|  | FARANEWSISSN 15908585
 MENSILE DIINFORMAZIONE CULTURALE
 a cura di Fara Editore
 
 1. Gennaio 2000
 Uno strumento
 
 2. Febbraio 2000
 Alla scoperta dell'Africa
 
 3. Marzo 2000
 Il nuovo millennio ha bisogno di idee
 4. Aprile 2000Se esiste un Dio giusto, perché il male?
 5. Maggio 2000Il viaggio...
 
 6. Giugno 2000
 La realtà della realtà
 7. Luglio 2000La "pace" dell'intelletuale
 8. Agosto 2000Progetti di pace
 9. Settembre 2000Il racconto fantastico
 10. Ottobre 2000I pregi della sintesi
 11. Novembre 2000Il mese del ricordo
 12. Dicembre 2000La strada dell'anima
 13. Gennaio 2001Fare il punto
 14. Febbraio 2001Tessere storie
 15. Marzo 2001La densità della parola
 16. Aprile 2001Corpo e inchiostro
 17. Maggio 2001 Specchi senza volto?
 18. Giugno 2001Chi ha più fede?
 19. Luglio 2001Il silenzio
 20. Agosto 2001Sensi rivelati
 21. Settembre 2001Accenti trasferibili?
 22. Ottobre 2001Parole amicali
 23. Novembre 2001Concorso IIIM: vincitori I ed.
 24. Dicembre 2001Lettere e visioni
 25. Gennaio 2002Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
 26. Febbraio 2002L'etica dello scrivere
 27. Marzo 2002Le affinità elettive
 28. Aprile 2002I verbi del guardare
 29. Maggio 2002Le impronte delle parole
 30. Giugno 2002La forza discreta della mitezza
 31. Luglio 2002La terapia della scrittura
 32. Agosto 2002Concorso IIIM: vincitori II ed.
 33. Settembre 2002Parola e identità
 34. Ottobre 2002Tracce ed orme
 35. Novembre 2002I confini dell'Oceano
 36. Dicembre 2002Finis terrae
 37. Gennaio 2003Quodlibet?
 38. Febbraio 2003No man's land
 39. Marzo 2003Autori e amici
 40. Aprile 2003Futuro presente
 41. Maggio 2003Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
 42. Giugno 2003Poetica
 43. Luglio 2003Esistono nuovi romanzieri?
 44. Agosto 2003I vincitori del terzo Concorso IIIM
 45.Settembre 2003Per i lettori stanchi
 46. Ottobre 2003"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
 47. Novembre 2003Lettere vive
 48. Dicembre 2003Scelte di vita
 49-50. Gennaio-Febbraio 2004Pubblica con noi e altro
 51. Marzo 2004Fra prosa e poesia
 52. Aprile 2004Preghiere
 53. Maggio 2004La strada ascetica
 54. Giugno 2004Intercultura: un luogo comune?
 55. Luglio 2004Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
 56. Agosto 2004Una estate vaga di senso
 57. Settembre2004La politica non è solo economia
 58. Ottobre 2004Varia umanità
 59. Novembre 2004I vincitori del quarto Concorso IIIM
 60. Dicembre 2004Epiloghi iniziali
 61. Gennaio 2005Pubblica con noi 2004
 62. Febbraio 2005In questo tempo misurato
 63. Marzo 2005Concerto semplice
 64. Aprile 2005Stanze e passi
 65. Maggio 2005Il mare di Giona
 65.bis Maggio 2005Una presenza
 66. Giugno 2005Risultati del Concorso Prosapoetica
 67. Luglio 2005Risvolti vitali
 68. Agosto 2005Letteratura globale
 69. Settembre 2005Parole in volo
 70. Ottobre 2005Un tappo universale
 71. Novembre 2005Fratello da sempre nell'andare
 72. Dicembre 2005Noi siamo degli altri
 73. Gennario 2006Un anno ricco di sguardi
 Vincitori IV concorso Pubblica con noi
 74. Febbraio 2006I morti guarderanno la strada
 75. Marzo 2006L'ombra dietro le parole
 76. Aprile 2006Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
 77. Maggio 2006"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
 
 78. Giugno 2006
 Varco vitale
 79. Luglio 2006“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero 
  tempo, stabilità, “memoria”
