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 |  | Una fiaba selvaggiaRecensione-presentazione del romanzo di Daniele Borghi 
        Pinocchio non abita più qui
di Helene Paraskevà
 Leggendo il romanzo di Daniele Borghi Pinocchio 
        non abita più qui, pubblicato da Faraeditore (2005), abbiamo 
        la sensazione di partecipare ad una visita guidata attraverso una serie 
        di porte che conducono dalla finzione alla realtà e vice versa. 
        Questo succede perché all’interno di questa fiaba incontriamo 
        le favole e mentre ci distraiamo con le favole, scopriamo di stare faccia 
        a faccia con il “qui ed ora”, in una dimensione dove realtà 
        e finzione convivono.
 Il romanzo è sì una fiaba ma è anche una fiaba pulp, 
        una narrazione fantastica popolata da esseri umani straordinari protagonisti 
        di eventi magici, come “Cenerentola” o “La Bella Addormentata”. 
        “Pulp” invece è la narrazione della realtà utilizzando 
        un linguaggio attuale ma da una posizione ironica e distaccata. Il risultato 
        di questa unione è un romanzo selvaggiamente poetico. Così 
        è il romanzo di Daniele Borghi.
 Il TEMPOL’azione si sviluppa in tre tempi: presente, passato e futuro.
 Il presente è collocato in una settimana indeterminata. La TV noiosa, 
        le auto, le moto, la periferia devastata, l’inquinamento, il lavoro 
        nero e le leggende metropolitane sono tutte tracce del tempo presente.
 Eppure, a noi lettori arrivano echi di un passato appena trascorso annidato 
        nei posti più inaspettati, nella squallida cinquecento modello 
        1961, carro allegorico del boom economico che prometteva tante magie, 
        una zucca che non si trasformerà mai.
 Ad un altro passato più lontano ci riporta invece l’abitudine 
        dei personaggi di raccontare favole a turno. Tramandarsi delle storie 
        significa rintracciare le nostre radici, recuperare la memoria e trovare 
        una chiave di lettura della realtà.
 Infine, la fiaba è anche proiettata nel futuro dei “giorni 
        seguenti”, dove tutti saremo (forse) più sani, più 
        giovani, più ricchi ma non meno violenti.
 IL LUOGOLa “location” del romanzo è indefinita ma reale, gran 
        parte dell’azione si svolge in una “…scheggia della 
        città”, un triangolo brullo delimitato dalla ferrovia, dal 
        raccordo autostradale dove i camion sembrano “non fermarsi mai” 
        e dal “fiume più inquinato d’Europa”.
 Si tratta di un luogo pernicioso come il famigerato triangolo delle Bermude, 
        una landa desolata stregata dall’alienazione e oppressa dal caldo 
        afoso e irrespirabile che rende tutto malsano e squallido.
 I PERSONAGGII personaggi più importanti sono adolescenti, reali ma anche magici 
        perché in rapida trasformazione. Il loro nomi, anzi nomignoli, 
        ricordano miti e maledizioni dei giorni nostri, come perdere peso a tempo 
        zero, possedere un cellulare di tecnologia fantascientifica, adorare una 
        squadra di calcio (e farne un culto) e, soprattutto, combinare “il 
        colpo grosso” che cambia la vita radicalmente, come avrebbe fatto 
        la Fata Turchina.
 Non mancano i riferimenti a miti negativi, come Accaivù, il nome 
        del nostro eroe, leader del gruppo e sieropositivo dalla nascita. Moana, 
        invece, la sua ragazza, prende il nome dalla famosa diva hard.
 L’antagonista è soprannominato Pinocchio e diventa il dannato 
        del gruppo perché innamorato di Moana ma senza speranze.
 Anche gli altri personaggi portano nomi fantasiosi, come Candito, Dienneà 
        e perfino Grappolodoro, un nomignolo a metà strada fra l’ottavo 
        nano e il parente nobile di Apollodoro, ma in realtà (sempre quella) 
        è dovuto al suo fastidioso disturbo.
