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Gianfranco Bertagni. Architetture Utopiche

Il libro

Giuseppe Cornacchia, 1973, ingegnere, lavora in proprio e in ambiti di ricerca; nel campo letterario è segnalato su carta e su web dal 1998. Hanno parlato della sua poesia Maurizio Cucchi, Roberto Carifi, Giulio Mozzi, Gianmario Lucini, Enzo Mansueto, Gianfranco Fabbri, GianRuggero Manzoni e altri. Attualmente co-dirige il portalino di ricerca poetica Nabanassar

Intervista a Giuseppe Cornacchia autore di

Ottonale

La poesia è un linguaggio, forse più della prosa, suscettibile di vari livelli di lettura, di suggestioni multiformi, di una carica espressiva
concentrata: io credo che il valore della parola e del ritmo, una costruzione sintattica accurata, per quanto magari anche destrutturata, siano ingredienti essenziali – uniti all’espressione di un messaggio che non sia mero esercizio di stile, o “esperimento”, o sfogo ombelicale, o marginale corollario vocale a una performance – a fare di un testo una poesia. Tu cosa ne pensi?

Cercavo di leggere evitando parole inutili, minimizzando lo spreco e lo sbrego, così arrivai alla poesia; del resto, la natura si dispone negli stati di minimo dispendio di energia e così dovrebbe il discorso,
no? Misura. Sono convinto che prima del ritmo ci sia la sintassi, che prima delle parole ci siano stringhe da ordinare e rendere efficaci. Seguo con attenzione gli studi sul funzionamento del cervello e sulle esperienze di pre-morte, è lì il fondamento anche della poesia, non
tanto come mistica o rito, quanto come meccanismo di astrazione e idealizzazione di fenomeni biologici e, chissà, metafisici.

Quale è il tuo rapporto con la tradizione, con gli autori del passato? Quali le letture che ti hanno in qualche modo “formato”?

Giudici e Raboni quando ero molto giovane; in seguito, Saba, la verve del Pagliarani più sperimentale, alcuni "minori" come Betocchi e Bellintani e qualcosa di Magrelli. Oggi apprezzo Milo De Angelis e l'irlandese Paul Muldoon, peraltro coetanei (classe 1951). Direi anche
Gabriele Frasca, tra i preferiti, ma il problema di molti autori che ibridano la lingua prendendo a prestito gerghi tecnico-scientifici o comunque allotri è che non li capiscono, giacché ne sono sostanzialmente estranei. Se non vivi professionalmente un linguaggio (che dunque si fa lingua), come fai a scriverne? In effetti gli avamposti letterari e le cosiddette scienze sociali sono per me un
discorso puramente speculativo, lontano dall'essenza delle
cose e dal loro funzionamento, che è quanto mi interessa e
cerco di leggere.

Fra gli autori contemporanei, a quali ti senti più vicino? Trovi ci siano voci giovani interessanti? Puoi dirci quali e perché?

Non sento particolari affinità con autori contemporanei. Ho spostato via via i miei modi verso linguaggi artificiali, informatici e logico-relazionali, tanto che non scrivo più in italiano. Leggo comunque con
interesse i miei coetanei (e non) e cerco di segnalare chi, all'orecchio, si avvicina all'economia di cui dicevo prima, anche se lontano dal mio immaginario. In questo senso, mi permetto di citare il primo Simone Molinaroli, Teresa Zuccaro e Gabriele Pepe quali esempi di un fare poesia compiuto, assertivo e al tempo stesso originale, nel senso di eccentrico rispetto alle tradizioni forti della nostra letteratura. Inoltre cerco di capire se gente di formazione
tecnica o tecnico-scientifica abbia voglia di provare ad esplorare e poetizzare il proprio linguaggio settoriale, ma ad oggi gli esiti sono superficiali.

Come definiresti la tua poetica e quali mete ti
stanno particolarmente a cuore in quanto poeta?

Gianmario Lucini, mio primo mentore e critico sul web, vedeva nei miei esordi (una decina di anni fa) i tratti di un Cecco Angiolieri melanconico; Maurizio Cucchi mi ha poi più volte segnalato quale caso interessante di commistione scientifico-umanistica, permettendomi di entrare in contatto con numerosi gruppi e riviste; nel 2002 ho creato assieme ad alcuni coetanei il portalino letterario
www.nabanassar.com, attraverso il quale tuttora mi esprimo.
Il compito che ho in poesia è cercare di rendere letterariamente il mio mondo professionale, i suoi gerghi e fondamenti. Gianfranco Fabbri ha parlato della mia poesia come di un'estetica dell'intelligenza. Mi pare una definizione efficace: il bello che cerco di comunicare sta
nelle idee e nel ragionamento.

(Fara Editore, dicembre 2006)

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