 79.bisI vincitori del concorso Prosapoetica 2006
 80. Agosto 2006Personaggi o autori?
 81. Settembre 2006Lessico o sintassi?
 82. Ottobre 2006Rimescolando le forme del tempo
 83. Novembre 2006Questa sì è poesia domestica
 84. Dicembre 2006La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
 85. Gennaio 2007La parola mi ha scelto (e non viceversa)
 86. Febbraio 2007Abbiamo creduto senza più sperare
 87. Marzo 2007“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
 88. Aprile 2007La Bellezza del Sacrificio
 89. Maggio 2007I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
 90. Giugno 2007“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
 91. Luglio 2007La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
 92. Agosto 2007Versi accidentali
 93. Settembre 2007Vita senza emozioni?
 94. Ottobre 2007Ombre e radici, normalità e follia…
 95. Novembre 2007I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
 96. Dicembre 2007Il tragico del comico
 97. Gennaio 2008Open year
 98. Febbraio 2008 
  Si vive di formule / oltre che di tempo
 99. Marzo 2008Una croce trafitta d'amore
 
 
 |  | Numero 96Dicembre 2007
 Editoriale: 
          Il tragico del comicoIn questo periodo festivo non potevamo perdere l'occasione 
          per lanciare il nostro nuovo concorso Prosapoetica 
          terra/di/nessuno arrivato ormai alla VII edizione con la novità 
          della pubblicazione delle opere vincenti. E come la prosapoetica tenta 
          la costruzione di un ponte fra generi letterari, questo numero ci offre 
          un interessante saggio di Maria Rosa Panté sulla 
          comicità feroce di Aristofane; poi Leela Marmapudi 
          indaga la zona crepuscolare/ossimorica della vita, e similmente Raffaele 
          Ibba interroga l'incerta incostanza in cui possiamo fare 
          spazio all'amore assoluto di Gesù; padre Bernardo 
          M. Gianni ci ricorda che è la parola del fratello, della 
          sorella a dar certezza alla Parola; Luigina Bigon nella 
          sua ricerca natalizia trova “in meso al scuro / un ciaro…”, 
          e Marco Scalabrino ci ricorda che “C’è 
          forbici ammulati di straforu / chi tagghianu di nettu niuru e biancu…” 
          Che la luce dell'Emmanuele possiamo sempre sentirla vicina: felice Natale!
 
 Ferocia 
          e poesia nella comicità di Aristofane di Maria 
          Rosa Panté Genette diceva che “il comico è il tragico 
          visto di spalle”, certo i Greci dovevano saperlo perché 
          i grandi tragici partecipavano alle gare teatrali con tre tragedie e 
          un dramma satiresco, una chiusa comica dopo la catarsi, provocata dai 
          terribili fatti tragici.I greci sapevano ridere, fin dal mito compare la risata come fonte di 
          benessere e addirittura di fecondità.
 BauboBaubo alza, alza la gonna, / leva l’ampia sottana. / Guarda bella 
          signora: / seno caldo e materno, / fica dolce che saggia / parla, guarda 
          signora, / natiche alte, faconde. / Baubo, Baubo grinzosa /
 figlia, allegra dei campi: / danza, ballano i fianchi, / candidi e nudi. 
          Ridi, / ridi bella signora. // Rise Demetra e la terra rinacque: /
 donò bionde le messi, il pianto tacque.
 Baubo era sempre vissuta in quel piccolo villaggio, 
          era sempre stata contadina.Un giorno da quelle strane arrivò uno strano corteo. Giunsero 
          una signora bellissima e altera, la sua figura era quasi splendente, 
          ma il volto era oscuro e rigato di lacrime; la seguiva un fanciullo, 
          con l’espressione da vecchio e un sorriso bambino.
 Stanchi e impolverati si fermarono presso la prima casa 
          del villaggio: quella di Baubo.
 Era una giornata soleggiata e un poco afosa, i campi erano brulli: una 
          vera disperazione per i contadini. La terra, come impazzita, da qualche 
          tempo non produceva più nulla, solo erba secca.
 Baubo preparava un magro pasto, ma accolse gli ospiti e presentò 
          loro tutto ciò che la sua povera casa offriva; non sapeva che 
          fare, continuava a guardare quella bella signora piangente.
