringraziamento a una ballata di Paul Fort", di Renato Serra, «La Voce», 1914)

Torna all'inizio

Esteso e non-esteso
(di Henri Bergson)

Ci esprimiamo necessariamente con le parole, e pensiamo per lo piu' nello spazio. In altri termini, il linguaggio esige che stabiliamo fra le nostre idee le stesse distinzioni nette e precise, la stessa discontinuita' degli oggetti materiali. Questa assimilazione e' utile nella vita pratica, e necessaria nella maggior parte delle scienze. Ma ci si potrebbe chiedere se le difficolta' insormontabili che certi problemi filosofici sollevano non vengano dal fatto di ostinarsi a giustapporre nello spazio fenomeni che non occupano affatto dello spazio, e se, astraendo dalle grossolane immagini attorno alle quali si svolge la battaglia, non si metterebbe fine alla cosa. Quando una traduzione illegittima del non-esteso nell'esteso, della qualita' nella quantita', ha inserito la contraddizione nel cuore stesso della questione trattata, sorprende forse che la contraddizione si ritrovi nelle soluzioni che vengono date?
Abbiamo scelto, fra i problemi, quello che e' comune alla metafisica e alla psicologia, il problema della liberta'. Cerchiamo di stabilire che tutte le discussioni fra i deterministi e i loro avversari implica una confusione preliminare fra durata ed estensione, fra la successione e la simulteneita', fra la qualita' e la quantita': una volta dissipata tale confusione, si vedranno forse svanire le obiezioni sollevate contro la liberta', le definizioni che se ne danno, e, in un certo senso, il problema stesso della liberta'.

(dall'Introduzione ai Dati immediati della conoscenza, 1888)

