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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

La coda della galassia

Poema dell'esillio - Poema e mërgimit

di Vincenzo D'Alessio

Che cosa chiede il bilinguismo ostinato del poeta albanese Hajdari? Quanto lavoro c'è nella ricerca dei testi poetici più originali da parte di un editore (minore)?
Colmo di prosapoetica, qualche spunto di rabbia, una profonda fame di giustizia per lievitare sulle perfidie degli uomini… Si legge tutto d'un fiato il Poema dell'esilio di questo e di tanti altri poeti lontani da casa.
Non un allontanamento volontario. Non una storia di emigrato. Non una casa da fondare, una patria da lasciare e a cui ritornare. Niente di tutto questo.
"I Shqipërisë!" Il Paese delle aquile è divenuto tutto tranne Patria della Democrazia (considerando questa idea come simbolo di libertà del Popolo nella propria terra). Il poeta scrive nella sua lingua per non dimenticare le radici, la forza creativa che logora e annulla il suo vivere.
Una poesia viva, tragica, costruttiva ma povera, povera economicamente perché non riesce a sconfiggere la corruzione degli uomini, degli uomini politici, degli sciacalli-avvotoi. Non pi ùaquile ma avvoltoi nella terra degli uomini nuovi.
Lungo tutto il canto poetico Hajdari scandisce la battuta: amici miei. Ma chi sono i suoi amici? Non ne ha in Madre Patria. Sono forse quegli uomini comprensivi che gli concedono ascolto, confidenza, cittadinanza?
La ricerca continua ed è esaltata dal verso libero, politico, patriottico. Dalla canzone scaturisce un'amara constatatazione:

"I poeti di Hoxha sono diventati i politici di oggi
i politici di ieri sono diventati i poeti di oggi" (p. 34)

La stessa constatazione che si rileva in ogni paese/nazione del mondo. Vengono in mente i versi di Pablo Neruda: "o quando la patria evasiva negò all'esiliato la sua coppa / d'amore e d'asprezza / non muore e muore chi canta, e soffre morendo e vivendo / chi canta" (El destierro).

Contemporaneamente all'uscita del Poema dell'esilio Gëzim Hajdari è stato compreso nell'Antologia poetica La coda della galassia dove i suoi versi, bilingui, ancora narrano al lettore il dramma che lo consuma e fa vivere:

"Nella mia patria / sono uno straniero.
Oltre la parola / nulla mi è rimasto." (p. 206)

Il dramma del ritorno, il viaggio e il racconto per non lasciare che il vuoto della menzogna copra la memoria del tempo. Questo è l'eterna storia che racconta sé stessa e i rimproveri delle migliai di voci senza confronto.
Come ci si può confrontare con i superbi, i figli del potere, gli assetati di denaro?
La poesia è il più bel frutto dell'essere umano mentre il denaro uccide i sentieri che portano al bene nel mondo degli uomini.
Ci soccorre ancora una grande voce nel Tempo; quella del poeta turco Nazim Hikmet: "La tua città natale è la casa aggogliente / di un fratello / ma anche in casa del fratello / la propria non si scorda. / È un duro mestiere, l'esilio, / un duro mestiere… (a Sofia)."
Noi speriamo che torni una Patria per ogni uomo esiliato.

Montoro Inferiore, settembre 2005

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