 Come avrebbe voluto consolarla, distrarla, farla sorridere, addirittura 
          farla ridere: sapeva, nella sua saggezza antica come la terra, che una 
          risata aiuta a superare molti ostacoli e a vedere la vita meno cupamente.
 Baubo, colta da un’ispirazione, si alzò le gonne, mostrò 
          prima il suo prosperoso deretano, poi il suo sesso e i seni. D’un 
          tratto di fronte a quella buffa faccia che era il corpo di Baubo, il 
          fanciullo, che si chiamava Eros, scoppiò a ridere; dopo un momento 
          di costernazione anche la signora si mise a ridere di cuore, in modo 
          quasi irrefrenabile.
 Fu la salvezza.
 La signora era infatti Demetra, dea delle messi, che cercava la figlia, 
          rapita dal dio dell’aldilà. Piangeva per la desolazione 
          e i campi, desolati come la loro signora, non producevano più 
          nulla.
 Grazie a Baubo, Demetra riacquistò fiducia e buon umore; 
          grazie a Baubo i campi ritornarono fertili e fecondi.
 In questo mito (il testo è mio), oltre al potere 
          rigenerante del comico, compare qualche altro fattore fondamentale:- il riferimento alla sfera sessuale
 - il linguaggio libero e scurrile
 - l’elemento del basso, del legame con la terra e la materialità
 - il nutrimento
 - insomma tutto ciò che è carnale e materiale (come ci 
          insegna Bachtin)
 AristofaneI Greci conoscevano le tecniche per suscitare il riso (tecniche molto 
          complesse: è molto più difficile far ridere che far piangere).
 I Greci conoscevano le diverse sfumature della comicità: sapevano 
          infatti ridere dei fatti di costume, dei loro stessi vizi, ma soprattutto 
          erano capaci di satira, di satira politica.
 La grande stagione della democrazia ateniese (molto imperfetta, basti 
          pensare che ne erano esclusi: schiavi, donne, stranieri) è la 
          grande stagione del teatro sia tragico che comico.
 Il più grande autore comico dell’età classica è 
          Aristofane che visse ad Atene tra il 450 a.C. e il 388 a.C. circa. Fu 
          uno dei principali esponenti della Commedia Antica insieme a Cratino 
          ed Eupoli, nonché l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere 
          complete. Scrisse principalmente durante il periodo della Guerra del 
          Peloponneso, che si concluse con la sconfitta di Atene di fronte a Sparta.
 Le sue opere sono un unicum, dopo di lui, finita l’epoca 
          dell’Atene democratica, un tipo di teatro come quello, fortemente 
          politico, non fu più possibile, anzi già le sue ultime 
          commedie mostrano questo mutamento sociale e politico in atto. Finita 
          la stagione della commedia antica, iniziò la nuova, i temi erano 
          più intimi, legati al costume sociale, temi più vicini 
          alla comicità latina, giacché a Roma non vi fu praticamente 
          mai la libertà artistica di Atene.
 Nelle sue opere Aristofane prende di mira in particolare tre obiettivi:
 • politico (fu grande sostenitore della pace, della fine della 
          guerra del Peloponneso);
 • sociale (la mania ateniese dei processi, la schiavitù 
          nei confronti del denaro)
 • culturale (Socrate e i sofisti, Euripide)
 
 Un esempio molto interessante di feroce satira politica è nei 
          Cavalieri, questa commedia mette in luce anche i lati 
          deboli della democrazia. Si scontrano due capi politici, uno, Cleone, 
          effettivamente capo del partito democratico ai tempi di Aristofane, 
          fautore della guerra e chiamato nella commedia Paflagone, l’altro 
          un immaginario avversario, un salsicciaio: entrambi faranno una figura 
          tremenda.
 PAFLAGONE: Io confesso d’essere un ladro: ma tu 
          no. SALSICCIAIO: Sì per Ermes, dei bottegai.
 PAFLAGONE: E io spergiuro anche quando mi vedono.
 SALSICCIAIO: Allora escogiti le arti degli altri.
