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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

Luca Nannipieri

Mario Luzi
Il Maestro e i suoi dialoghi

recensione di Mario Specchio

Luca Nannipieri è un giovane critico molto preparato ma molto presuntuoso, come spesso accade ai giovani d’ingegno. Lo sbrigativo e disinvolto libretto che ha scritto su Mario Luzi parte da un assioma non dimostrato – e francamente difficilmente sostenibile – vale a dire che Luzi sia stato un grande “conversatore”, ma non un grande poeta. La sua grandezza insomma, per Nannipieri, non è da ricercare nell’opus lirico, che è più o meno tutto da buttare, fatti salvi due o tre libri del periodo centrale, bensì nei libri intervista, nelle conversazioni private, nei colloqui. Questa tesi viene enunciata con baldanza ad apertura di pagina: “Mario Luzi non è stato a mio giudizio un grande poeta. È stato invece un grande saggio.”
Già il tono dell’affermazione così perentorio lascia perplessi e viene intanto da chiedersi se sia proprio necessario che le due cose si escludano a vicenda, o non siano invece questi, due piani distinti di riflessione che in realtà si intrecciano e confluiscono l’uno nell’altro… E poi, su quali parametri si misura la poesia di un saggio o la saggezza di un poeta? La questione non è così peregrina né scontata, come può sembrare a Nannipieri. Era un saggio Dante, lo erano Foscolo e Leopardi, Celan e Kafka, Borges e Thomas Mann? E se lo erano, in che rapporto sta la loro saggezza con la loro poesia e viceversa? Che senso ha porre il problema in questi termini per poi procedere non tanto per argomentazioni ponderate quanto per affermazioni apodittiche e gratuite che sempre più, continuando nella lettura del libro, appaiono strumentali e a effetto: “Non le molte poesie che ha scritto, non il suo teatro, non i suoi scritti critici, ma le conversazioni hanno quel respiro profondo e quella mano tesa agli altri individui che differenziano uno scrittore di rilievo, come ce ne sono tanti, da una persona che diventa un punto di riferimento e autorità morale e vivente.”
Ma è davvero corretto liquidare in maniera così sbrigativa una mole di lavoro come quella elaborata da Luzi, al solo fine di esaltare una aspetto di una personalità tanto composita e variegata? È davvero corretto, dopo aver riportato una poesia di Sotto specie umana, concludere che, per quanto si tratti di una “bellissima poesia” – ma perché e come sia bellissima resta comunque una questione irrilevante – “leggendo questa poesia non senti il calore di una casa e di una terra che ti avvolge e ti dà valore, non senti la forza misteriosa della terra, dei milioni di uomini che giorno dopo giorno l’hanno battuta, coltivata, scavata, costruita, su cui sono invecchiati facendo figli e su cui un giorno su un letto sono morti. Non lo senti. La lingua si oppone a questo incontro: anzi, la lingua si impone.”
Queste parole, non prive di un loro fascino per la richiesta di verità umana che sembrano contenere, sono in verità pericolosamente fuorvianti, proprio perché nascondono, nel timbro accattivante, una miscelazione di elementi diversi ed eterogenei sulla base dei quali, decontestualizzando un testo, si potrebbero dire le stesse cose per L’infinito di Leopardi, La canzone alla Vergine di Petrarca e il Llanto di Lorca. E del resto la punta avvelenata della freccia colpisce nelle parole che seguono: “La difficoltà nello sciogliere il significato di questi versi è anzitutto difficoltà dell’animo di Luzi ad aprirsi e parlare a noi, da persona a persona, da comune mortale a comune mortale, da pari a pari, è difficoltà del suo animo a rendersi disponibile, accogliente, a rendersi pieno d’amore. È questo il segno della parzialità di un poeta. Ci sono scrittori invece che ti lasciano una quiete, una vastità e una pienezza di cuore, che alla fine vorresti ringraziarli.”
Inutile dire che la vastità e la pienezza di cuore, che inutilmente ricercheremmo nelle poesie di Luzi, è invece sovrabbondante nelle interviste, non ultime quelle rilasciate dal poeta allo stesso autore.
Né basta, a ripulire il tavolo su cui Nannipieri mescola con disinvoltura le carte, il fatto che metta le mani avanti, con baldanza di neofita. “ So bene che sostenere questa convinzione significa andare contro all’opinione dominante, farsi dare del ridicolo da gran parte dei professori universitari, dei poeti, degli intellettuali, dei critici e degli scrittori più in voga. Ma io dico ugualmente, non avendo altro potere o autorità cui rispondere che la verità stessa, non avendo altro impegno morale che cercare la verità, perseguirla, starle dietro, e, quando si mostra luminosa e forte, dirla, dirla con coraggio, senza paura.”
No, Nannipieri, mi creda – a prescindere dal fatto che questo tono giambico da Zarathustra in vestaglia mal si accorda con il magistero di Luzi che Lei va celebrando e che dovrebbe quantomeno indurLa ad una maggiore dose di prudenza e umiltà – le Sue parole non sono ridicole, sono soprattutto terribilmente arroganti, e forse anche un po’ strumentali, giacché, mentre annunica al mondo che il mondo intero ha preso un abbaglio, si ha la sgradevole sensazione che Lei abbia deciso di liquidare, con quattro battute, un monumento, per crearne, con un gioco di rinterzo, un altro, periferico e stravagante, ai piedi del quale collocarsi insieme ad una nutrita schiera di “intervistatori”, tutti splendenti, date le premesse, di luce riflessa.
