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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

Recensione di D'Alessio

Paola Castagna

Pinocchio non abita più qui

di Paola Castagna

Leggo di un fiato, un fiato disteso e pacato.
Mi dedico il tempo, divento egoista, chi sostiene che è comunque sano egoismo, lo penso anch’io e n’approfitto.
Leggere col fiato significa portarsi con un attenzione totale verso ciò che uno scrittore ti vuole comunicare.
Capisco da subito che vi sono più insegnamenti, più morali, più contenuti da quelli immaginati nelle prime pagine.
L’autore non ha tempo da perdere in convenevoli futili, ti fa entrare da subito nella sua avventura senza minimamente preoccuparsi di come la reazione-lettore può risultare soddisfacente.
Scrive per lui, sa rendere autobiografico tutto il cammino innato del suo essere.
L’essenza del suo pensiero è sottile, caratterizzato da una linea d’ombra di non fine.
Borghi, di Daniele ne respiri il pensiero libero ed obbiettivo.
La sua realtà diviene la tua, ma… mi risulta facile vivere nel suo “Triangolo”.
Facilitata da un’infanzia, un’adolescenza, decenni di vita trascorsi in uno dei tanti triangoli che caratterizzano la nostra bell’Italia.
Si diventa grandi fra le pagine di Pinocchio, si lasciano le bugie e le ipocrisie a chi ha più tempo per adoperarle.
Definire il suo romanzo una favola hard… sull’hard nulla da ridire.
Vi è sottile la trasgressione, la seduzione più fisica che mentale, un hard elegante senza bisogno di cadere in volgari scenari già fin troppo presenti nella nostra società così all’avanguardia.
Favola, no, non riesco a considerarla tale, ma è un limite mio, lo so benissimo.
Limite dovuto a un vissuto, all'aver respirato polvere di ruderi, pulviscoli di degrado ambientale e sociale, avventure come miti leggendari da cavalcare ogni sera.
Le notti d’estate trascorse a rincorrersi fra i cantieri a cielo aperto, sbucare fuori da un angolo liso e guardare le luci della città in lontananza come fosse un’oasi nel deserto circostante.
Mentre nel cortile di casa si consumava l’ennesimo “Filòs” e gli adulti si scannavano per chiamarci.
Questo è il mio limite, il suo romanzo è la vita reale.
Tornando a Borghi, la stesura del libro è ordinata, precisa, tutto diviene un colpo di scena senza usare facili fuochi artificiali.
Figli di fatto tutti “orfani” dentro, nelle viscere che li porta a vivere agli estremi ogni emozione.
La figura materna è forte e presente in tutto l’evolversi del romanzo.
Puoi sentirne l’odore acre del dolore, la grazia della femminilità, la comprensione di madre che sa dare quelle risposte con tale ovvia ragione da disarmarti e… abbracciarla.
Diviene tenera tale figura, quasi ironicamente parlando ...la mamma è sempre la mamma.
La maternità segna la vita e le decisioni del nostro protagonista, non solo orfano di padre ma anche guida della madre.
I nostri padri assenti geneticamente parlando ma non volutamente dal Borghi, vi è già lui che sa rendere una paternità letteraria effettiva e reale.
Ti matura, ti rende la saggezza, una paternità fedele agli affetti, Daniele è un pensatore attento alla crescita d’ogni singolo lettore.
Ma, il nostro scrittore necessità non solo di raccontarci storie accerchiate dal calore di un fuoco umano, bensì di ripulirsi le ferite e i mali di vivere.
Nessun altro elemento è più pulito dell’acqua adoperata per la pulizia.
La doccia diviene quella àncora di salvezza in un oceano in tempesta, rende ai naufraghi l’isola che non c’è per la sopravvivenza ultima della specie.
La pioggia che finalmente arriva nell’epilogo così semplice e tenue.
La morte non desta la poesia creata in precedenza, anzi la rafforza, pur essendo un libro, a mio avviso senza lieto fine, diventa un manuale poetico d’infinita tenerezza umana.
E noi, lettori spesso troppo distratti, non resta che attendere una sera d’estate, afosa ed appiccicosa,
prendere la sedia più comoda, uscire di casa, guardare il tramonto mentre dal “Triangolo” una voce calda t’invita ad accomodarti in fondo… alla farsa quotidiana di una società che si considera moderna… manchi solo tu.


Migrare
riportare alla luce
un'emozione sospesa
la tua capacità di snaturare
quel pulviscolo tutto mio
oggetti che mi soggiornano
interiormente
costringere la passione
in uno spazio
in un tempo definito.
Mi cheto solo al pensiero
smarrendo il tempo nel tempo.
Qui dove il buio è più buio
e la notte ha il brivido dell’imprevisto
senza bisogno di prestazioni fuori orario
labbra in me
come il gioco della nebbia fra i rami
sta in quest’inverno.


È un segno indelebile
apostrofo sulla pelle
labbra
voluttuose
lasciano
un sapore nel retrogusto assaporato…
leggerezza…
Ero terra di nessuno
per te l’isola che non c’è
generoso
navighi quei mari
senza rotta
tempestose onde si ergono al tuo cospetto
l’aria tua è smarrita
la colgo
perché erudita dal tuo sapere
conobbi la pazienza.
Come bussola impazzita
ti riempio confusamente… offrendoti bonaccia.


Sussurra
mentre baci
quelle parole che nascondi
le labbra sfiorano appena
una pelle invasa da vandalismi gratuiti.
Ad un capezzolo ululi
parole che restano un segreto fra te e lui
sul grembo depositi la tua mano… grande.
Il ventre
questa è la terra di nessuno
segnato con i passi fecondi dell’essere madre
levighi col tuo tocco
anch’esso… troppo leggero.
Sussurri
l’ennesimo segreto
trovi l’ isola
in questo contempo
che mi libera dall’essere naufraga di me stessa
e… mi sveglio
invaghita da una magia
forse
irripetibile.
Approdato sei
ben lieta appaio nel sorriderti l’indomani.

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