 Ma anche Popolo, il terzo personaggio (in democrazia, 
          non dimentichiamolo, l’attore principale), si dimostra se non 
          peggiore, uguale ai due politici. Vincerà chi saprà parlare 
          al ventre di Popolo… SALSICCIAIO: Troppo sei convinto che il popolo sia cosa 
          tua.PAFLAGONE: Perché io so come imboccarlo.
 SALSICCIAIO: E poi, come le nutrici, lo alimenti male: dopo aver masticato 
          il suo cibo glielo imbocchi un poco; e tu, per parte tua ne hai inghiottito 
          tre volte tanto.
 PAFLAGONE: Certo, per Zeus, con la mia abilità io posso fare 
          il popolo largo o stretto.
 SALSICCIAIO: Una cosa simile l’ha escogitata anche il mio sedere.
 PAFLAGONE: No, mio caro: non crederai d’avermi maltrattato in 
          Consiglio: andiamo dinanzi al popolo.
 Una situazione che non pare essere passata di moda, basti 
          pensare a molti dibattiti televisivi, a molti proclami politici.Alla fine Popolo avrà il governo che si merita.
 Ma in Aristofane c’è anche l’utopia che ispira una 
          poesia lirica che non si immaginerebbe possibile nella ferocia del commediografo.
 Infatti la carica utopica e la poesia spiccano soprattutto nelle descrizioni 
          di mondi senza uomini (o in mondi governati dalle donne), nei cieli 
          tra le Nuvole. Ecco un passo tratto proprio dalle Nuvole, 
          veniva cantato dal coro, fuori scena:
 Nuvole eterne,leviamoci visibili nella nostra rorida agile natura
 dal muggente padre Oceano
 su le chiomate vette dei monti eccelsi,
 a mirare
 le come lontane e le messi
 e la sacra terra irrigata e dei fiumi divini il fragore
 e il pelago di cupi fremiti sonante.
 Instancabile l’occhio dell’Etere
 fulge di splendidi raggi:
 scuotiamo, suvvia, la bruma piovosa.
 (traduzione di Raffaele Cantarella)
 In conclusione, rispetto alla triste, cupa satira sociale 
          romana, anche se grandiosa nei suoi esiti (ad esempio il Satyricon 
          di Petronio) nelle commedie di Aristofane ci sono slancio ideale e parentesi 
          liriche di grande ampiezza. Però proprio la delusione politica 
          porterà la commedia a temi più vicini alla satira sociale, 
          a un particulare gretto che fa ridere, ma davvero a denti stretti.C’è da chiedersi: e oggi? Il testimone della nostra epoca 
          sarebbe Aristofane o, ad esempio, Marziale?
 
  Maria 
          Rosa Panté è nata nel 1961 a Borgosesia, cittadina 
          in provincia di Vercelli dove vive. Insegnante di materie letterarie 
          in istituti superiori, attualmente si occupa della produzione di materiale 
          multimediale e ipertesti per la didattica. Ha pubblicato un libro di 
          poesie e prose, L’amplesso retorico. Voci femminili dal mito (2004) 
          e nel 2006 un libro di racconti: Noi che non fummo muse (Manni). Ha 
          partecipato a diversi concorsi di poesia e narrativa, conseguendo premi 
          sia per la produzione poetica, che per la prosa e la saggistica. Torna all'inizio À 
          LA CARTE – piccolo amore mangia avanzi di Leela 
          Marampudi Nella zona crepuscolareQuale tramonto?
 Vai a cercare
 Per  Spalanchi porta,vento
 senza invito ti scaldi
 Butto onda di fuoco
 sabbia
 calda, aria si alza
 Ti senti forte, vento"tua"
 casa in fermento
 Vuoi dare ciò che non hai(ma in fondo non vuoi
 sentire stupri)
 ad occhi più "piccoli"
 dio del vento, per i tuoi
 Pernon essere annientato
 chi è in cerca dovrà
 trovare in fretta
 per sé
 e per te
 Per non essere amatoda un amore che vede
 bellezza
 nella fragilità del
 giustificarsi
 pensando cheti appartenga Cassandra
 impotente tu soffi
 nel tempo che trasporta
 hai solidi problemi con il presente
 Vengono da teper non piangere
 per ridere e basta, no!
