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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

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Riflessioni su "Storie di frate Amodeo"

di Paola Turroni

Questo gioco di misteri e' il magma del libro, a tutti i livelli di discorso: nella dimensione antropologica cui si riferisce, con il suo confine sottile fra cristianesimo e paganesimo; nella ricerca verbale per cui ogni parola dialettale (intendendo con dialetto una vera e propria gnoseologia del mondo), anche se "tradotta" in fondo al libro, conserva una densita' intraducibile (tanto che il glossario a mio parere si puo' leggere come un indice); nel messaggio, che arriva in modo trasversale, sottotono, sbriciolato come da un Pollicino col saio e a piedi scalzi.
Forse per questo il libro inizia con una focaccia che immaginiamo, consumata, lasci delle briciole. Il titolo del racconto - "La focaccia"appunto - e' come la tasca del frate, solo alla fine ne appare la forma: "fiatando come un mantice felice, ci ficca i denti avido, di un gusto che basta."
Le immagini della natura sono spesso metaforizzate in gesti quotidiani, come "trasformando il mattino di zendro in una sorta di scodella vuota ribaltata in cui il latte lustro colava alla rovescia."
Il mondo con si puo' accogliere che con i suoi contrasti, della Natura vista quasi leopardinamente, madre e ostile insieme, "le pozze ghiacciate, lisce fra le rughe del pantano indurito," opposti che si rigirano anche nel pensiero sempre in movimento di Amodeo per il quale il dogma e' solo un punto di partenza e non di arrivo: "si accorse di avere in mente pensieri mezzi bianchi e mezzi neri."
Il racconto successivo, "La portella", e' montato come un montaggio alternato dove all'immagine sempre piu' al limite del grottesco del frate indemoniato e dell'agitazione degli altri frati intorno al "caso", si incastra l'immagine armonica dei bambini che cantano, sembra quasi di avvertire la differenza di colori e odori tra una scena e l'altra. La descrizione delle trasformazioni fisiche del delirio - "mentre parlava, sbavava dagli angoli dei labbri e poi tirava su con veloci sospiri che gli assottigliavano il taglio della bocca in un ghigno; il baluginare della luce della lampada lo trasformava in una maschera tremenda - si trasla a poco a poco anche nel linguaggio per descrivere lo spazio, come se anche la luce e le cose ne subissero la violenza: "con il volto fatto a pezzi dalle ombre della sala e dai riflessi tremolanti della fiammella."
C'e' una frase che descrive il viaggio, reale e iniziatico, dei frati che trasportano la statua di Gesu' Bambino nel racconto "I briganti e il bambinello", rivoltando il cammino in un avanti e indietro ancora piu' slambrottato, che si puo' leggere come frontespizio di tutto il libro, perche' camminare e' come il pensare del personaggio, e il frate e' anche nel nostro immaginario qualcuno che cammina, camminare e' come leggere, e noi andiamo avanti e indietro a cercare gli incastri di un racconto con l'altro, il significato delle parole nel glossario.
L'importanza della memoria orale nella conservazione della memoria, che non e' la verita' presunta della cronaca, ma i suoi effetti sulle persone. Un esempio tra mille: "Castel Pietra, che e' sempre stata la', e sorge sulla frana caduta dal Cengio Rosso, che dicono che e' quella che dice Dante nel suo poema dell'Inferno, ma anche degli altri dicono che e' quella dei Lavini di Marco, o che Dante e' anche passato da Castel Dante e insomma le terre della Val Lagarina begano che neanche che fossero Samo o Delo o Rodi o Atene che questionavano su dove e' nato Omero, e puo' anche darsi che Dante qua non ci sia mai venuto, come che Omero non c'era neanche e che sono meravigliose finzioni."
L'ultimo racconto, "Specchi", il piu' commosso, e' una specie di pianto e riso insieme, sulle forme del mondo, sulle sue parole e proiezioni, uno specchio appunto, che si aspetta pur rimuovendone l'attesa, quando il mondo ci si rivela e noi ci riveliamo a lui, scoprendo la continuita' e non il confine tra gli opposti, che siano di una pagina, di un pensiero, di un paesaggio.

 

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