|
Il libro
|
|
Intervista a Lori Nocandi
autrice di Duemila e una luna
Come sei venuta elaborando Duemila
e una luna?
Avevo delle cose già scritte nel cassetto che sono rimbalzate sul
tavolo con l'urgenza di essere riordinate ed inserite in un discorso più
organico.
Tutto questo dopo l'11 settembre. Prima scrivo di getto una lettera a
La Repubblica che viene pubblicata
e ottiene anche un certo effetto fra gli "addetti ai lavori"
e fra i lettori. Direi che questo è il primo passo verso
il "pubblico" di un "privato" che vorrebbe essere
la testimonianza di due vite qualsiasi. Ma che non lo sono. Sempre più
condizionate dagli eventi della Storia che ti martella addosso, e dai
pregiudizi nei confronti di un "diverso" che lo diventa sempre
di più. Anche le mie "lune" sono prese dalle vicende
terrestri: tradite nella loro classicità, si inventano nuovi umori
ed una vena parlante, intuitiva ed anti-imperiale. Tutto è cambiato,
anche la luna.
Che significato ha avuto per te la decisione di sposare un iraniano?
È stato l'incontro di due esuli in terra straniera. Io con la mia
fanciullezza vissuta a Ravenna, fatta anche di stupori bizantini, quando
il bello se ne stava fra le mille e una tessera dei mosaici, prima della
Rimini-tosta, quella che mi è capitata di vivere. E lui in cerca
di una casa in una terra libera. Mi sono fidata del mio intuito che mi
suggeriva "lui è una brava persona" e di quel miracolo
di buone qualità che vengono da un mondo antico, che non si sono
mai esaurite, malgrado la sua fede nella tecnologia ed il suo bell'inserimento
nei nostri ingranaggi. Perché tutta la nostra libertà ha
valore solo se supportata dalla serietà. Forse io cercavo solo
chi me la ispirasse.
È stata anche una scelta coraggiosa, di questo me ne sono accorta
solo più tardi, di cui non mi sono mai pentita.
Che messaggi desideri lanciare con il tuo libro?
Che io il meglio l'ho trovato altrove, di questo ne sono stata certa,
subito. Il mio intuito non sbagliava. Anche se poi le mie convinzioni
sono dovute passare attraverso la pratica della vita, i pregiudizi degli
altri, a volte anche lo scherno, o la più completa indifferenza.
C'è anche un secondo messaggio. Che il pregiudizio a volte è
una bestiola subdola, con cui tu pensi di non aver niente a che fare,
ma un bel giorno te la ritrovi per casa e prima o poi devi anche farci
i conti.
Cosa ne pensi del dialogo fra culture? Quanto è possibile? Cosa
può facilitarlo?
Io penso possa essere possibile sempre, a patto che ci si mantenga alla
debita distanza da ogni forma di prevaricazione o di fanatismo. E dalla
pratica ad oltranza di fedi religiose o politiche. È oggi più
che mai necessario per capire. Uscendo dal bigottismo dei nostri schemi
mentali, dagli stereotipi che spesso ci fanno stare più comodi,
come le ciabatte che trasciniamo per casa.
Quali sono le tue letture preferite e gli autori di riferimento?
Non c'è un filone specifico che privilegio. I miei gusti
sono cambiati nel corso degli anni.
Ai tempi del liceo amavo Pirandello, come dire: l'uomo e la sua maschera.
E il verismo di Verga. Dovessi ora stilare una classifica metterei al
1° posto La fattoria degli animali di Orwell e farei seguire
in ordine sparso Il prete bello di Parise, Le sorelle materassi
di Palazzeschi e, fra le ultime cose apprezzate, Oceano mare di
Baricco.
E sostituirei Pirandello con Calvino. Per Marcovaldo o Il barone
rampante e l'assoluta genialità delle Cosmicomiche.
Scrivere è una fatica necessaria o un piacere irrinunciabile?
Direi un piacere irrinunciabile, a volte necessario.
(Fara Editore, maggio 2003)
|
|