 I teschi di chewing-gum
 graffitano il
 muro
 Biglie stridono
 i metropolitani
 binari
 Non hai più caramellevento
 ti muovi
 parassita del nostro
 tempo
 Quandonon ti crederai più protagonista
 inizierai ad esserlo
 "uomo vero" chedistruggi
 per non vederti
 senza casa la tua offerta
 per
 ***Mi ripeto il concetto
 di getto mie parole
 del mio amore protetto
 File -> Salva con nome
   Per un povero ingioiellatoSalomè si fa madre
 Raccoglitore a buchicon testo a fronte
 Sopranocon occhi da pernice
 che
 fermano il vuoto
 girando il viso
 L'ingenuità sta nel dimenticarsiil proprio disincanto
 "Ahia! Ho sbattuto la testa contro il muro."
 Dolcedebolezza accettata
 Maniacale spalanchil'impermeabile per
 mostrarmi il tuo sorriso
 Un gioiello sdentato Egocentricafragilità domina tenerezza
 Un coniglio sotto luna di carta Risparmiare paroleper alberi muti che
 vivranno
 in quel vocabolario scoppieranno
 Approfitti della tuaconfusione per
 concedermi solo oscurità che vuoi
 "Ci vuoi bene?"dolore
 inutile
 il giocattolo della disistima
 Sai che la mia moraleporterà al sacrificio
 comunque
 Mi vuoi mangiare?fallo
 ma sappi che io lo so
 E ora per questocerco di darti
 solo le parti
 migliori
 *** E se cupido diventasse un angelo? Cerchiati da luna Ballerina la nottei tuoi splendidi incanti
 sapienti di stagioni
 richiaman pianti
 di infinite illusioni
 Aquilone la serasopra burbero bulbo
 sbuca raggio bambino
 Sul retro grandi faggiindietreggiano i passi
 La luna si è vestita
 di madreperla
 Scovando rughe di latte nel tuorlo
 quando non penso
 saltello
 Nella triadeil bindhi illuminato
 verso il canale
 il fine ha inciampato
 cerchiato
 Haiku torna a sperare (togli il conflittodallo sguardo di vetro
 dove ruggine macchia
 il centro più vuoto)
 Il tuo dunque saprà di mielericordando il susseguirsi
 di gracili emozioni
 Filamenti tra i miei pensieri
 
 Mary 
          Leela Peverelli è nata in India nel 1975, vive in provincia 
          di Como. Collabora con il regista Paolo Lipari. Tra i cortometraggi 
          realizzati, come operatrice al montaggio: “Due dollari al chilo”, 
          presentato alla 57° Edizione del Festival di Venezia e “La 
          sera dell’ultima”, vincitore al Festival di Annecy 2004. 
          Come Leela 
          Marampudi scrive il racconto “Kamala”, selezionato al 
          primo concorso “Lo Sguardo dell’Altro” e con Fara 
          pubblica il romanzo Mal 
          bianco. Torna all'inizio
 Quest’aggrovigliato 
          tralcio di fili di Raffaele 
          Ibba  Quest’aggrovigliato tralcio di filiquest’ininterrotto rompersi di trame
 e riannodarsi e ritessersi e volgersi indietro
 come latrati di cane a guardia contro rischi
 solo sentiti appena odorati e fugaci,
 come ombre di sparviero distanti ed alte,
 severe su questa notte lenta, che s’allontana.
 Questa incerta incostanza di duneche stanno, necessarie alla danza del mare
 ed al salvarsi della piattaforma, scesa nelle acque
 tra foreste di giunchiglie ed altre alghe odorose,
 cibarie di pesci e minutaglie vite inenarrate.
 E ti sento pregare dentro me, Gesù cuore,in questo così margine di carezze, e ti frugo,
 certo del tuo amore che è, feroce tuo cuore vivo
 a divorarmi, leone giocoso bambino a stritolarmi
 le ossa della mia gioia, a farmi
 cibo della tua passione amante.
 E ti chiedo di questo mondo, amor mio,tanta colpa e pena di martirio orgoglio
 – ce la facciamo da soli –– non c’è Padre, né senso e pregare –
 senza vivere il limite stracciato,il bordo strappato di questa coperta,
 per noi qui solo sangue di carni rotte,
 che i tuoi occhi del cuore sanno bella
 in groppi di filature tessute
 disegnate nelle ininterrotte forme
 – e gracili delicate –
 del tuo amore bello, Gesù,
 mio bell’amore.