Torna all'inizio

Ferdinand de Saussure

Il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913) e' considerato il capostipite della linguistica strutturale, anche se non ha mai impiegato la parola "struttura" (se non riferendola alla struttura delle parole) preferendole la parola "sistema".
Di formazione neogrammatica, nel 1878 porta a termine a Lipsia il famoso Mémoire sur le système primitif des voyelles dans les langues indoeuropéennes in cui osserva che le vocali lunghe dell'indoeuropeo possono essere considerate la combinazione di una vocale breve piu' un elemento fonetico indistinto rappresentato da *A. In questo modo era possibile eliminare le vocali lunghe dal sistema ed allo stesso tempo rendere conto delle serie apofoniche (alternanza vocalica, ablaut in tedesco) tipo i.e. *derk: *dork: *drk, ora del tutto analoga alla serie *dheA: *dhoA: *dhA. Il valore fonetico del simbolo A non venne specificato da Saussure, ma questa teoria fu confermata dalla decifrazione dell'ittita che poteva far supporre che A fosse una laringale.
Nel 1880 discute la tesi di laurea De l'emploi du génitif absolu en sansskrit e si trasferisce all'Ecole des Hautes Etudes di Parigi, dove Bréal nel giro di un anno gli cedera' la cattedra di grammatica comparata. Torna a Ginevra nel 1891. Influenzato da Whitney il cui Life and Growth of Language, edito a Londra nel 1875, era stato tradotto in tedesco da Leskien appena un anno dopo, e dal sociologismo durkheimiano, Saussure inizia a considerare la lingua come un'istituzione sociale, anche se sui generis per via del carattere arbitrario dei segni linguistici, mentre quello di altre istituzioni (leggi, costumi, ecc.) e' piu' o meno "naturalmente" motivato.
La lingua deve quindi essere accettata passivamente in grado ancor maggiore di quello richiesto dalle altre istituzioni umane. Saussure intende la linguistica come parte di una scienza piu' vasta dedita allo studio della vita dei segni (segnali militari, alfabeto dei sordomuti, scrittura, ecc.) nell'ambito della vita sociale, tenendo conto del fatto che il carattere essenziale del segno sfugge sia alla volonta' dell'individuo che alla volonta' sociale. Queste ideee saranno raccolte nel Cours de linguistique générale, opera postuma assemblata nel 1916 da due allievi di Saussure (Bally e Sechehaye) sulla base degli appunti presi durante le sue lezioni all'universita' di Ginevra, opera che ha fatto di Saussure un imprescindibile punto di partenza per la linguistica contemporanea. In questo testo vengono presentate tre fondamentali dicotomie:
a. Quella fra sincronia e diacronia. La lingua puo' cioe' essere studiata da due prospettive diverse: o in quanto stato (ovvero sincronicamente) o nel suo evolversi storico (ovvero diacronicamente). La linguistica sincronica si occupa dei rapporti logici e psicologici esistenti fra gli elementi di un sistema linguistico, cosi' come e' percepito dalla coscienza collettiva. Saussure insiste molto sulla autonomia della descrizione sincronica, che e' la base su cui si puo' poi attuare quella diacronica. La lingua in quanto stato e' paragonata al gioco degli scacchi: la posizione di un pezzo sulla scacchiera puo' essere descritta senza conoscere quelli che sono stati i movimenti precedenti del pezzo stesso, cosi' una lingua puo' essere studiata senza conoscere i precedenti storici.
b. Altra famosa dicotomia saussuriana e' quella fra langue e parole. Questi due termini francesi vengono usati per indicare rispettivamente la lingua come sistema di regole e di abiti linguistici che permettono ad un individuo di comprendere e farsi capire utilizzando una data lingua, e l'attuazione concreta e individuale del sistema linguistico. La "langue" e' intesa come un'istituzione sociale esterna all'individuo, un tesoro che si accumula attraverso la pratica della lingua nelle menti dei parlanti di una stessa comunita', mentre la "parole" e' l'atto linguistico concreto e contingente del singolo parlante. La "langue" e' quindi un sistema virtuale, una serie di differenze di suoni commutabili con una serie di differenze di idee condiviso da un insieme di individui, sistema in cui ogni termine (come il pezzo el gioco degli scacchi) e' solidale con gli altri e giustificato dalla loro presenza simultanea. La "parole" e' un' occorenza individuale di questo sistema in una situazione determinata. Per Saussure la "parole" ha, quindi, un'importanza secondaria, accessoria, psicofisica, il che contrasta con la realta' puramente psichica della "langue", dato che per quest'ultima non e' tanto importante il materiale sonoro utilizzato nella "parole" (materiale che puo' infatti mutare nel tempo) quanto il sistema di opposizioni e differenze che sottosta' a tale materiale. E' la "parole" la causa dell'evoluzione linguistica, mentre la "langue" e' al tempo stesso strumento e prodotto della "parole".
c. Infine, un'ulterire dicotomia e' quella fra sintagmatica e paradigmatica. Per Saussure la "langue" e' un sistema di segni, ma questi segni non vanno intesi come "simboli", ovvero come qualcosa che sta per qualcos'altro, bensi' come relazioni intercorrenti fra un concetto (significato) ed un'immagine acustica (significante): abbiamo in Saussure un atteggiamento mentalistico dato che il segno e' il rapporto tra concetto e immagine acustica piu' che quello tra la cosa e il nome che la designa. Per Saussure significante e significato sono inscindibili, come il recto e il verso di un foglio di carta, il segno che ne risulta ritaglia un suo significato all'interno della "nebulosa" del contenuto, i cui concetti possono essere distinti solo se vengono legati ad un significante particolare. Caratteristica del segno linguistico e' poi quella di essere arbitrario e di trovare espressione solo nella catena temporale, ovvero di poter essere realizzato solo lungo una linea temporale, dato che i significanti, in quanto suoni, non possono essere espressi che uno dopo l'altro. Il vocabolo utilizzato risulta percio' arbitrario in relazione al significato, anche se non lo e' in rapporto al sistema di lingua di cui fa parte, essendo in questo caso convenzionale.
Ne La linguistique syncronique (1975) Martinet fa notare che l'attribuzione arbitraria di un significante ad un significato e' solo un aspetto dell'attivita' linguistica: l'indipendenza della lingua nei confronti della realta' si manifesta anche nel modo in cui ogni lingua stabilisce i "limiti" dei concetti: ad es. quanti colori e' opportuno distinguere linguisticamente.
Il segno ha un valore solo se inserito in un sistema linguistico che lo mette in opposizione ad altri segni: la "langue" non e' infatti altro che un sistema formale di differenze. Non e' dunque una qualita' intrinseca dei segni a dar loro un valore, ma questo risulta dalle qualita' differenziali dei segni stessi in opposizione gli uni con gli altri: i valori si determinano reciprocamente tramite la loro stessa coesistenza, ad es. il termine "cane" designerebbe anche il "lupo" in una lingua priva di tale significante, conseguentemente, se si aumenta anche di un solo segno il sistema linguistico, si diminuisce in maniera corrispondente il significato egli altri.
Le "differenze" possono valere nell'ordine sintagmatico, in opposizione a quanto precede e segue nella catena parlata, oppure possono valere nell'ordine paradigmatico, quando il segno si oppone a tutti gli altri termini che appartengono alla sua stessa categoria: questo e' un rapporto in absentia, mentre quello sintagmatico e' un rapporto di opposizione in praesentia.

(A.R.)

