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Gianfranco Bertagni. Architetture Utopiche

Il libro

Intervista a Lori Nocandi
autrice di Duemila e una luna

Come sei venuta elaborando Duemila e una luna?
Avevo delle cose già scritte nel cassetto che sono rimbalzate sul tavolo con l'urgenza di essere riordinate ed inserite in un discorso più organico.
Tutto questo dopo l'11 settembre. Prima scrivo di getto una lettera a La Repubblica che viene pubblicata e ottiene anche un certo effetto fra gli "addetti ai lavori" e fra i lettori. Direi  che questo è il primo passo verso il "pubblico" di un "privato" che vorrebbe essere la testimonianza di due vite qualsiasi. Ma che non lo sono. Sempre più condizionate dagli eventi della Storia che ti martella addosso, e dai pregiudizi nei confronti di un "diverso" che lo diventa sempre di più. Anche le mie "lune" sono prese dalle vicende terrestri: tradite nella loro classicità, si inventano nuovi umori ed una vena parlante, intuitiva ed anti-imperiale. Tutto è cambiato, anche la luna.

Che significato ha avuto per te la decisione di sposare un iraniano?
È stato l'incontro di due esuli in terra straniera. Io con la mia fanciullezza vissuta a Ravenna, fatta anche di stupori bizantini, quando il bello se ne stava fra le mille e una tessera dei mosaici, prima della Rimini-tosta, quella che mi è capitata di vivere. E lui in cerca di una casa in una terra libera. Mi sono fidata del mio intuito che mi suggeriva "lui è una brava persona" e di quel miracolo
di buone qualità che vengono da un mondo antico, che non si sono mai esaurite, malgrado la sua fede nella tecnologia ed il suo bell'inserimento nei nostri ingranaggi. Perché tutta la nostra libertà ha valore solo se supportata dalla serietà. Forse io cercavo solo chi me la ispirasse.
È stata anche una scelta coraggiosa, di questo me ne sono accorta solo più tardi, di cui non mi sono mai pentita.

Che messaggi desideri lanciare con il tuo libro?   
Che io il meglio l'ho trovato altrove, di questo ne sono stata certa,  subito. Il mio intuito non sbagliava. Anche se poi le mie convinzioni sono dovute passare attraverso la pratica della vita, i pregiudizi degli altri, a volte anche lo scherno, o la più completa indifferenza.
C'è anche un secondo messaggio. Che il pregiudizio a volte è una bestiola subdola, con cui tu pensi di non aver niente a che fare, ma un bel giorno te la ritrovi per casa e prima o poi devi anche farci i conti.

Cosa ne pensi del dialogo fra culture? Quanto è possibile? Cosa può facilitarlo?
Io penso possa essere possibile sempre, a patto che ci si mantenga alla debita distanza da ogni forma di prevaricazione o di fanatismo. E dalla pratica ad oltranza di fedi religiose o politiche. È oggi più che mai necessario per capire. Uscendo dal bigottismo dei nostri schemi mentali, dagli stereotipi che spesso ci fanno stare più comodi, come le ciabatte che trasciniamo per casa.

Quali  sono le tue letture preferite e gli autori di riferimento?
Non c'è un filone specifico che privilegio. I miei gusti  sono cambiati nel corso degli anni.
Ai tempi del liceo amavo Pirandello, come dire: l'uomo e la sua maschera. E il verismo di Verga. Dovessi ora stilare una classifica metterei al 1° posto La fattoria degli animali di Orwell e farei seguire in ordine sparso Il prete bello di Parise, Le sorelle materassi di Palazzeschi e, fra le ultime cose apprezzate, Oceano mare di Baricco.
E sostituirei Pirandello con Calvino. Per Marcovaldo o Il barone rampante e l'assoluta genialità delle Cosmicomiche.

Scrivere è una fatica necessaria o un piacere irrinunciabile?
Direi un piacere irrinunciabile, a volte necessario.

(Fara Editore, maggio 2003)

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