 
 Raffaele 
          Ibba è nato nel 1950 a Cagliari, città dove vive e 
          lavora come insegnante di storia e filosofia nei licei. Si dedica alla 
          poesia in modo intenso dal 2000, per una sua neccessità intima 
          di vita e di cuore. Ha pubblicato due libri di poesia con le Edizioni 
          della Meridiana di Firenze: Il disonore dei canti nel 2003 
          e La verità bugiarda nel 2006. Torna all'inizio Riflessione 
          sul brano del Vangelo di Luca 7,1-16la lectio divina settimanale all’Abbazia di San Miniato 
          al Monte
 di Bernardo 
          Francesco Maria Gianni (v. anche qui) Venerdì 26 ottobre 2007 Il nostro compito di stasera è di sperimentare 
          gli eventi miracolosi descritti nel Vangelo di Luca, in un orizzonte 
          quotidiano e storico dove è sempre più difficile aprirsi 
          alla speranza, come ci dice Dietrich Bonhoeffer nel testo Vita 
          comune: «Per questo il cristiano ha bisogno degli altri 
          cristiani che dicano a lui la Parola di Dio, ne ha bisogno ogni volta 
          che si trova incerto e scoraggiato; da solo infatti non può cavarsela, 
          senza ingannare sé stesso e la verità. Ha bisogno del 
          fratello che gli porti e gli annunci la Parola divina di salvezza. Ha 
          bisogno del fratello solo a causa di Gesù Cristo. Il Cristo nel 
          mio cuore è più debole del Cristo nella parola del fratello; 
          il primo è incerto, il secondo è certo. Quindi è 
          chiaro lo scopo della comunione dei cristiani: essi si incontrano gli 
          uni gli altri come latori del messaggio di salvezza. In questo senso 
          Dio fa in modo che si trovino insieme e dona loro la comunione.» 
          Queste parole spiegano il senso del ritirarsi insieme, perché 
          ciascuno sperimenti l'intima e personale confidenza col Signore e la 
          grazia dello stare insieme con i fratelli per comprendere quale novità 
          è la venuta del Signore Gesù e il suo annuncio di salvezza. 
          I miracoli che abbiamo letto sono il segno della credibilità 
          del Signore, nonostante il grigiore del nostro tempo. Ci siamo soffermati 
          su questa esperienza di comunione anche perché i primi gesti 
          salvifici di Gesù nel Vangelo di Luca seguono la scena del discorso 
          delle beatitudini, quando il Signore si ferma in un luogo pianeggiante 
          dove le persone possono radunarsi per ascoltarlo ed essere guariti dalle 
          loro malattie: due momenti fondamentali dell'azione di Gesù: 
          la parola e il gesto. Perciò: «Quando ebbe terminato di 
          rivolgere tutte queste parole al popolo… entrò in Cafàrnao. 
          Il servo di un centurione era ammalato… Il centurione l'aveva 
          molto caro». (Lc 7,1-2). 
 L'attenzione di Gesù è per una figura sociale di modesta 
          importanza: il centurione che non era ebreo, anche se era interessato 
          al credo giudaico al punto d'aver fatto costruire la sinagoga per il 
          popolo. Il Vangelo sottolinea che l'interesse di Gesù sarà 
          rivolto addirittura a un servo, perché il Dio che si fa amico 
          degli uomini in Cristo è un Dio che ha a cuore l'amicizia fra 
          gli uomini oltre le strutture sociali. Il centurione «Perciò, 
          avendo udito parlare Gesù, gli mandò alcuni anziani dei 
          Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro giunti 
          da Gesù lo pregavano con insistenza: Egli merita che tu gli faccia 
          questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è 
          stato lui a costruirci la sinagoga» (Lc 7, 3-5). La sinagoga è 
          un luogo dell'ascolto della Parola e sicuramente il centurione aveva 
          sentito la gente parlare di Gesù, e poteva farne un confronto 
          con quanto la tradizione profetica annunciava riguardo a quest'uomo: 
          da un lato la storia viva, da un altro lato la parola scritta nei libri. 