Torna all'inizio

Yggdrasil: il frassino cosmico

Aveva nello zaino una torcia elettrica. Si incammino' nella oscurita' sempre piu' fitta del budello sconnesso. Ogni tanto, a destra o a sinistra, si aprivano le imboccature di quelli che parevano essere cunicoli laterali. Ad un certo punto il cunicolo centrale che stava percorrendo si biforco': e se si fosse perso in quell'intricato intestino della montagna? La temperatura nel ventre della montagna era costante, non troppo fredda, e molto umida. Gli venne un'idea.
Non aveva con se' un rotolo di spago o un gomitolo da svolgere lungo il cammino in modo da poter poi facilmente ripercorrerlo in senso contrario. Aveva pero' un maglione, lavorato ai ferri da sua madre. Prese il temperino e taglio' in un punto adeguato il margine del maglione: si ritrovo' con un capo di fibra lanosa in mano che si sarebbe svolto senza soluzione di continuita' per un discreto tratto di cammino. Estrasse un moneta: testa sinistra, croce destra. Il verdetto fu (ovviamente per un moralista logico) "testa". Lego' il capo del maglione ad una sporgenza stalagmitica che sembrava fatta apposta, e procedette. Si trovo' di fronte a numerosi altri bivî; decise di alternare le imboccature di destra con quelle di sinistra in modo da evitare, per quanto dipendeva da lui, la possibilita' di un percorso circolare.
Man mano che procedeva, il maglione si rimpiccioliva parallelamente all'altezza dei cunicoli. Fu prima costretto a chinare la testa e poi a camminare sempre piu' curvo, finche' dovette procedere carponi. In ultimo si trovo' strisciante come un lombrico schiacciato fra le pareti di roccia. Prosegui' comunque. Il maglione gli si stava definitivamente sfilando, ma non pensava a questo. Era invece preoccupato perche' la luce della torcia elettrica dava evidenti segni di debolezza. Tanto valeva spegnerla e procedere al buio. Pur essendo in una oscurita' completa, teneva gli occhi bene aperti. Il fondo gli pareva ora scivoloso, quasi fosse coperto da uno strato di morchia. Non sentiva altro rumore che quello del suo strisciare, e del respiro un po' irregolare. Ad un certo punto, udi' pero' il rumore fievole e lontano di un gocciolio. Prosegui' avvicinandosi a quel ritmico infrangersi di particelle d'acqua sul fondo cosparso di pozzanghere di una caverna che sembrava vicina; ma era ormai cosi' compresso dalle rocce che non riusciva quasi a muoversi. La dose di panico che era venuto pian piano accumulando mentre procedeva con coraggiosa incoscienza per quella vena sotterranea e impervia infine esplose e urlo':
– Sibilla dove sei?
… gli giunse solo l'eco della domanda.
– Eppure devi esserci, da qualche parte! – disse con rabbia.
Una folata improvvisa, di aria fresca. Le mani, che tastavano preventivamente il buio cammino, non sentirono piu' il fondo roccioso, brancolavano nel vuoto. Era come se quel cunicolo lo avesse portato verso una grande cavita'. Accese la torcia, ma alla debole luce residua non riusciva a dare una dimensione a quello spazio dagli echi sinistri che presumeva essere molto grande.


Yggdrasil affonda umilmente le radici nel regno di Hela, il suo tronco e' alto come il cielo e le sue fronde disegnano l'universo e ne sono la memoria. Una sua foglia e' una biografia, una sua fibra un atto, una parola. Il suo fremere e' il soffio della passione umana, il suo crescere e' la coniugazione del verbo "fare".

(dalla Simmetria imperfetta di Johan Thor Johansson)

Torna all'inizio

Cinema...grafo
(di Paola Turroni)

