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AA. VV. Le voci dell'arcobaleno

È nato il blog Farapoesia: proposte, interventi e critiche per chi si accosta al mondo dei versi.

Sonia Gardini
Dove allunata?

recensione di Franco Casadei

Cesena 7 gennaio 2007

Ho reincontrato Sonia Gardini dopo trentotto anni, non di persona, ma attraverso un libro. Amici coetanei al tempo del liceo, lei nativa di Savignano, ci siamo perduti dopo il suo trasferimento a Brescia dove ha insegnato e dove tuttora vive.
Dove allunata? è il titolo di un libro di poesie dato alle stampe nei mesi scorsi per Fara Editore. Un’autentica sorpresa, perché inatteso e perché di notevole spessore, sia lirico che esperienziale. Descrive un arco di tempo che dalla prima giovinezza giunge fino all’oggi, quindi con una inevitabile disomogeneità di linguaggio, ma con il grosso pregio di descriverci un percorso lungo una vita. Se si coglie la semplicità dei primi testi risalenti al periodo liceale, con un’inevitabile ripresa dei temi dell’adolescenza e con una forma che risente dell’età e delle letture scolastiche, poi prepotentemente compare una scrittura più matura, che sa descrivere la fatica del vivere con un linguaggio esperto e ben strutturato, fino a raggiungere vertici di autentico lirismo nelle poesie degli ultimi anni.
Scorrendo le pagine si colgono le angosce “di quell’oscuro male” e, riferendosi alla madre, “le tue rugose mani / sulle mie gote di vetro”, versi che testimoniano del tormento che ha accompagnato l’autrice, come la maggior parte dei giovani di un tempo e di oggi. E le attese andate deluse: (“perduti pizzi di sposa / nella clessidra del tempo”; “il vivere antico / patito troppo presto / nel franare dei giorni”; ”desolata attendo”; “nell’agonia del dubbio… io sono nebbia”).
In questa nebulosità, tuttavia, la Gardini è in ricerca (“Anch’io voglio un giardino / dove i giorni mi vengano incontro”), anche se brancola e ancora non vede squarci: “Non trovo luci e lanterne / a chiarire / e nel buio / si percorre amari / un sentiero già definito”. Come se tutto fosse predestinato ad una prigione senza via d’uscita. Finché in un lento cammino “le tinte sfocano / in grigi vessilli di vento / e alle luci lontane / dell’insolita sera / il mio passo si quieta”. L’imprevisto atteso è all’orizzonte, “l’insolita sera” riapre la speranza: “Fragilmente speri / un preludio / d’amore / che muti / la storia”; “Incoraggia la vita / la misteriosa risonanza / della tua voce”; “Le labbra schiuse / tormento di giovinezza / forse non sono avvizzite”. Allora è tutto un canto: “Gioia mia fiorita / con le note profonde / di un sussulto / quando al tuo risveglio / l’alba è tutta luce”. Una gioia non frivola, che non censura prove e dolore, ma che fonda la propria consistenza in un Tu: “… dissolto in polvere il dolore / l’ultima vita in Te”.
Mi piace concludere con gli ultimi versi: “Qual è la dimensione dei nomi? / Amici / avvertibili presenze”. Come a dire che in un cammino di ritorno alle radici della propria speranza c’è sempre un volto, delle facce che, magari discrete e silenziose, accompagnano i nostri giorni. Un bel libro, semplice e profondo e, soprattutto, ben scritto.

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