          «Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto 
          distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a 
          dirgli: Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri 
          sotto il mio tetto… ma comanda con una parola e il mio servo sarà 
          guarito» (Lc 7,6-7). È da rilevare il contrasto fra quella 
          folla che nella pianura bramava toccare il Signore Gesù, perché 
          sentiva che dal suo corpo usciva una forza risanante, e un uomo che 
          preferisce non toccare Gesù perché probabilmente consapevole 
          anche di una diversità etnica e culturale. Ma è la forza 
          dell'umiltà del centurione che conquista Gesù: «Signore 
          io non son degno che tu entri sotto il mio tetto». Per la nostra 
          vita spirituale questa umiltà può aiutarci a entrare in 
          comunione con il Signore che è venuto a cercarci; e l'umiltà 
          di chi riconosce la novità di Gesù che risana fa chiedere 
          l'impossibile! «Ma comanda con una parola e il mio servo sarà 
          guarito… All'udire questo Gesù ammirato… disse: Io 
          vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande! 
          E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.» 
          (Lc 7,7-10). È da notare come il Signore sottolinei che il primo 
          grande miracolo è già avvenuto: la fede del centurione. 
          Quest'uomo nonostante la sua diversità e lontananza, ha capito 
          che Gesù lo riguarda profondamente con una forza di vita nuova; 
          il centurione aveva infatti costruito la sinagoga, amava il suo popolo 
          e aveva cura del suo servo. Il Vangelo è una scuola di umanità 
          che ci educa ad amare di più, con più gratuità 
          e quanto più gratuitamente amiamo tanto più entriamo in 
          una dimensione fede.
 
 L'altro miracolo è forse ancora più toccante: «In 
          seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano 
          la strada con lui i discepoli e grande folla» (Lc 7, 11). Gesù 
          non si ferma mai; obbedisce ad una logica d'amore che viene dal Padre. 
          «Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva 
          portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova… Vedendola 
          il Signore ne ebbe compassione le disse: Non piangere!» (Lc 7,12-13). 
          Qui ci sono due tragedie che l'evangelista non manca di sottolineare: 
          la prima grande tragedia è il figlio morto che è figlio 
          unico di madre vedova; l'altra tragedia è che questa donna resta 
          tragicamente sola. Queste due esperienze di morte e di solitudine sono 
          le esperienze che il Signore Gesù farà sulla croce, dove 
          la solitudine sarà spezzata dalla promessa fatta al ladrone: 
          «oggi sarai con me in paradiso». Sulla croce si sconfiggono 
          queste due tragedie: la morte e la solitudine perché Gesù 
          riapre al ladrone la prospettiva della relazione con gli altri, e col 
          riportare alla vita un figlio riapre la prospettiva di una relazione 
          alla madre vedova che non ha altri figli. Tutto questo ci fa comprendere 
          come il Vangelo sia prima di tutto un testo di profondissima umanità. 
          «E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. 
          Poi disse: Giovinetto, dico a te, alzati! Il morto si levò a 
          sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre» 
          (Lc 7,14-16). Risalta ancora l'umiltà di Gesù che tocca 
          la bara pur sapendo, anche nell'orizzonte della sua figura, che il morto 
          è impurità. La parola dunque si fa gesto con una grande 
          carica d'amore e Luca sottolinea questa duplice dimensione. «Tutti 
          furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: Un grande profeta 
          è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,16). 
          Ricordiamoci che due giovedì fa riprendendo la lectio ci siamo 
          soffermati a riflettere sul versetto 19 del Salmo 102: «Questo 
          si scriva per la generazione futura e un popolo nuovo darà lode 
          al Signore». Ebbene, tutto questo è stato scritto anche 
          per noi che siamo la generazione futura riunuita qui a San Miniato per 
          dare lode al Signore che ha operato e continuerà a operare fino 
          alla resurrezione finale.
 
 
 Bernardo 
          Francesco Maria Gianni è monaco benedittino olivetano dell'Abbazia 
          di San Miniato al Monte:Monaci Benedettini di Monte Oliveto
 Le Porte Sante, 34
 50125 Firenze
 Torna all'inizio El Nadale 
          de sto ano di Luigina 
          Bigon Xe qua Nadalema mi non so come trovarte.
 Te go perso tra sassi slavassi
 e fioreti, te geri el me baston
 el me ciaro sempre inpissà.