Ma cerchiamo di capirci. La tesi sostenuta da Nannipieri ed enunciata come una specie di scoop pubblicitario, nel suo versante positivo, non è poi davvero una grande scoperta. Tutti coloro che lo hanno conosciuto, o anche soltanto incontrato, sanno come Luzi possedesse in sommo grado una dote rara, quella di far aderire con una straordinaria interiorizzazione la parola al pensiero. Dialogare con lui, sentirlo parlare era un’esperienza di alto valore morale, conoscitivo e creativo, una di quelle che lasciano il segno. L’incontro con la sua persona era un evento che faceva dimenticare anche l’opera, avrebbe potuto non aver scritto un rigo e questo non avrebbe tolto una briciola allo spessore della persona che – e in questo, ma solo in questo, Nannipieri ha ragione – trasformava il sapere in saggezza, la cultura in sapienza.
Altri, ma non molti, hanno avuto questo dono, Romano Bilenchi, per ricordare un suo sodale, e Ferruccio Masini, per fare un altro esempio. E neppure è vero quello che afferma Nannipieri quando scrive che questo aspetto della personalità di Luzi sia stato sottovalutato o addirittura misconosciuto, , prova ne è il fatto che nell’ultimo decennio i libri intervista e conversazione si sono susseguiti sino alla sazietà, e Nannipieri che ne fa una puntuale rassegna, lo sa benissimo. Ma tutto questo poi che cosa significa? Significa, come Nannipieri sostiene, che la vicenda poetica di Mario Luzi, una delle più alte in assoluto nella storia del Novecento, è una bazzecola rispetto alle risposte sagge, illuminate e illuminanti che ha dato alle domande più o meno intelligenti che da molti gli sono state rivolte? Ma davvero Nannipieri pensa che libri come Su fondamenti invisibili, Sotto specie umana, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, La Passione, siano illeggibili e cervellotiche divagazioni ed il patrimonio del suo lavoro consista unicamente nelle interviste che Luzi ha rilasciato a critici e giornalisti, amici e conoscenti, Nannipieri compreso? Perché questo è ciò che si afferma ad ogni piè sospinto, con sbrigativa sicumera, in pagine che hanno il tono aggressivo e saccente di un pamphlet e di fronte al quale sorge legittimo il sospetto che l’autore sia stato sedotto, più o meno consapevolmente, dall’idea di cantare, inaspettatamente, fuori dal coro. E questo sarebbe stato ancora accettabile, se Nannipieri avesse almeno cercato di impostare un’argomentazione motivata, seria e approfondita, non limitandosi ad affermazioni perentorie e gratuite che sembrano scaturire da una sorta di puerile intento scandalistico. Ma scandalizzare chi, e di che? Non abbiamo nessuna difficoltà – e non sto usando il pluralis maiestatis, ma solo il plurale – a riconoscere che c’è, in alcuni testi dell’ultimo Luzi, un residuo non sempre del tutto distillato, non sempre del tutto perspicuo, dirò di più, ritengo che il Luzi degli ultimi due decenni abbia talvolta rinunciato al lavoro di sfoltitura, intrecciando fili di autentiche perle spesso zavorrate più del necessario. Ma questo è un altro discorso, e più precisamente è un discorso che vale, in generale, per tutti i poeti che si attestano sul crinale innico-profetico, e riguarda Luzi, come riguarda Pindaro e il tardo Hölderlin.
Se Nannipieri voleva sottolineare il valore della parola parlata del poeta, la sua capacità di dare alla conversazione un timbro alto e colloquiale insieme, se voleva privilegiare il patrimonio straordinario racchiuso nei suoi discorsi, interventi, interviste – e che nessuno si è mai sognato di sottovalutare – poteva farlo senza bisogno di ricorrere al vecchio trucco del gioco al massacro, il che, peraltro gli avrebbe anche permesso di dare maggiore organicità al suo discorso. Se poi voleva avanzare delle riserve sulla produzione, diciamo, profetico-sapienziale dell’ultimo Luzi, allora doveva farlo con ben altro rigore, e doveva volare molto più alto perché con la fionda non si abbattono le aquile.
Dispiace di vedere un’occasione così malamente sprecata, e dispiace in particolar modo perché Nannipieri, come dicevamo, è colto ed asserisce di ricercare nella poesia quello che infatti vi si deve cercare, la coscienza della vita, la lealtà del vivere. Sarebbe un vero peccato se il suo talento dovesse venire offuscato dalla spregiudicatezza, o , peggio ancora, dalla presunzione. Ma sarebbe ancora più grave – ed è purtroppo un dubbio, di cui è difficile liberarsi leggendo le sue pagine – se avesse voluto servirsi del nome di Luzi per far bella mostra di sé, come se, facendo i baffi alla Gioconda, si potesse dimostrare qualcos’altro se non che si è incapaci di dipingerla. La poesia di Mario Luzi non ha certo bisogno di difensori, ma il suo buon nome sì, dal momento che l’uomo non può più rispondere.

(in «Polimnia» Trimestrale di Poesia Italiana, aprile-giugno 2006, pp. 85-87).


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