Il cinema e' una terra dove andare

Il cinema e' una terra dove andare. Dove le terre del mondo ci dicono cosa stanno cercando, dove andiamo a guardare cosa ci manca. Il cinema e' una delle nostre domande dopo avere raccolto tutte le risposte. Lascio che il mio pensiero mi porti in alcune di queste terre, le seguo per associazione senza pretese di completezza e disciplina critica. Perche' ci sono film che restano a lungo nello sguardo e che rivelano sguardi inaspettati.
Contact di Zemeckis per esempio. Attraverso il pretesto narrativo della ricerca di extramondi, la ricerca di padri perduti, di sogni portati avanti senza padri. Parlo di padri biologici, di padri epocali, di padri-maestri, e anche di Dio. La storia del desiderio di un contatto con il padre che ci manca, indipendente dalla strada che scegliamo per cercarlo, strada che e' tutta necessariamente terrena. Per chi ha fede, Dio va cercato sulla terra, attraverso l'attenzione al prossimo, attraverso la disciplina della fede, per tutti e' comunque un padre a cui si vuole restituire il sogno, dimostrare il proprio cammnino. Che sia il papa' o l'insegnante o il capo.
O un film come Frankestein di Branagh, dove la creazione della Creatura obbliga a un confronto con la responsabilita' del creare. Non prendersi la responsabilita' delle conseguenze dei propri gesti significa tradire il sogno, profanare il sacro, uccidere. Se crei un sogno, non lo abbandonare, ti si ritorcera' contro. Soprattutto se hai a che fare con l'altra parte di te, il mistero-mostro che sei, se ti metti a giocare con l'indiscutibile.
O le mille provocazioni nascoste nella inevitabile metafora di Titanic di Cameron. Il futurismo della macchina - la velocita' e il successo - rimbalza contro una tale paura del futuro che ci raggomitoliamo sul passato - tutta la memoria intatta di Rose -, quasi pensando che sarebbe stato meglio suonare l'ultima volta il violino e poi morire - come hanno fanno i concertisti del nave - piuttosto che ritrovarsi qui ora. Ributtiamo il gioiello in fondo al mare prima che diventi presente, quindi frantumabile. E quando l'acqua uscira' davvero dagli argini - quando Jack rimane su un legno galleggiante sull'oceano e Rosa si trova a fare i conti con una tecnologia che non spiega abbastanza - ci salveremo solo se avremo qualcuno per cui morire.
Truman prende una barca per andarsene, in Truman Show di Weir, nonostante la paura del naufragio. Forse non e' questione di scendere dal Titanic, e' questione di fregare tutti e cambiare metafora. Oppure ballare fino alla fine. Non ci buttera' giu' nessuno dal Titanic, e' piu' comodo farci credere che stiamo scendendo, magari dandoci le scialuppe, ammassandoci in una tragedia. Se non troviamo il modo di cambiare rotta, o di cambiare nave o di cambiare metafora tanto vale restare a suonare il violino fino alla fine. Non ci e' detto cosa ci sia oltre il cielo di gesso di Truman, il deserto o un altro mare. il difficile e' mettersi sulla barca quando si soffre il mal di mare e poi fare i conti con lo scontro con la cartapesta, trovare i gradini. Quando Truman saluta, ha gia' scelto, e' gia' libero.

Torna all'inizio

Recensioni

Visioni dal futuro. Il caso di Philip K. Dick

Fare un saggio esaustivo sull'opera e il pensiero di Dick e' sicuramente, considerate le sfaccettature e le peculiarita' dell'autore americano, una impresa al limite delle possibilita' umane. I tanti scritti lasciati, dai racconti passando per i romanzi fino ai testi (pseudo)filosofici, le traversie affrontate nella sua breve vita accompagnata sempre da droghe e antidepressivi, le sue teorie teologiche, sono materiale troppo complicato per una analisi lineare e diretta. Il merito maggiore di questo saggio su Dick di Fabrizio Chiappetti, ventiseienne marchigiano, insegnante di storia e filosofia, e' senza dubbio quello di non aver voluto strafare. Con un linguaggio semplice e diretto, passando per le opere piu' significative di Dick, per i momenti piu' importanti della sua esistenza, l'autore fornisce un ritratto convincente e abbastanza obbiettivo dello scrittore statunitense, che puo' essere utile a chi si avvicina per la prima volta a Dick e a chi, invece, Dick lo conosce come le sue tasche. Senza scendere, come e' facile quando si parla di scrittori di tale levatura, sul terreno della banalita' e dello scontato. Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Ubik, La svastica sul sole e Blade Runner, in origine Do Androids dream of Electric Sheep, sono le opere, senza dubbio tra le piu' rappresentative di Dick, su cui si basa l'analisi di Chiappetti sullo scrittore americano. Considerazioni che poi, per forza di cose, investono anche la vita e la filosofia di uno degli autori che piu' ha dato alla fantascienza mondiale.

(di Roberto Sturm)

Torna all'inizio

Siti interessanti

Convivio dei popoli www.conviviodeipopoli.it/
Letteratura tra stampa e internet www.antoniospadaro.net/unigre.html
Il mestiere di scrivere www.mestierediscrivere.com/testi/cyberscrittore.htm
Nuovi scrittori www.nuoviscrittori.it/
Suoni e culture www.cupacupa.com/
Cinema cinema.supereva.it/welcome.html
Profili www.scrittinediti.it/profili.htm
Lingue www.ilovelanguages.com/index.php?category=Languages

Torna all'inizio

 

grafica Kaleidon © copyright fara editore