 Vardo ne la stala
 la greppia xe voda
 to mama sparia
 to popà scanpà col baston.
 Le bestie rumega sensa rason.
 Sento un vodo sol stomego,
 un caminare come se la tera
 fusse paltan, also un piè
 e m’impaltano co’ st’altro…
 Vardo par’aria
 vedo un oseleto svolare
 cantando, el sole sbrancarme
 come se fusse so morosa.
 La tera diventa dura
 i me passi me porta
 verso na cieseta,
 un bocia me ciapa par man
 el se cava el bareto, 'ndemo
 dentro pian-pianeto.
 Infondo, in meso al scuro
 un ciaro dentro un sesteo.
 Finalmente el me Puteo.
 (1 dicembre 2007) 
 (foto di Luigina Bigon) Luigina Bigon 
          è nata e resiede a Padova. Ha pubblicato Barattare Sogni, 
          Clessidra 1989; Lucenenèra, Maseratense 1995; Cercando 
          O, Panda 2001, tradotto in inglese da A. Piazza Nicolai. Ha ideato 
          e curato la collana «… in versi», pubblicando Camminando 
          in… versi, Panda 1996; Gelato… in versi, Media 
          Diffusion 1997; Occhiali in… versi, Panda 1998. Fa parte 
          del direttivo del "Gruppo letterario Formica Nera" dal 1980. 
          Nel 1989 ha fondato il "Gruppo Poeti UCAI", sez. di Padova, 
          il cui intento è quello di promuovere i valori cristiani attraverso 
          l'arte in tutte le sue espressioni. Ha realizzato, con il contributo 
          di R. Bettiol, L. Gaddo e M. Ottogalli diverse antologie. Torna all'inizio C’è…
 di Marco 
          Scalabrino C’è tanfu di morti e scrusciu di guerra. C’è in giru arrè pi st’Europa 
          lascacrozzi abbirmati cu li manu a l’aria.
 C’è surci di cunnuttu assimpicatichi abbentanu, ogni notti di cristallu
 li picca l’esuli l’emarginati.
 C’è forbici ammulati di straforuchi tagghianu di nettu niuru e biancu
 lu sud lu nord lu pregiu lu difettu.
 C’è vucchi allattariati di murvusichi masticanu vavi di sintenzi
 cu ciati amari chiù di trizzi d’agghia.
 C’è svastichi c’è fasci c’è 
          bannerichi approntanu li furni a camiatura
 cu faiddi di libra e di pinzeri.
 C’è culi ariani beddi e prufumatichi strunzianu fora di li cessi.
 C’è di quartiarisi; c’è di ncugnari. C’è catervi di cazzi di scardari– droga travagghiu paci libirtà
 giustizia malatia puvirtà…
 e c’è na razza sula: chidda umana. C’è…(versione in Italiano di Flora 
          Restivo)
 C’è lezzo di morte e brontolio di guerra. C’è ancora in quest’Europa laceratascheletriche braccia
 le falangi contorte alzate al cielo,
 le orbite ridotte vermicaio.
 C’è topi di fogna assatanati che azzannano
 in notti di cristallo rosso-sangue
 i deboli, i reietti, i senza-voce.
 C’è subdole forbici affilate che separano senza pietà
 il bianco e il nero, il sud e il nord
 chi ha diritto di vivere e chi può morire.
 C’è bocche ributtanti che vomitano sentenze dal fiato greve
 più di spicchi d’aglio.
 C’è svastiche c’è fasci c’è 
          bandiere:divampano i forni assassini
 e ottuse lingue di fuoco
 divorano sapere e civiltà.
 C’è culi ariani lisci e profumatiche stanno facendo del mondo una latrina.
 C’è da stare alla larga; c’è da tenerci stretti e far barricate.
 C’è cataste di rogne da grattare – droga, lavoro, pace, libertà
 giustizia, malattia, povertà…
 e c’è una razza sola: quella umana. 
 Marco 
          Scalabrino è nato a Trapani nel 1952. Poeta 
          (Palori, 1977; Tempu, palori aschi e maravigghi, 2002), 
          saggista, 
          traduttore 
          ha pubblicato anche commedie in siciliano. Torna all'inizio |  |