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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 65
Maggio 2005

Editoriale: Il mare di Giona

Andrea Parato ha recentemente scritto un libro sul profeta che si rifiuta di accettare il mandato del Vivente e vuole fuggire lontano da Ninive (la grande città in cui Dio gli ha chiesto di predicare l'imminente arrivo della devastazione) restando in una sorta di "quiete" anche durante la tempesta che vede i marinai liberarsi di lui. Tre giorni nel ventre del grande animale marino per poi essere vomitato sulla terra accettando il ruolo di "uccello del malaugurio". Ninive sorprendentemente si converte e Dio la perdona. Giona ne è risentito: vorrebbe essere artefice del proprio destino (o quantomeno gratificato per il proprio impegno), rivendica un'autonomia e Dio gli ribadisce che niente ci è dovuto e al tempo stesso tutto ci è donato (a noi è richiesta l'umiltà di rendercene conto). Quanto dice all'uomo di oggi che contende al divino l'onnipotenza questo profeta "minore"? La risposta è implicita ma evidente e i contributi di questo Faranews ne forniscono alcune declinazioni, non solo sul piano poetico letterario. Dopo il brano di Parato, alcune poesie di Gian Ruggero Manzoni, una intelligente provocazione di Gilberto Gavioli, nuove opere di Enrica Musio, un pensiero di Mario Pulimanti e due poesie di Angelo Leva e Ardea Montebelli su Giovanni Paolo II, una recensione di Ramberti su passando per New York di Christian Sinicco e un'altra di D'Alessio su Piccolo Canzoniere di città di Barbara Rosenberg. Vi ricordiamo che sono gli ultimi giorni utili per partecipare al nostro concorso Prosapoetica: www.faraeditore.it/html/prosapoetica05.html
Buona lettura!

 

da Il Segno di Giona disobbediente

Analisi di semiotica testuale di un testo profetico dell'Antico Testamento (Edizioni Akkuaria, 2004)

di Andrea Parato

Giona chiara metafora d'ogni uomo posto davanti a scelte conflittuali; all'uomo che scoraggiato fugge e non riesce ad essere né santo né eroe secondo i parametri canonici, ma che giunge fino a scelte estreme, che sfiorano la morte e la perdizione, pur di comprendere quanto la vita e l'Assoluto gli chiedono. (p. 6)

L'interrogativo conclusivo, a cui l'attore Signore attende implicitamente risposta, rimane invece sospeso, come mozzo. Sarà bene lasciare libero l'enunciatario di farsi spazio e il lettore modello di inferire e colmare questa interruzione non scontata, questo rebus con una soluzione parziale. (p. 46)

(…) mentre Dio sanziona positivamente l'azione di Giona e dei Niniviti, Giona cerca di sanzionare negativamente l'operato divino. (…) Se all'inizio del testo Dio si configura come destinante e Giona come destinatario, con l'atto sanzionatorio il soggetto destinatario cerca di costituirsi e attorializzarsi allo stesso livello del suo destinante. Per far questo non è bastato il superamento del rito di sacrificio espiatorio nel ventre della barca, né un momento di iniziazione nel ventre del pesce seguito dalla resurrezione a nuovo ruolo (quello di profeta), né la competenzializzazione nello spazio culturale della città di Ninive. (pp. 48-9)



Andrea Parato ha recentemente vinto, con la raccolta Da luoghi intravisti, la sezione poesia del concorso Pubblica con noi. Nato a Rimini nel 1979, è laureato in Scienze della Comunicazione. Dopo un master in Marketing, comunicazione e pubbliche relazioni, continua a dedicarsi all'analisi della comunicazione di massa, editoriale, digitale e sociosemiotica. Collabora con riviste e periodici.