 LA QUARTA DIMENSIONE La narrazione, oltre che dal triangolo stregato, è anche contraddistinta 
        da una serie di quattro favole raccontate dai personaggi stessi confermando 
        così l’iniziale ringraziamento-riconoscimento dell’autore 
        a Shahrazad.
 La prima favola è raccontata da Accaivù, la seconda da Pinocchio, 
        l’antagonista, la terza da Candito, il ragazzo obeso e la quarta 
        di nuovo da Pinocchio, perché “utilizza” il turno di 
        un altro.
 La favola del ragazzo obeso si sviluppa attorno ad uno dei miti quotidiani 
        più comuni, il desiderio di perdere peso, ridurre il grasso corporeo 
        e diventare più filiformi possibile.
 Lo stile è un esempio di minuziosa e dettagliata descrizione del 
        sistema di punizioni e premiazioni che escogitiamo, dalla lavagnetta col 
        misero menù del giorno, ai sensi di colpa che vietano l’accesso 
        al frigo, fino al trionfo finale. Ma proprio alla fine c’è 
        la sorpresa “a morso”, sottolineata da un umorismo sarcastico 
        e surreale.
 IL LINGUAGGIONell’intervista rilasciata a Faraeditore, Daniele Borghi commenta 
        così il linguaggio adoperato nel “Pinocchio…”:
 “È stato un esercizio di equilibrio piuttosto complicato. 
        Spero che il romanzo arrivi ai lettori come in un contrappunto musicale: 
        una lingua parlata, maltrattata e usata come strumento di mera comunicazione 
        da una parte e dall’altro una lingua più formale ma non per 
        questo fredda.”
 Ritengo che questo strumento di comunicazione, il dialetto romano usato 
        da alcuni personaggi, sia in grado invece di evocare e trasmettere molto 
        di più della comunicazione quotidiana.
 Nonostante la sua estrema sintesi, la ristrettezza e la banalità 
        dei termini e l’abuso di riferimenti ai genitali maschili, questo 
        linguaggio, proprio perché è così “maltrattato”, 
        riesce a trasmettere tutta la pressione e la frustrazione del vivere urbano, 
        frettoloso, inquinato, nervoso e persino, a volte, crudele.
 A questo tipo di linguaggio estremo si contrappone l’ “altro 
        linguaggio” di Daniele caratterizzato da parole limpide, distaccate, 
        “spurgate” da ogni tentativo di sdolcinature o pseudosentimentalismi.
 È la scrittura che riserva al lettore una selvaggia tenerezza fatta 
        di franchezza estrema, come quando la madre di Accaivù tenta di 
        incontrare il figlio sul terreno del rapporto madre-figlio, un terreno 
        minato da carichi emotivi, sensi di colpa e freudiane angosce. Questa 
        donna, una “Mamma Roma” degli anni 2000, affronta la situazione 
        con esasperata franchezza che la rende talmente vulnerabile da provocare 
        la tenerezza anche al lettore più “freddo” e razionale.
 Ma qual è il legame fra Pinocchio, Shahrazad e la madre di Accaivù?
 Mentre Pinocchio è un mitomane accanito che manipola la realtà 
        fino al punto da farla sembrare un’insopportabile menzogna e Shahrazad 
        usa il “nonreale” per allontanare la condanna a morte, la 
        madre di Accaivù, a sua volta condannata, diventa la Madre di ogni 
        realtà insopportabile che ha il coraggio però di riconoscere 
        se stessa senza pudori, rimozioni e sentimentalismi.
 La vulnerabilità di questa madre improponibile che riesce a riconquistare 
        il figlio trova corrispondenza nel rapporto autore-lettore. Daniele Borghi 
        riesce a conquistare il lettore dopo averlo guidato attraverso finzioni 
        poeticamente reali e realtà selvaggiamente nude.
 HAPPY END
 La storia finisce bene, i nostri eroi riusciranno a riscattarsi portando 
        a termine “il colpo grosso” e l’autore ci convince che 
        le fiabe funzionano ancora, a condizione che siano teneramente vere, come 
        questa.
 (luglio 2005) |  |