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Gianfranco Bertagni. Architetture Utopiche

di Rosete De Sa' si veda anche il bel commento alla Simmetria imperfetta e la incisiva recensione ad animale

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Gianfranco Bertagni. Architetture Utopiche

Intervista a Rosete De Sa'
autrice di Indagini

Potresti darci una breve definizione di Rosete de Sa'?

Credo di essere una persona che scrive per "discendenza vocale". La discendenza vocale, in questo caso, sta per la musicalita' prodotta dalle parole; il loro suono che trafigge il tempo, la storia, la storia del tempo verbale, il potere della semplice communicabilita'. Cosicche', potrei definirmi come una alla ricerca del tempo fittizio, di un tempo cioe' che non si limita ne' alla storia ne' al suo tramonto temporale, ma al suo rovesciamento, senza ricadere nel solito gioco similromantico della ricerca di un Io "psicologizzante" del personaggio, ma utilizzando procedimenti stilistici che vanno dal noir al lirismo piu' "inconseguente", o centrando alcuni racconti sulla idea di movimento nel senso lato della parola.

Perche' scrivi: per te stessa, per pochi lettori (il "tuo pubblico"), per lettori distratti, per lasciare una traccia?

Scrivo per pochi lettori ed anche per me stessa, a volte. Se scrivo per me stessa, lo faccio con l'intuito di ricordarmi per sempre di qualcosa, un qualsiasi piccolo dettaglio che ritengo importante per la mia storia di vita, per una certa musicicalita' che mi appartiene a livello piu' intuitivo che concettuale. Al di la' di questo, cerco di combattere tra tempo reale, quello della finzione o quelli propriamente riguardanti la teatralizzazione del verbo, quasi un verbo muto... ed in mezzo ci sono le trame, la mancanza di trame, la bellezza delle lingue, i nodi, la formalizzazione di un racconto, cio' che ho gia' letto nel tempo, il poco che ho gia' letto nel tempo o cio' a cui non ho ancora potuto avvicinarmi. No, non penso di lasciare una traccia. La letteratura oggigiorno, l'arte... e' tutto cosi' vasto e piccolo al tempo stesso, oltre qualsiasi crisi, qualsiasi perversione occidentale. Viviamo in bilico ormai, ed e' soltanto tramite questa posizione fisica e mentale, che riesco ancora a sviluppare la "discendenza vocale" di cui parlavo prima, e con la quale cerco di attingere la narrativa, la parola. Ma se per un attimo o in maniera intermittente dimentico i lettori o dimentico me stessa in quanto lettrice della parola altrui o (falsamente) mia, ho la consapevolezza di essere soltanto sulla carta e da li' non dovrei uscire, come non sopporterei l'assenza piu' completa degli scrittori che dialogono con me. Il vero dialogo nasce soltanto se maschero cio' che vorrei dire usufruendo della parola del mondo e, cosi', ogni versante "biografico" svanisce nel nulla.

Che ruolo svolge oggi il libro: un ruolo di conservazione delle radici culturali, un oggetto che ha il fascino d'antan, uno status symbol per l'intellettuale doc, il modo piu' economico di immagazzinare sapere anche in luoghi privi di fonti di energia?

Penso lo stesso che ha avuto fin dall'inizio dei tempi. Alla fin fine, nulla e' cambiato o quasi nulla. Legge chi ama la parola e non chi vive in una cultura del libro. Credo, come Jean Genet, che non sia l'arte o i libri che cambiano la faccia del mondo o delle societa', ma siamo noi che ci lasciamo prendere e, in questo modo, ci lasciamo cambiare del tutto o parzialmente.

(Fara Editore, giugno 2001)

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