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da Il digiuno imposto

di Gian Ruggero Manzoni

I
“Convertiti!”, urlava il tuono.
“Ma a cosa?”, rispondeva lei.
Da giorni beveva solo acqua,
non mangiava, non fumava,
solo, lavava il suo corpo,
per ore e ore. Tergeva,
mondava, raschiava, frizionava.
Dal corpo solo liquidi.
Un’alternanza.
Dentro e fuori. Dentro e fuori.
Acqua e acqua.
Sale e sale.
Tossine e tossine.
Spasimi e contrazioni.
Poi… il rilassamento.
Effusioni con se stessa.
Sonno, veglia e sonno.
Oltre il tempo.
Oltre la stanza in cui
si era chiusa…
in cui, si era volutamente
rifugiata.

II
“Einstein è morto”, pensava,
“ora sono giunti Darwin,
Leibniz, Heisenberg, Smolin”.
Da quella camera usciva con la
mente, con la memoria, con la
passione.
Mille etnie, mille circostanze,
mille universi, mille configurazioni
in eterna evoluzione.
Toccava con il dito la sua pancia.
Premeva il dito, entrava nel
vaso, si riconosceva.
La sua città appariva nitida.
Infinite le strade, infiniti i
raccordi, infiniti i negozi,
infiniti gli scambi e le attività.
Nuove comunità stavano arrivando,
mettendone alla prova la
resistenza e la tolleranza.
“Questo è il cosmo”, mormorò.
Il nuovo è in continua
costruzione sul vecchio,
sull’ossidato, sull’arrugginito,
ma sul sempre valido.
Sul sempre affermato da chi
non sa lesinare l’aiuto e il
pianto.

III
“Non esistono regole fisse e
immutabili. Il mondo
nessuno l’ha costruito,
l’abbiamo plasmato tutti insieme.
L’appartenervi e l’essere una dei suoi
artefici è, nell’esatto, la stessa
condizione”, questo bisbigliava.
“Il Dio orologiaio è svanito
fra i suoi ingranaggi.
Anch’Egli, nell’attimo, si trasforma,
mentre, l’universo, si è fatto
e si fa da sé, dandosi profilo
con i suoi stessi elementi”,
questo sentenziava.
Allora, si vide fuori dal suo corpo.
Si vide, quale gemella, quale
emanazione, quale proiezione, quale
riflesso.
Ma non bastava.
Un fatto è descrivere un piccolo sistema
dall’esterno, altro è, invece, immaginare
di essere fuori da un indeterminato
insieme. Da un gigantesco, ma gigantesco,
ma gigantesco essere vivente,
in perenne emanazione e scoperta.
“Bisogna uccidere il desiderio di
certezza e di assoluzione.
Bisogna uccidere la superbia e
l’eccessiva prostrazione…”,
questo si proponeva,
rassettando la camera delle
teorie e delle elaborazioni.

Gian Ruggero Manzoni è scrittore, poeta e artista. Ha recentemente curato Oltre il tempo. 11 poeti per una metavanguardia (Diabasis, 2004) che contiene voci poetiche di timbro intenso e bellezza vera. Fra le sue ultime cose ricordiamo: Il digiuno imposto, con opere di Mimmo Paladino (Matthes & Seitz Verlag, Monaco di Baviera, 2000, e Ed. Emede, Buenos Aires, 2002), Deserti di quiete, con disegni di Aldo Mondino (I Quaderni del Circolo degli Artisti, Faenza, 2001), Gli addii (Moretti & Vitali, 2003). Molto ricco e stimolante il suo blog gianruggeromanzoni.splinder.com

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"Fare male" ("Farsi male")

Note attorno alle letture poetiche

di Gilberto Gavioli

Spero che davvero la poesia diventi rilevante, ma ne dubito.
Spesso, e purtroppo per molti, resta un vezzo: come una piuma sul cappello, una spilla sulla giacca. Tutti ne colgono l’aspetto semplice e immediato: le assonanze, un certo lato sentimentale e direi terapeutico. Ma non basta, la poesia non è nulla di questo.
Ci vorrebbero, realmente, più opportunità di riflessione e lettura, meno di commento. Occorrerebbe più rispetto e meno liturgia, con officianti e paramenti. A cominciare dalle scuole, ma in ogni ambito. La poesia non è un genere da teatro o circolo chiuso, da salotto.
La poesia non è un pavone che si muove in una gabbia d’oro, una collezione di pregio da mostrare agli ospiti. Non è il servizio d’argento da usare solo nelle feste (servono anche queste, l’eco aiuta, ma non basta).
Si assiste alle letture poetiche come ad un rito mistico, sacro, ma quasi mai magico, evocativo. Si incontrano vecchi amici, di nuovi se ne possono conoscere: ma si porta un verso a casa, sotto la giacca? Raramente si riceve nuova energia in questi luoghi, più facilmente si nasconde qualche sbadiglio e la convinzione di essere più veri di ciò che ci circonda, silenziosamente.
La poesia deve uscire, vivere ed esser vissuta; si devono moltiplicare le occasioni e le manifestazioni, senza incenso, ma con forza, convinzione e rispetto, coscienti che qualcuno si è lasciato colpire, o uccidere, per non mentire ad essa. Questa eredità gravosa e luminosa, ricade su di noi ogni volta che schiudiamo le pagine per leggere o raccogliamo la penna (e così il testimone) per scrivere. Dobbiamo saperlo, senza timore ma con chiarezza, e far sì che altri condividano la sincerità, sostengano lo sforzo e siano disposti a sporcarsi le mani.
La poesia deve “fare male” (e, come suggerisce l’amico Domenico Settevendemie, il poeta deve “farsi male”), uscire da steccati e recinti, lager e riserve, salotti e circoli. Deve camminare e non essere portata su baldacchini, scendere da trampoli e piedistalli, avanzare in mezzo alle strade, fissarsi sui muri: le pagine e le parole devono tornare a disperdesi nel vento, di ogni genere e forza esso sia.
Con speranza e attesa. Buona vita

Il Foglio Clandestino www.ilfoglioclandestino.it

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Destrutturazione di Gia c'è e altri versi

di Enrica Musio

Già c'è
Come trama io adopero le ore,
su nel canto soprano
che a noi arriva alterato
senza chiavi di bemolle
pronto allo slancio,
così io stò,
ma la memoria ha un peso grave
le scorie ad ancorare di nuovo
come nello spirito delle dermatiti
ogni abbandono mi rendono penoso.
A ripescare dunque rivado,
nelle righe usate delle pergamene
che mi sembrano miei i suoni
e quando li scrivo non lo sono più,
quando credo di inventarli
perché quanto giace li si trova,
che ne è strumento oltre questo mio io
per eludere un libro aperto
la paura invasiva del silenzio oscuro
(e la ripetizione scivola sulla ragione).
E ricercato come un padre,
saresti un Dio, di ogni figlio
freddissimo e abscontitus,
quando solo morti accogliessi
per questo il salmo afferma nel tuo dire:
dei tuoi santi l’incorruzione
- Tu, il vivente,
lodato dai cadaveri non puoi essere.

Ultimo brindisi
Bevo ad una casa distrutta,
alla mia vita
sciagurata
a solitudini
vissute in due
bevo anche a te
all’inganno
delle tue labbra
che tradirono
al gelo morto
dei tuoi occhi
al mondo rozzo
e
crudele
al Dio
che non
ci ha mai
salvato.

Marzo
Dopo una pioggia in terra,
un frutto
è appena sbocciato
il fiato di fieno bagnato
più acre
che ride al sole
bianco di prati a marzo
una fanciulla
che apre una
finestra.

Tu quando non ci sei,
l’aria non risuona
i suoi segreti richiami
allora una ombra
si stende come un
manto
diventa feroce la sera
mi cadono ai piedi
stecchiti
gli uccelli
come percossi
da una peste
improvvisa
perché la mancanza
di amore
è la mia
pestilenza.
(ad Alessio)

Esperienza
Tutti i luoghi,
che ho visto
e che ho visitato
ora ne sono certa
non ci sono
mai stata.

Enrica Paola Musio è nata a Santarcangelo di Romagna. La passione della poesia c’è sempre stata, ma in seguito all’invito di un amico, è diventata impegno costante. È stata segnalata e premiata in numerosi concorsi, fra cui il nostro Pubblica con noi.

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Il papa è morto

di Mario Pulimanti

È una settimana che piango, tanto da vergognarmene e mi sembra di vederlo ancora baciare la terra, venerare la Natura, abbracciare gli uomini di tutte le razze con cordialità estrema, rispettare sinceramente le altrui vocazioni e fedi. Lui, l’ex operaio polacco, sportivo amante della montagna, è stato però anche e soprattutto il Papa della Pace, del tutto alieno dagli intrighi della politica. Sempre contro ogni guerra, uomo del dialogo e, in senso lato, della politica, ha sostenuto con forza che “non possiamo vivere tutti assieme se non in pace”. Buono e generoso, lontano da ogni fanatismo e contrario ad a ogni crudeltà, ha cercato sempre di salvare vite, di mitigare la sorte dei prigionieri, di esortare al perdono, alla misericordia, alla ricerca dell'accordo. Papa Wojtyla è stato un Papa di pace, importante per uomini di tutte le fedi e di tutte le convinzioni ideali; soprattutto nell’ultimo decennio i suoi pronunciamenti contro le guerre e per la giustizia nell’uso delle risorse a livello planetario sono stati importanti. Per quanto riguarda la vita interna della Chiesa cattolica questo pontificato ha fatto fare alcuni passi in avanti, come per esempio sul dialogo interreligioso e sui “mea culpa” (sul mea culpa nei confronti degli ebrei, poi, Papa Wojtyla è stato protagonista, ha preso lui l’iniziativa ed è andato avanti. Non solo quando è andato a visitare la Sinagoga di Roma, ma anche durante il Giubileo del 2000, allorché ha inserito la sua richiesta di perdono nel Muro del pianto e ha visitato lo Yad Vashem. Egli ha voluto eliminare una volta per sempre il malinteso sentimento di diffidenza verso gli ebrei). Del resto il grido di Papa Woityla si sostanziava di indicazioni preziose. La vita è bene fondamentale e presupposto della convivenza. Ciò implica rispetto della persona, integrità delle relazioni familiari, protezione dell'uomo dal concepimento alla morte naturale, con esclusione delle scorciatoie del divorzio, dell'aborto e dell'eutanasia, oltreché del tecnicismo avventuristico della biologia. È su questo radicale fondamento che si situava la condanna della guerra, nemica primaria della vita. La pace è la premessa per un rinnovamento delle relazioni sociali e statuali. Essa risulta assai esigente richiedendo un tenace esercizio della ragione. È in nome degli stessi valori, dopo la caduta del Muro di Berlino, che ha criticato anche l’ovest, sottolineando i limiti del liberismo economico. Anche quello ad una sola dimensione, quella del mercato e del profitto. Papa Wojtyla ha, sopra ogni altro, indirizzato i suoi sforzi in una direzione precisa: quella di applicare gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente dal punto di vista del rapporto con le altre religioni. Innumerevoli sono le occasioni in cui il Pontefice ha sottolineato questo rispetto della Chiesa cattolica nei confronti delle altre religioni. E lo ha messo in pratica accettando di incontrare i leader religiosi. Non c’è dubbio che il contributo più significativo, da questa angolazione, è stato l’incontro di preghiera per la pace nel mondo ad Assisi nel 1986. Grazie Papa Wojtyla, difensore della pace e delle libertà democratiche, sincero predicatore della fratellanza e dell'amore fra tutti i popoli per aver parlato di pace, libertà, diritti, amore tra i popoli ad un mondo che andava in un'altra direzione. Un Papa così, il Papa dell’intelligenza e dell’amore uniti assieme, come mi mancherà! Si dice :"Morto un Papa se ne fa un altro"; questa volta però la questione non è così semplice. Il nuovo Papa erediterà un fardello pesante: l'esempio di Papa Wojtyla, vale a dire un messaggio universale di pace, di tolleranza, di accettazione serena della sofferenza e delle difficoltà della vita. Insomma un uomo che si è trasformato in un grandissimo Papa. Nel Papa dei cambiamenti, anche dolorosi, e che ormai vecchio e stanco ha cercato fino all’ultimo nelle preghiere dei fedeli il sostegno e la forza per poter continuare la sua missione e che resterà per sempre nei cuori della gente come un Padre nella vita dei propri figli. Lui, il primo Papa polacco della storia, il Grande Papa che aveva sempre avuto una grande devozione per la Madonna -tanto da scegliere come stemma episcopale la lettera M di Maria insieme alla croce ed il motto Totus Tuus : “ Totus tuus ego sum” (“O Maria, io sono tutto tuo, e tua e' ogni cosa mia!”)- ha lottato per la Pace, anche religiosa, tra i popoli meritando per questo un indiscusso, unanime ed universale rispetto -e non solamente dai cattolici come me- perché i suoi 26 anni di pontificato hanno cambiato il mondo e la storia. Ho proprio paura che questa volta sarà veramente il caso di dire: “Morto un Papa, non se ne fa un altro!”.
(Lido di Ostia – Roma)

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Un saluto a Giovanni Paolo II

di Angelo Leva e Ardea Montebelli

Sei una fiammella ormai nei miei ricordi,
vorrei toccarti e sentirti ma non posso più,
rimane di te il silenzio dei tuoi discorsi,
i tuoi gesti inesistenti,
il tuo guardare senza agire,
le tue ginocchia,
che alla fine hanno vinto
la mia immaginazione.
E allora vai,
a te mi rivolgerò ogni mattina del nuovo giorno,
con lo sguardo verso il sole,
capirai questo da un'emozione sull'autostrada,
stando in fila con gli altri.
(Angelo Leva, 7 aprile 2005)


Di vita in vita
amico mio
sostano tutte le primavere
si sfida il minaccioso mare.
Questo lungo pianto
amorevole consola
la nostalgia di te.
Puoi chiudere gli occhi,
già torna il tuo giorno
e tutto è più facile,
più grande, più pieno.
(Ardea Montebelli, Rimini, 3 aprile 2005)

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"Il mare è informe… un denso infinito"

su passando per New York (Lietocollle, 2005) di Christian Sinicco

di Alessandro Ramberti

Trovo lo stile di Christian Sinicco abbastanza lontano dal mio. Un poetare disteso, che ritorna, come un moto ondoso, a presentarci le cose con sfaccettature diverse, che scorre assumendo dall’alveo della realtà e della storia di oggi i messaggi contradditori e a tratti ossessivi, le piaghe della guerra e del terrorismo, l’etica di una tradizione valoriale spesso tradita o stravolta, la tensione verso una rete di relazioni umane più autentiche di quelle del web. Una poesia che tende alla prosa (magari un po’ troppo), ma con versi di grande pregnanza e intelligenza evocativa: “sul canto che libera il mio vuoto volante”, “i versi composti dalla sera inginocchiata”, “la guerra che ci uccide da dentro e che comincia fuori”, “ho raccolto le tombe sui fiori”, “così non ho avuto il coraggio / di guardarmi nel caffè”, “la polvere sui libri chiusi / come una scintilla morente”, “... la morte / è il nostro contributo al progresso storia?”, “in un abisso senza speranza come carne di lamiere”.
La missione poetica di Sinicco è cercare di incidere il reale, e farlo con umiltà, partendo da un sé che non è l’ombelico dell'universo, ma una pietra viva e sorella che si dispone nel corpo del mondo fatto di cose, di eventi e soprattutto dal sublime e tremendo (perché conscio di potere autodistruggersi) fango dell’uomo vivificato dallo spirito. Come è scritto in passaggio a New York: “siamo nudi / avvolti nello smog, ombrelli di Luna / che non sanno dove posare; / santi una volta per tutte / siamo nudi (…) gli uomini in stazioni di catrame – infatti ciò che è vile / e aggrappato non vuole morire / e non può reggere il peso di una volta di stelle. Uniti troviamo noi stessi (…)” .
Bastano queste righe a dare un valore assoluto alla raccolta di Sinicco, richiamano una visione del mondo che mi sento di condividere, fatta di desiderio che non sia commiserazione ma invito all’azione e all’incontro: è necessario liberare i tramonti dai versi (cfr. passaggio sui grattacieli) e parlare con lo sguardo del cuore.
Anche se non mi convincono allitterazioni come “limpida lampada”, “sentimento di sgomento” e simili, anche se alcune iterazioni potrebbero in qualche caso essere più contenute e alcuni versi abbastanza tautologici (ad es. “perché vivere è soffrire e soffrire è vivere la guerra”) espunti, non penso possa lasciare indifferenti leggere passando per New York, di cui mi hanno colpito in particolare (oltre ai versi citati) passaggio di Belfast, illuminazione, passaggio sui grattacieli e la prosa melodie finali
che fornisce una (anzi, più di una) chiave di lettura dell’intera opera. La parola poetica si gioca fra vita e perdite, amore e narcisismi, res extensa e un pensiero che aspira all’eterno: “Non credete che abbia ragione chi ama?” E ancora in passaggio sulla fenice della poesia troviamo: “Così quando tenere questo mondo sul pensiero / è creazione, senza fine e senza sosta cacciavite dell’eterno” versi lunghissimi che io avrei spezzato, ma che pure nella tipografica estensione penso rimandino iconicamente al contenuto che esprimono. Sempre in quest’ultima poesia il versi “il verde che non ha fatiche né problemi a flettersi al freddo / che da sempre spezza la storia riconoscerà nell’aria / sul volto della fragilità / un percorso verso l’alto” mi risospingono da una parte verso il Dao de jing di Lao Zi e dall’altra verso l’Esame di coscienza di Renato Serra (“Che cosa cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l’erba sopra sarà tenera lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al solo della primavera che è sempre la stessa? Io non faccio il profeta. Guardo le cose come sono.”), vedo in Sinicco una forza diversa e meno pirronista, un messaggio se non religioso strictu sensu certamente spirituale ed etico.
È importante rivendicare una scrittura che comunichi e condivida, che sia traccia di un cammino e di un impegno, che non persegua meri esoterismi gnostici o linguistici, ma faccia del parlare parabola con l’umiltà che avvicina e che si apre a sempre nuove (autentiche) interpretazioni.
E se l’angelo Franco Loi parla in triestino (passaggio di un angel) e “tira fora una pergamena lustra, / E no xe scrito gnente ghe digo. / «Mona» me disi lu’ «xe da far»”, e se “i concetti lasciati a sé stessi non sono che curiosi origami statici sulla sabbia” (nota 1 della bibliografia postulata dall’autore), non ci resta che raccogliere l’invito a vivere, ad essere pensiero, parole, azioni più autentici, più disponibili ad amare, meno rancorosamente chiusi nella torre dei sofismi esoterici o appiattiti nel conformismo omologante. Implicitamente Sinicco ci augura “buona strada” e noi siamo contenti di averne fatto un breve tratto (letterario) con lui nel rispetto delle reciproche differenze (di stile e di percorso), sapendo che comunque abbiamo tutti un mare che ci attende.

Christian Sinicco, nato a Trieste il 19 giugno 1975, è di professione giornalista. Nel 1999 fonda l'Associazione Culturale "Gli Ammutinati", grazie alla quale organizza letture, reading, performance, spettacoli di teatro, manifestazioni. È stato pubblicato in diverse antologie; segnaliamo soltanto la prima, Gli Ammutinati (Edizioni Italo Svevo, Trieste, 2000), e l'ultima, Di sale, sole, e altre parole. La nuova generazione di poesia in Trieste (ZTT EST, Trieste, 2004), in attesa di vederlo solcare nuovamente i mari burrascosi delle antologizzazioni, nonché apparire e sparire su riviste, siti web, giornali, settimanali, scuole di poesia. Ha partecipato in Italia a manifestazioni di ogni genere; ha organizzato a Trieste la manifestazione "Pianeta poesia" (settembre 2002, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Provincia di Trieste, Comune di Trieste, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia); ha partecipato come relatore a convegni, tavole rotonde, tesi di laurea. È stato caporedattore di Fucine Mute Webmagazine. Ha scritto alcuni testi di teatro e collaborato a parte della sceneggiatura del cortometraggio "L'assassinio di via Belpoggio" di Alberto Guiducci, tratto da un racconto di Italo Svevo. passando per New York (Lietocolle, 2005; v. anche l'articolo in Fucine mute) è la sua prima raccolta pubblicata; la prefazione è di Cristina Benussi.

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Su Piccolo canzoniere di città

di Vincenzo D'Alessio

Milano, come spunto narrativo, presa in prestito come una corolla di racconti fortemente colmi di esistenza (calda come il colre giallo ricorrente) e autentici (come la maglietta con la scritta "Mobilificio Roxetti") regalati ai lettorin intenti al quotidiano viaggio in metropolitana, in quel grembo materno al quale rigorniamo "oggi come ieri".
Chi legge si impadronisce piano piano del linguaggio metabolico della Rosenberg attratto dalla cartina intrigante, dispiegata tra nomi propri di luoghi cittadini ed eventi umani, di una città delle città del mondo. Storie di personaggi, mimesi di animali quasi umani, succhiano l'attenzione di chi si è posto alla lettura di questo "canzoniere" proprio come fa la Morte che all'improvviso ti viene incontro e ti porge qualcosa dicendoti: "Hai dimenticato questo."
Per non dimenticare, forse per ricordare che pur viaggiando nel sottosuolo di una realtà senza molte emozioni, c'è in superficie una tentacolare identità urbana vestita di persone come Aldo, l'Elvira, gli zingari, i barboni, gli uomini buoni e quelli eccezionali, gli uomini che fingono una vita e quelli che la soffocano fuggendo nel buio: elemento permanente nei racconti ed identità dialettica tra senso onirico e metafisico, sostanza di un Dio "con le ali" conteso nel limite estremo dei pensieri umani tra il "Lago Supremo", il "Confine Sud", "Il Campo dei Venti" e il mito terreno della velocità – meravigliosamente raccontato nell'episodio "La promessa".
Colori caldi. Frasi brevi. Incipit provocanti ad ogni racconto. Scrittura tersa, lucida, appassionata, mai disadorna di particolari e mai strabocchevole di parole inutili. Tutta la trama, nell'insieme dei racconti uniti alle poesie, spina dorsale di una involuzione verso una scrittura più ampia e decorosa, sostiene una vis poetica di estrema serenità per l'Umanità dimenticata che nuota in ogni essere vivente capace, oppure impossibilitata ad esprimersi, con le parole che usano gli uomini.
Meravigliosamente umano, troppo umano possiamo dire parafrasando Nietzsche rivolte a quegli uomini "normali" che non sanno vivere. Affiancano il resoconto minimo di esistenze che deragliano come i tram e spariscono nel buio di cimiteri alieni.
Noi siamo lieti di leggere questi racconti. Nel contempo percepiamo tutta la vastità del dramma che si collega a questi frammenti "gialli" del perduto mondo di "Atlantide". Noi siamo muti come le lettere di un alfabeto sconosciuto se non ci sarà che, come la Rosenberg, farà rifiorire in un canzoniere questi segni che sembravano perduti.

Vincenzo d'Alessio, è nato a Solofra (AV) nel 1950. Vive a Montoro Inferiore (AV). Ha pubblicato diversi libri, e di poesia: La valigia del meridionale 1975, Un caso del Sud 1976, Oltre il verde 1989, Lo scoglio 1990, Quando sarai lontana 1991, l'Altra faccia della luna 1994, Cost'Amalfi 1995, La mia terra 1996, Ippocampo 1998, Elementi 2003.

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